Sono sempre stato affezionato al mondo dello skateboard e delle sue controparti videoludiche. Sono cresciuto con i videogiochi di Tony Hawk e con il mito del “900”, il trick impossibile, e in qualche modo quell’intero mondo culturale ha plasmato la mia intera vita: dal modo di vestirmi alla musica che ascolto, i miei gusti sono stati influenzati da quei titoli dei primi anni 2000 che rendevano così speciale una tavola con delle ruote attaccate. Skate Story mi ha riportato indietro, in quegli anni, e mi ha mostrato che un semplice ollie può essere tutto quello che serve per fare una rivoluzione.
Skate Story: demoni, vetro e dolore
In Skate Story prenderemo il controllo di un demone, ma non aspettatevi corna o denti aguzzi, la forma del nostro demone sembrerà in tutto e per tutto quella di un uomo, con contorni indefiniti ed eterei. Non c’è modo di fuggire o riposare nel mondo in cui viviamo, non finché la Luna rimarrà al suo posto, alta nel cielo, onnipresente. L’unico modo che avremo per sconfiggere la tirannia della Luna sarà mangiarla, ma non potremo mai farlo con le nostre sole forze.
Il nostro demone dovrà scendere a patti con un diavolo, che ci fornirà il mezzo con il quale raggiungeremo il nostro obbiettivo: uno skateboard. Ma tutto ha un prezzo. Una volta stretto il patto, il nostro corpo perderà la sua natura eterea e diverrà di vetro, da ora in poi qualsiasi errore ci costerà caro.
Skate Story racconta una storia di anticonformismo e di riscatto, ambientata in un mondo sotto stretta vigilanza della Luna e delle entità chiamate “gli Occhi“, fautrici di regole che per nessuna ragione al mondo possono essere infrante. Ce lo ricorderanno trick dopo trick, “vietato fare skateboard”, “qua non è permesso”, ma il senso di Skate Story sta proprio qua, ossia nel rompere le imposizioni attraverso il rischio e il gioco.
Il pensiero come forma di immobilismo
La demo di Skate Story ci permetterà di giocare soltanto il primo capitolo dell’opera, quasi del tutto ambientata nel regno a tinte vaporwave del Filosofo, l’entità che per prima ha imposto le regole tanto care agli Occhi. Prima di poter compiere il nostro destino e mangiare la Luna, dovremo affrontare una sfida posta dal Filosofo stesso. In questo spazio surreale i nostri trick e il nostro skateboard diventano metafora del prendere l’iniziativa, concetto contrapposto all’immobilismo pseudo-filosofico del padrone di casa, che più volte ci invita a “ponderare” su quanto sia folle la nostra quest.
Così, il buttarsi a capofitto sulle rampe, noncuranti di poter cadere a pezzi al primo sbaglio, diventa un atto rivoluzionario, un ritorno a quella libertà primordiale seppellita in ognuno di noi, prima che la ragione ci imponesse dubbi e ci rinchiudesse nelle nostre convinzioni e convenzioni. Il gameplay, seppur con qualche difetto, riflette questo concetto perfettamente, proponendo un sistema di controlli figlio degli arcade firmati Tony Hawk, ma con una gestione dei tempismi più simile a Skate di EA.
Skate Story urla da tutti i pori “Devolver Digital“, sia nel suo concept assurdo che nella sua proposta estetica e musicale. La ost è a firma dei Blood Cultures, gruppo indie statunitense psychedelic-pop e chillwave, che si incastra alla perfezione nella cornice di Skate Story, inquadrando ancor di più l’opera di Sam Eng all’interno del contesto vaporwave.
Al momento Skate Story convince appieno, ma in vista di altri nove capitoli nella versione finale qualche dubbio sovviene. La sfida più grande sarà mantenere lo stupore del giocatore fino ai titoli di coda, senza però mai annoiarlo. I trick su cui potremo fare affidamento nella demo sono solo due (quattro se consideriamo le loro varianti), sbloccabili dopo pochi minuti di gioco e se consideriamo che la morte non ci penalizzerà in nessun modo, Sam Eng dovrà inventarsi qualcosa per non rendere il gameplay troppo monotono.