Di tanto in tanto, nello sconfinato panorama videoludico capita di imbattersi in qualcosa di veramente diverso, unico oserei dire. Se la maggior parte dei videogiochi ci trasporta in epoche e mondi lontani, ci mette a confronto con le nostre fantasie o paure più sfrenate, di tanto in tanto capita di giocare a qualcosa di diverso.
Qualcosa che sia una vera esperienza, e che ci metta davanti alla vita vera. Per lo più accade con i titoli indie, che con budget risicati puntano più sul contenuto che sulla forma. Con Back Then siamo alle prese con uno di questi titoli, per certi versi anche difficili da digerire per il grande pubblico e che ti lasciano il retrogusto dolceamaro di un’esperienza che, da semplici giocatori, potremmo non essere in grado di cogliere a pieno in tutte le sue sfumature.
Non sai chi sono, ma io so chi sei tu
In Back Then il tema portante gli sviluppatori di Octopus Embrace mettono sul tavolo una delle malattie “sociali” più complesse da gestire e da accettare, ovvero l’Alzheimer. Se è ormai risaputo che il gioco, quindi anche i videogiochi, possono essere un valido supporto nel trattamento dei malati, finora nessun titolo si è mai occupato direttamente della malattia.
Nel gioco, l’alzheimer è al centro della narrazione, che ci mette nei panni dello scrittore Thomas Eilian a cui è stata diagnosticata la malattia; a quel punto lo scrittore perde il proprio “io”, le proprie memorie, della propria casa e della propria famiglia. Tutto svanisce e sfuma intorno a sé.
Il gioco inizierà quindi con Thomas intrappolato in una casa di cui sa poco, confinato in una sedia a rotelle e alla ricerca, potremmo dire, della propria identità. La casa è molto ampia e disseminata di bigliettini che aiutano l’orientamento del protagonista, tuttavia in determinati casi un evento, un oggetto o un ambiente possono scatenare un ricordo e squarciare un po’ il velo della memoria. Graficamente il tutto porta ad un arricchimento delle stanze che da ambienti essenziali, prendono vita insieme ai ricordi di Thomas, riempiendosi di oggetti collegati ai suoi abitanti.
Dal punto di vista ludico, Back Then è un walking simulator in cui per la maggior parte del tempo ci troveremo a girare per la casa, interagendo con l’ambiente, con gli oggetti e risolvendo in alcuni casi dei puzzle.
Ruotando intorno allo studio dello scrittore, eventi più o meno casuali ci faranno ricordare qualcosa con un piccolo flashback interattivo che racconta di più sul suo passato e sulla sua vita fino a quel momento.
In questo, il gioco rappresenta bene l’immagine di una persona affetta dalla malattia, dandoci sin da subito l’impressione di una vita al suo ciclo conclusivo, fatto diricordi che vanno e vengono. Attraverso gli oggetti, alcune cose vengono spiegate e altre meno, ma tutto è usato per comunicare al giocatore la fragilità mentale di chi è prigioniero dell’alzheimer e di come, nonostante tutto, ogni ricordo sia importante per ciascuno di noi, sopratutto se chiamati ad assistere un malato che non sa chi siamo, ma che noi invece conosciamo benissimo e a cui magari siamo legati da un legame affettivo.
La durata complessiva è abbastanza breve, intorno alle due ore, e il gioco è diviso in capitoli che ci raccontano di ogni membro della famiglia di Thomas, a cui vengono dedicati all’incirca una ventina di minuti. Ne consegue che l’interazione del giocatore è abbastanza limitata e, per tutto il gioco, non dovremo far altro che aprire porte e cassetti e raccogliere oggetti, ricordando qualcosa e andando all’obiettivo successivo.
Il tutto, chiaramente, volto a rendere il gioco il meno monotono possibile e non arrivare al punto da far annoiare il giocatore dal momento che, come in ogni walk simulator, non abbiamo una vera libertà di scelta e movimento.
Segnali di Stile: grafica e audio
Back Then punta tanto sul suo comparto audiovisivo, per raccontare la propria storia. La colonna sonora, composta da musiche azzeccatissime e spesso struggenti, è perfetta per raccontare la storia di Thomas Eilian, che non è ovviamente destinata ad un lieto fine.
Il comparto visivo, pur non potendo ricorrere a grafiche strabilianti, fa del suo meglio riuscendo a rendere anche visivamente la confusione che, possiamo solo presumere, aleggi all’interno della mente di un malato di alzheimer. Tra ambienti che cambiano con l’insorgere di ricordi e percezioni stravolte dal disorientamento della malattia, tutto ci accompagna in un viaggio struggente e delicato.