Sviluppato da Chudo-Yudo Games e pubblicato da Targem Games, Folk Hero è un gioco d’azione in 2D con visuale isometrica e forti elementi da rogue-lite. Il tutto, ambientato in un mondo fantasy semi-medievaleggiante e infarcito dal folklore slavo. Noi abbiamo vestito i panni di diversi e anonimi eroi e siamo partiti verso l’isola e i suoi innumerevoli misteri su Nintendo Switch e questa è la nostra recensione. Pronto a nuove e imprevedibili avventure?
Folk Hero e l’isola misteriosa
Folk Hero non punta a raccontare una storia che possa restare memorabile, tutt’altro. In sintesi, l’incipit ci racconta che, dal nulla, è sbucata un’isola e da questa isola, sono emersi mali oscuri che hanno afflitto l’esistenza del villaggio vicino. Ma… quando tutto sembrava perduto, ecco apparire un “eroe” che, brandendo la sua spada, prende l’oneroso compito di partire all’avventura proprio sull’isola misteriosa. Noi, neanche a dirlo, saremo quell’eroe. Fine.
La storia del titolo non si evolve quasi per niente, limitandosi a gettarci in una sequela di ambienti procedurali al cui interno si mixano leggende slave di vario genere, raccontate con vaga sufficienza tra cittadini da incontrare e documenti da raccogliere. Purtroppo, il folklore, complice uno stile grafico molto minimalista, non trova il riscontro che dovrebbe e si ritrova anzi abbastanza fiacco e sottotono oltre che anonimo e dimenticabile (con rari guizzi che richiedono però tempo e pazienza).
L’eroe di turno è completamente privo di carisma e voce anche perché, come in tanto altri roguelike, una volta morto… si passa a un altro eroe e così via di run in run. Non ci si affeziona a praticamente niente su schermo ma, fondamentalmente, perché il titolo punta tutto se stesso sul gameplay in modo similare, ma ancora più rudimentale e soprattutto anonimo, di altri congeneri come Enter the Gungeon o il disturbante ma iconico Binding of Isaac.

Un roguelike minimalista e immediato
Folk Hero è essenzialmente un roguelite nonché action game in 2D con visuale isometrica che ci vede partire in lunghe spedizioni dove ogni morte significa dover ricominciare dal principio e smarrendo quasi tutti gli upgrade ottenuti. Le aree di gioco che ci aspettano sono tutte rigorosamente procedurali e a loro volta suddivise in varie aree tutte da esplorare e straripanti di nemici che non vedono l’ora di farci la pelle.
L’esordio, come da prassi, è abbastanza morbido e discretamente insipido, con una manciata di nemici che sarà abbastanza facile, se non noioso, da eliminare. Poi il tutto accelera e le ondate di nemici aumentano con tanto di caos a schermo fra proiettili, nemici che partono alla carica, trappole da schivare e tanto altro. Il minimalismo estetico scelto dal gioco crea un effetto altalenante ma non del tutto negativo, riuscendo a utilizzare pochi elementi ma tutti essenziali.

Il protagonista, a seconda della classe di partenza (all’inizio avremo una sola classe mentre le altre si sbloccheranno man mano che giochiamo), avrà un set di mosse che potranno poi essere potenziate a seconda di ciò che riusciremo a recuperare durante la nostra spedizione. Attaccare e schivare sono essenziali per sopravvivere e a questi si aggiunge un attacco a distanza (l’arco nel caso della classe di partenza) e un’abilità speciale. Tutte le nostre azioni sono limitate da una classica barra della stamina dalla ricarica automatica.
L’intero set di abilità di partenza (che ricordiamo variano a seconda della classe selezionata) possono essere potenziate da rune (ad esempio, si può dare il potere della fiamma alla nostra spada e così via) che ottengono da tesori sparsi in giro per le aree di gioco o scambiando monete (ottenibili sconfiggendo i nemici) coi mercanti. Da ricordare che il titolo viene presentato quasi come un souls-like e in effetti, basta davvero poco per finire all’altro mondo anche con i nemici più sempliciotti a cui si somma il già citato permadeath. Ma, come da prassi dei roguelike, ogni morte porta comunque a farci ottenere e sbloccare una serie di bonus passivi tutti da scoprire.

Da ciò, si evince che il livello di difficoltà di Folk Hero non è da sottovalutare grazie anche a una curva che rischia di impennarsi quando meno ce lo si aspetta e che, in parte, è anche legata alla casualità intrinseca del titolo e quindi all’equipaggiamento che andremo a raccattare in giro (elemento questo molto comune nei congeneri). Purtroppo, non introducendo alcuna innovazione e non riuscendo a tradurre nessun elemento pre-esistente in modo iconico e “personale”, il titolo si mostra molto anonimo.
Anonimato che si scontra anche con uno scarso interesse nell’esplorare l’isola stessa che non riesce ad ammaliare come dovrebbe, fiaccata da una narrazione inconsistente. Tra i motivi principali che possono invogliare l’utente a proseguire, c’è sicuramente la “sfida” e la ricerca della “build migliore” anche se, quest’ultima, come anticipato, difficilmente spiccherà per originalità seppur alcune trovate sono intriganti e gradevoli da usare. Ultima nota, la possibilità di giocare in co-op locale (peccato l’assenza dell’online) che, in buona compagnia, regala non poche soddisfazioni rendendo la spedizione decisamente più accattivante.

Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Folk Hero o lo si ama o lo si odia. Lo stile minimalista, purtroppo, va a depotenziare l’intero folklore dell’opera, riducendo le creature in una manciata di pixel colorati che difficilmente resteranno impressi. Così come le aree di gioco, dal primo impatto gradevole ma che ben presto, complice la ciclicità ludica di base fatta di run su run su run, risultano spoglie, poco evocative e con innumerevoli elementi riciclati. Buone, invece, le animazioni, semplici ma comprensibile e ben inserite nell’impianto ludico.
Il sonoro è sufficiente, non crea fastidio ma non riesce a dar vita a un’atmosfera memorabile e identitaria. Buoni gli effetti sonori. Da segnalare invece, la gradita e per niente scontata presenza dei sottotitoli in lingua italiana, utile soprattutto per comprendere meglio il folklore che domina l’isola.