Se oggi io parlo ad un giocatore e dico “Metroidvania,” questi capirà probabilmente subito di cosa parlo e saprà riportare alla mente almeno due o tre titoli di questo genere che ha provato o di cui ha almeno sentito parlare. Eppure è difficile che la stessa persona sappia davvero spiegare che cosa è un metroidvania.
Quello che in origine era nato come una deriva capace di superare le barriere del genere di appartenenza, ibridando elementi che sembravano tanto distanti eppure erano così vicini, stava quasi per estinguersi, ma ha poi trovato un nuovo ricchissimo mercato nel settore indie che non smette mai di produrre metroidvania ancora oggi.
Ma davvero tutti i giochi che vengono venduti come metroidvania, lo sono davvero? Da dove è nato questo sottogenere? Tutti sappiamo che i progenitori sono le saghe di Metroid e Castlevania, ma che c’entra Zelda in tutto questo? Cosa caratterizza un metroidvania come tale? Quali tipologie di metroidvania esistono oggi?
A tutte queste domande cerco di rispondere nell’articolo di oggi. I metroidvania sono un genere a cui sono affezionato da tempo perché mischiano alcuni degli elementi che più amo dei generi a cui questi appartenevano in origine. Spero quindi che questo sia il primo di una serie di articoli dedicati all’argomento.
P.S.: mi sento di specificare che, al di là dei fatti storici, molte delle dichiarazioni presenti sotto sono frutto del mio pensiero e, in quanto tali, non oggettive e universali.
Metroidvania – Storia di un (sotto)genere
Come già detto in apertura, quello dei metroidvania è un sottogenere che unisce elementi di tre generi diversi: platform, adventure game e gdr. La sua origine è in realtà in parte insita nel suo nome perché due sono le saghe che vengono universalmente riconosciute come fondamentali (per quanto non sia vero), ovvero Metroid e Castlevania.
Il primo Metroid, 1986, nacque come un platform-adventure non lineare con la possibilità di ottenere abilità permanenti per tornare indietro e trovare segreti in precedenza non accessibili. Super Metroid, 1994, espanse ulteriormente questi concetti aggiungendo aree maggiormente diverse e una storia più profonda.
Nello stesso periodo stava trovando successo la saga di Castlevania, con il primo titolo, 1986, che era in realtà un platform-adventure molto classico. Gli autori però miravano più in alto e già con Castlevania II: Simon’s Quest, 1987, provarono un nuovo approccio meno lineare, aggiungendo elementi tipici dei gdr e un semi-open world.
Simon’s Quest si rivelò tuttavia un mezzo-flop, probabilmente troppo avanti sia per il pubblico che, soprattutto, per i mezzi tecnici dell’epoca che non permettevano la libertà e la profondità che questo gioco avrebbe voluto. Castlevania fece quindi un piccolo passo indietro e tornò a offrire un’esperienza più lineare, pur mantenendo elementi dei gdr.
E’ a questo punto che entra in scena Koji Igarashi. Nella sua visione i platform-adventure non potevano continuare sulla strada classica perché i giocatori stavano diventando troppo esperti e mettere in difficoltà loro, voleva dire rendere impossibile l’esperienza videoludica a chi approcciava un gioco per la prima volta.
Igarashi si ispirò quindi ad un’altra serie Nintendo che però, a differenza di quello che puoi credere, non era Metroid, ma The Legend of Zelda. Pensando a quali componenti di questa saga avrebbe voluto integrare, Igarashi creò quello che oggi è considerato il capostipite dei Metroidvania: Castlevania Symphony of the Night.
Castlevania: Symphony of the Night, capolavoro per Playstation uscito nel 1997, presenta un’enorme mappa unica, un open-world diviso in zone, che, in modo simile a Super Metroid, poteva essere esplorato totalmente solo sbloccando varie abilità permanenti. In più a tutto questo aggiungeva elementi tipici degli action-gdr.
Furono i fan stessi allora a coniare il termine metroidvania, unendo i nomi dei due giochi che più di tutti li incarnavano, ovvero Super Metroid e Castlevania: Symphony of the Night. Igarashi ha sempre dichiarato di non averlo creato lui perché, essendosi ispirato a Zelda, avrebbe probabilmente scelto “Zeldavania” piuttosto.
Zeldavania (e anche Zeldatroid) sono per altro oggi occasionalmente usati, ma il sottogenere si identifica soprattutto come metroidvania. L’avvento però dei grandi action 3D, ne causò tuttavia una profonda crisi che andò solo aumentando con l’arrivo degli action open world. Se ricordi i metroidvania erano infatti nati con uno scopo specifico.
Adesso però la tecnologia era avanzata al punto che il confine limitante dei platform-adventure 2D poteva essere superato in modo più efficace e con successo semplicemente passando ai modelli 3D. Il sottogenere dei metroidvania andò quindi a sparire velocemente mentre sembrava non avere più un mercato di riferimento.
E’ a questo punto che entrano in campo gli sviluppatori indie. Vecchi videogiocatori che avevano iniziato la loro carriera magari proprio perché ispirati da Metroid e Castlevania, ma che non avevano i mezzi economici per il 3D, iniziarono a pensare che i metroidvania potevano essere l’elemento giusto per trovare successo.
Uno dei primi fu Cave Story nel 2004. Realizzato da un solo sviluppatore, Daisuke Amaya, come omaggio a Metroid. Questo dimostrò che cosa poteva fare una sola persona con un metroidvania e che il risultato aveva spazio nel settore indie. Un fatto che venne confermato dal successo di Shadow Complex nel 2009. Un gioco che ebbe un successo enorme.
La vera rinascita i metroidvania la vissero però con una tripletta di uscite tra il 2013 e il 2017: Guacamelee! dei Drinkox Studios, Ori and the Blind Forest dei Moon Studios e Hollow Knight del Team Cherry. Il successo di critica di questi giochi spinsero lo stesso Igashi a tornare all’opera creando la saga di Bloodstained.
L’attuale abnorme successo dei metroidvania è una vittoria del settore indie verso i grandi studi Tripla A, ma soprattutto verso la Konami. La proprietaria dei diritti di Castlevania, infatti, non produce un metroidvania dal 2009 e ha persino tentato di rebootare più volte la saga come action 3D (floppando miseramente ogni volta).
Metroidvania – Caratteristiche e Tipologie
Abbiamo visto quindi come è nato il sottogenere dei metroidvania, ma questo non ci aiuta effettivamente a riconoscere i giochi che ne fanno parte poiché quello che è identificato come il suo creatore, Igarashi, di base non stava neanche pensando di star creando qualcosa che avrebbe ricevuto così tanta attenzione in futuro.
I metroidvania combinano chiaramente elementi di tre generi diversi: adventure game, per via della componente esplorativa e la forte presenza narrativa; platform, poiché l’esplorazione si svolge usando salti e abilità di movimento; gdr, poiché spesso sono presenti punti esperienza, equipaggiamenti, statistiche, bonus/malus e cose simili.
Tuttavia un action-rpg potrebbe comunque avere tutte e tre queste cose e non essere riconosciuto come un metroidvania. Quali sono quindi le caratteristiche fondanti di questo sottogenere? Le prime due sono semplici: deve essere un open-world (o sembrare tale) e deve avere un forte focus su esplorazione e backtracking.
Bene, problema risolto, no? In realtà no perché, se ci pensi bene, tenendo di conto solo queste due caratteristiche praticamente tutti gli action 3D moderni sarebbero dei metroidvania perché anche loro le usano ampiamente. Pensa, per esempio, a un Dark Souls, cosa lo rende diverso da Castlevania: Symphony of the Night?
La risposta a questo punto è secondo me semplice. La terza caratteristica fondamentale è che un vero metroidvania, per essere tale, deve avere un gameplay bidimensionale. Non per forza deve esserlo la grafica, ma lo stile di gioco si. Detto questo, ma quanto sarebbe figo un Dark Souls realizzato come un Castlevania? Ora un po’ lo voglio.
Se queste sono le caratteristiche fondanti dei metroidvania, possiamo quindi individuare quattro tipologie di questo sottogenere, quattro macro-gruppi in cui suddividere tutti i titoli che ne fanno parte. Se hai letto la mia ultima recensione, ne avrai avuto un assaggio, ma qui voglio approfondire l’argomento che ho accennato in quell’occasione.
La prima tipologia è quella dei metroidvania standard (o “tanto per”). Sono giochi che sono metroidvania perché per gli sviluppatori questo era il genere più semplice e accessibile per creare il proprio prodotto. A volte non sono neanche gli stessi creatori a identificarli come metroidvania, ma le caratteristiche sono quelle e li possiamo associare immediatamente.
E’ una tipologia abbastanza degradante e è sicuramente quella che contiene i metroidvania più brutti e dimenticabili. Tuttavia è possibile trovarci giochi di tutto rispetto e credo il già citato Shadow Complex ci possa rientrare. Personalmente per me Frontier Hunter, da me recensito di recente, rientra pienamente in questo gruppo.
La seconda tipologia è quella dei metroidvania classici, ovvero quei giochi realizzati ispirandosi chiaramente ai vecchi classici del sottogenere, sia che si tratti di Symphony of the Night che di Metroid. Anche questo gruppo è quindi bello numeroso e può presentare una pixel art molto dettagliata o più rozza, a seconda dei casi.
Il già citato Cave Story ne è un grande esempio, ma non è di certo l’unico. D’altronde spesso uno studio crea un metroidvania proprio per ricercare e ricreare quelle esperienze del suo passato. Io personalmente ho recensito di recente almeno due giochi di questo tipo: Timothy and the Tower of Mu e Momodora Moonlit Farewell.
La terza e penultima tipologia è quella dei metroidvania innovativi, ovvero quei metroidvania che, pur restando dentro le caratteristiche tipiche del sottogenere, cercano comunque di innovarlo in qualche modo, aggiungendo twist grafici (come rotazioni della telecamera) o altri elementi derivati da altri generi moderni. Il loro scopo è far evolvere il sottogenere.
L’esempio più evidente di questa tipologia è tutta la famiglia dei metroidvania roguelike, come per esempio il famosissimo Dead Cells. Tuttavia anche il già citato Guacamelee! ci rientra visto che aggiunge elementi tipici dei giochi di combattimento. Purtroppo non ho recensito giochi di questo tipo di recente, ma sono anche quelli più rari da trovare.
Infine la quarta tipologia è quella dei metroidvania poetici, ovvero quei metroidvania che piuttosto che sfruttano le caratteristiche del sottogenere per concentrarsi su un’atmosfera artistica e una narrazione emotivamente coinvolgente. Li riconosci perché riducono al minimo l’HUD di gioco e sono visivamente incredibili e memorabili.
I due capostipiti di questa tipologia li abbiamo già citati: i due Ori e Hollow Knight. Nel mercato indie ci sono poi molti giochi che hanno provato a imitarli, ma trovare successo in questo gruppo non è semplice e il rischio è di sembrare mere copie. E’ il caso di RIN The Last Child, ultimo gioco da me recensito che è praticamente un capitolo apocrifo di Ori.
Con questo ultimo discorso, chiudo quindi il mio articolo sul sottogenere dei metroidvania, sperando di averti aiutato a capire meglio sia la sua genesi che come riconoscere un gioco di questo tipo. Mi piacerebbe continuare a parlare in futuro dei metroidvania e chissà, magari lo farò davvero. Sicuramente è un argomento su cui c’é molto da dire.