Se le aspettative erano alte, il titolo le ha superate
Ormai da quando le connessioni internet sono davvero entrate dentro le case di (praticamente) tutti è nata una grande dualità tra i videogiocatori: chi preferisce il multiplayer e chi il single player. Una divisione legittima, dove nessuna delle due parti ha davvero ragione e chi vi parla è sempre stato un po’ in dubbio su cosa preferire.
Il multiplayer offre la possibilità di competere, di affrontare sfide in evoluzione, più che con l’apprendimento ed in genere il fattore sociale attira sempre. Il single player ha però un fascino che non riesco a dimenticare, seguito da un tipo di difficoltà appagante.
La magia che si cela dietro titoli in singolo come God of War è la stessa di un buon libro o film, ovvero la storia coinvolgente. Tutto questo era stato promesso da Santa Monica Studio, oltre al comparto gameplay, ma mai mi sarei aspettato tanto.
Dopo la prima trilogia di God of War, dove vediamo Kratos alle prese con un vero e proprio genocidio, date le ripercussioni delle sue azioni sulla Grecia ed i territori vicini, non mi sarei mai aspettato un coinvolgimento emozionale così alto in questo ultimo capitolo. Pochi, pochissimi giochi sono riusciti a farmi rivalutare le impressioni che avevo sui personaggi, sulle ambientazioni e sulla storia del titolo.
In uno scorso articolo parlai di come riutilizzare e svecchiare (nonostante le rughe in più) Kratos sia stata una buona idea, ora dopo aver concluso il gioco ho capito che senza Kratos, ma soprattutto senza il figlio Atreus, questo gioco non sarebbe mai esistito.
Tengo a precisare che non ho intenzione di fare alcun spoiler della trama, perchè nonostante la durata non sia estrema (comunque intorno a 20 ore) molti potrebbero non aver finito la storia principale. Se la prima trilogia ci mostrava odio, rabbia e violenza, questo capitolo ci rapisce e ci porta a vette di storytelling che raramente vengono toccate, unite alla maestosa ambientazione ed i fantastici personaggi.
Se siete degli anni novanta come me, avrete giocato al primo God of War più o meno alle medie. In quegli anni volevamo vedere il casino, le spade e l’ignoranza che il vecchio Kratos andava portando ad Atene: continuo a ricordare la scena dell’uccisione dell’idra con un ghigno compiaciuto ancora oggi. Ora che siamo tra i 20 e i 30 anni, però, non proviamo le stesse emozioni di allora nel menare le mani: possiamo divertirci così per 10 minuti, dopodichè ci aspetta un baratro di noia notevole.
Giocare il nuovo God of War alla mia età è perfetto. Si percepisce quanto sia infantile Atreus per buona parte del gioco, si capisce la difficoltà di Kratos nel ricoprire il ruolo di padre e nel vedere il mondo con i suoi occhi, ma soprattutto si vede quanto il fattore padre/figlio sia importante non solo a livello di gameplay, ma di trama.
God of War è la storia di un vecchio guerriero e di suo figlio, un viaggio che non ha davvero come scopo l’obbiettivo che vedete sullo schermo, ma quello di far avvicinare i due protagonisti e di creare davvero una famiglia. Odierete e amerete entrambi, ma nessuno sarà mai la spalla dell’altro (nonostante si giochi solo nei panni di Kratos).
Questo titolo non è per tutti e non tutti lo meritano. Chiunque non riesca ad apprezzare il livello artistico di un videogioco, chiunque voglia giocarlo solo per moda, chiunque non riesca ad immedesimarsi in questa storia fantastica non merita di giocare a God of War e lo dico senza puntare il dito. Il titolo di questo articolo non è una accusa, ma un sincero: “mi dispiace”. Mi dispiace che voi che fate parte dei non meritevoli non proviate quello che abbiamo provato invece noi, perchè è bellissimo.