Children of the Sun è la nuova opera di René Rother, un puzzle game che fa della violenza il motore che alimenta le nostre azioni, sia come giocatore che come personaggio giocante. Se da una parte uccidiamo i cultisti per ottenere il massimo punteggio, dall’altra stermineremo i Children of the Sun per pura vendetta, trascinati da un ardore che si spegnerà solo attraverso l’eliminazione di tutti i membri della setta che dà il nome al gioco.
Children of the Sun: una storia di vendetta
In Children of the Sun giocheremo nei panni della “Ragazza”, una giovane donna a cui è stato tolto tutto: famiglia, amici, speranze e persino l’innocenza. Il carnefice è una specie di “Messia”, il capo di un culto pseudo-cristiano che si è macchiato di azioni indicibili, una vera e propria setta che ricalca nei modi e nell’estetica quelle nate nell’America rurale negli anni ’60.
Non sono dialoghi o scritte a schermo che portano avanti la narrazione, bensì immagini astratte e colorate, istantanee uscite da una mente delirante, quella della Ragazza, che ci fanno rivivere come in un sogno psichedelico i traumi e la violenza subiti dalla protagonista. Un suono stridente e graffiante ci ronza in testa, come se i pensieri stessi non fossero altro che note cariche di violenza pronte a sparare e l’unico modo di placare questi demoni è proprio attraverso un fucile da cecchino, lo stesso con cui nostro padre si è tolto la vita. Occhio per occhio.
Perciò inizia un viaggio dedito alla vendetta. Con il nostro fucile in spalla viaggeremo attraverso luoghi fatiscenti e teatri di violenza, con la sola missione di uccidere ogni singolo membro dei Children of the Sun e finalmente arrivare al distorto Messia e compiere il nostro fine ultimo: piantargli un colpo in testa. Per farlo non ci servirà che un solo proiettile, visto che il potere della Ragazza sembra sposarsi appieno con il suo desiderio di sangue.
Una scia di morte
Dalla premessa narrativa sembra strano che io abbia definito Children of the Sun un puzzle game piuttosto che uno sparatutto, ma è a tuti gli effetti così. Infatti, come accennato poco fa, per uccidere i vari membri del culto ci servirà un solo proiettile: una volta colpito il bersaglio, la “coscienza” della Ragazza entrerà nel colpo appena sparato e, da una nuova angolazione, potremo sparare di nuovo.
Il gameplay, perciò, risulta essere un metodico studio dell’area e dei cultisti che la abitano, un atto preparatorio che funge da preludio all’inevitabile massacro. Dopodiché spareremo: ogni colpo andato a segno ci premierà col suono di un piatto, come se nella testa della Ragazza riecheggiasse un’orchestra in onore della morte stessa e, uno dopo l’altro, vedremo i corpi dei nostri carnefici cadere a terra privi di vita.
Finito il livello, la visuale si alzerà e ci mostrerà la traiettoria dei nostri colpi sotto forma di una costellazione dipinta di giallo, un marchio indelebile del nostro passaggio. Ma non è tutto qua. Un po’ come succedeva in Hotline Miami, la morte diventa un mero pretesto per proporre una delle forme più primordiali del videogioco al giocatore: ad ogni uccisione sarà attribuito un punteggio, basato sulla nostra velocità d’azione, sulla quantità di “strada” percorsa dal proiettile e dal modo con cui abbiamo fatto fuori il malcapitato di turno. Infine, a seconda del punteggio ottenuto, verremo inseriti in una classifica insieme agli altri giocatori che sono riusciti nell’impresa.
In questo modo la natura arcade di Children of the Sun si schiude e chiama noi giocatori a ottimizzare il più possibile la nostra scia di morte e, ovviamente, da bravi, risponderemo alla chiamata e cercheremo di scalare la classifica, giocando e rigiocando lo stello livello fino a che non saremo diventati una vera e propria macchina del massacro.
Il gioco è suddiviso in vari livelli, ognuno dei quali presenterà una particolarità rispetto ai precedenti, come nuove tipologie di nemici e persino nuovi poteri, andando a creare una scalabilità di difficoltà sempre maggiore e complessa, un po’ come il viaggio introspettivo della Ragazza, che mano a mano che la storia prosegue sarà sempre più crudo e spietato.
Uno stile grunge
Non mi vengono altri modi se non definire lo stile visivo e sonoro di Children of the Sun come grunge: uno stile imperfetto, volutamente sporco, che cerca di allontanarsi dalla fedeltà visiva dei titoli odierni. Molto spesso sembrerà di trovarsi in un sogno delirante, all’interno del quale i cultisti sono rappresentati tutti allo stesso modo, completamente denudati della loro natura umana e resi bersagli luminescenti all’interno di un ambiente decaduto.
Questa estetica che si rifà ai movimenti anti-culturali anni ’90 è accompagnata da una colonna sonora e musicale quasi dark, che non stonerebbe affatto se fosse l’accompagnamento di un gioco horror. Una volta che spareremo il nostro proiettile, le nostre orecchie saranno assaltate dal suono distorto di una chitarra elettrica, che sembra quasi voler rappresentare le voce della Ragazza sotto forma di una cacofonia di suoni elettronici, un urlo stridente che verrà silenziato solo dopo aver trovato il proprio bersaglio.
Non è un caso che Children of the Sun sia stato pubblicato da Devolver Digital, il publisher per eccellenza per quanto riguarda quello stile weird che tanto piace a noi appassionati, e il gioco di René Rother ne abbraccia completamente la poetica, proponendo un titolo che torna agli albori di un’azienda che ha definito il modo di giocare gli indie moderni.