A Plague Tale: Innocence è un gioco con due anime. Una di queste, secondo me la più importante, è nella sua narrazione, che reca con sè una storia dirompente.
In essa, la 14enne Amicia e il suo fratellino Hugo lottano per sopravvivere in un mondo che da idilliaco si trasforma subito in un inferno in cui imperversano la Morte Nera, l’Inquisizione e la Guerra dei cent’anni; tutte contemporaneamente, tutte a caccia dei due fratelli.
Se te lo stai chiedendo, sì, storicamente questi tre flagelli si sono abbattuti sulla Francia del XIII secolo contemporaneamente; sicuramente non un buon periodo in cui vivere, a maggior ragione se sei una quattordicenne che si trova ad assumere improvvisamente il ruolo di tutore.
Si diceva della seconda anima del gioco, che poi è il gioco stesso in un certo senso, visto che parliamo del gameplay.
Ne parlerò più approfonditamente in seguito; al momento mi limito a dire che spesso, giocando A Plague Tale, si ha la sensazione che agli sviluppatori mancasse la giusta fiducia nella storia che stavano intessendo, dal momento che talvolta elementi di gameplay vengono infilati a forza, distraendoci dalla storia che stiamo vivendo. Purtroppo è un’abitudine comune a molti sviluppatori.
Light my fire
Tornando alla storia, suddivisa in 17 capitoli completabili in una dozzina di ore, Amicia è un’ottima protagonista per A Plague Tale. Un breve capitolo introduttivo, ci restituisce l’immagine di una ragazza dolce e innocente, ingenua. Fortunatamente, non è una principessina, ma piuttosto un maschiaccio che ama cacciare con il padre e il simpatico cagnone Lion; del resto in men che non si dica il gioco ci fa capire che non si svilupperà come ci saremmo aspettati nei primissimi minuti.
Tuttavia Amicia, almeno all’inizio, rimane una fanciulla elegante che trascorre una vita spensierata, ignara dagli incubi del mondo esterno alle proprietà di famiglia.
Questo idillio, lo avrai già capito, non è destinato a durare. Amicia presto si troverà ad essere l’unica responsabile della sopravvivenza del fratellino, con i due costretti a intraprendere un viaggio per sfuggire all’Inquisizione e alla pestilenza.
Armata solo di una fionda e obbligata ad affrontare le crisi occasionali di un bambino che ha sempre vissuto isolato, Amicia è obbligata a crescere, velocemente.
E’ una storia toccante, principalmente perchè è la storia di una innocenza perduta.
Amicia è abituata ad avere a che fare con persone aperte e amichevoli; le prime persone che i due incontrano nel villaggio in cui si recano per chiedere aiuto, sono violenti criminali che bruciano vive le vittime della pestilenza. Qui per la prima volta Amicia ucciderà un essere umano. Subito dopo lei e il fratello dovranno farsi strada in un campo di battaglia, disseminato di cadaveri che saranno costretti a calpestare, evitando al tempo stesso i saccheggiatori e i soldati intenti a seppellire i morti.
Poi ancora la giovane verrà catturata e il suo carceriere la tormenterà, esplicitandole che tipo di schiavitù la attende.
A Plague Tale non fa nessun tentativo per nascondere gli orrori dell’epoca in cui è ambientato. La Morte Nera non è riprodotta come una malattia subdola, che distrugge intere comunità lentamente, ma piuttosto come un infinito sciame di ratti rabbiosi.
In questo caso siamo in presenza di una scelta stilistica, dal momento che il relativamente lento decorso della vera pestilenza è meno adatto ad essere visivamente riprodotto in un videogame rispetto a un nugolo di mordaci e aggressivi ratti. In questo caso è difficile biasimare i programmatori per questa licenza, specie vedendo il risultato finale durante la partita.
Leggermente meno perdonabile è il modo quasi comico in cui il gioco gestisce la sovrapposizione tra gli orrori di cui si macchia l’umanità (saccheggiatori, soldati, Inquisizione e cittadini terrorizzati al punto di diventare assassini) e la minaccia portata dai ratti e dalla Peste.
Infatti, la narrazione ci pone davanti a un interrogativo ben preciso: “Si possono perdonare i ratti, perché sono uno sciame sconsiderato, che segue un istinto animalesco… quindi gli umani sono anche peggio?”. Si tratta di una domanda lecita e pertinente, che Plague Tale esprime in modo robusto, ma è triste vedere che gli sceneggiatori dei videogame devono essere così espliciti nei temi che esplorano, al punto da palesarli a chiare lettere ai giocatori.
Cosa è successo al concetto di “mostra, non dire”, fondamentale per una buona scrittura creativa?
Nonostante queste piccole note stonate, il dramma di Amicia e Hugo è in grado di assorbire il giocatore, in gran parte per merito di un’ottima caratterizzazione data ai due personaggi.
Nei rari momenti in cui sono al sicuro, le interazioni tra i due sono molto dolci ma è il modo in cui affrontano discussioni accese, per poi perdonarsi reciprocamente subito dopo, a centrare in pieno le dinamiche che intercorrono tra fratelli.
Gameplay
Dove A Plague Tale è un po’ carente è nel gameplay, che rischia di minare costantemente la narrazione, creando una sorta di dissonanza ludonarrativa in grado di compromettere la qualità globale del titolo. Amicia è traumatizzata la prima volta che uccide un uomo, ma nemmeno un giorno dopo è in grado di avanzare eliminando i nemici in silenzio, con una perizia e un’efficienza tali che Ubisoft potrebbe volerla come protagonista in un capitolo di Assassin’s Creed.
Ancora peggio, un’Amicia in versione anime potrebbe comparire in uno dei capitoli di Atelier di Koei, dal momento che una volta appresi dei trucchi alchemici finisce per utilizzarli in modi talmente creativi da fare impallidire MacGyver.
Quando apprende la creazione delle bombe incendiare, il primo trucco a sua disposizione, la cosa ha un senso all’interno della narrazione; le serve il fuoco per tenere lontani i ratti e la creazione è semplice, dovendo inserire del semplice zolfo all’interno di una bottiglia di alcool, oggetti che verosimilmente si potevano trovare anche in una Francia dilaniata dalla guerra e dalla pestilenza.
Il tutto diventa inverosimile quanto Amicia inizia a creare pozioni che hanno il potere di costringere i soldati a togliersi gli elmetti, per esempio, così da essere abbattuti con un colpo di fionda. La ragazza è piena di risorse, sicuramente, ma distrarre le guardie tirando pietre contro oggetti metallici è quello che una ragazza piena di risorse farebbe davvero; preparare pozioni magiche con la clorofilla per mettere al tappeto le guardie rischia di frantumare la sospensione dell’incredulità, ben mantenuta dai personaggi nel complesso.
Come elementi di gameplay, tutti i nuovi trucchetti che Amicia impara consentono agli sviluppatori di sottoporre nuove sfide ai giocatori, con un prezzo da pagare in termini di coesione rispetto alle vicende narrate.
Un’altra nota stonata è l’onnipresente crafting; ora mi rendo conto che il sistema di gioco moderno faccia sì che ogni titolo necessiti di una sezione “creativa”, ma quando assisto alle peripezie di una giovane ragazza che aiuta il suo ancor più giovane fratello a farsi strada su una pila di cadaveri in decomposizione in una palude, così da evitare di essere catturati, stuprati e venduti all’Inquisizione, l’ultima cosa di cui l’atmosfera ha bisogno è fare una deviazione alla ricerca di casse disposte ad hoc, piene di corde, strisce di pelle, carta e altri ingredienti con cui costruire le nostre armi o modificarle in presenza di un poco originale banco da lavoro.
Ma siamo pur sempre in presenza di un videogame, quindi sarebbe ingiusto biasimare gli sviluppatori oltre un certo punto. I game designer si sforzano il più possibile per assicurarsi che gli elementi del gamplay siano adatti alla storia narrata; peraltro abbiamo già visto progetti più grandi, gestiti da team più ricchi e più numerosi, che riescono a rovinare in maniera più pesante la storia con sistemi di crafting ben peggiori di quello che vediamo qui.
La creazione degli oggetti è peraltro abbastanza semplice: basta aprire l’inventario, selezionare l’oggetto/arma da creare e premere X fino a riempire la barra di creazione. Tutto qui.
Raramente però abbiamo assistito ad una storia così intensa come quella di A Plague Tale, quindi la delusione è più cocente nel vedere mal implementati degli elementi di gameplay, affinchè non si possa accusare il gioco di essere un “film interattivo”.
Funzionano meglio le meccaniche steatlh, con le sezioni dedicate ben progettate. Si riesce a scorrere tra gli ambienti in maniera pulita e, cosa più importante, l’erba alta che garantisce l’invisibilità a Hugo e Amicia una volta accovacciati ha una posizione credibile all’interno della scena. Gli stessi nemici sono meglio posizionati rispetto a come li vediamo in molti titoli stealth, oltre ad avere una IA credibile e autentica; il livello di sfida è in questo caso aumentato dalla totale assenza di HUD, che ci costringe a fare più attenzione possibile a quello che ci circonda.
Questo ci dimostra la totale fiducia degli sviluppatori nel sistema stealth, che ci porta a credere di potere giocare senza indicatori e icone e riuscire ad avanzare affidandoci solo all’osservazione. Visto il risultato si tratta di una fiducia ben riposta.
Un altro piccolo, piacevole, tassello in A Plague Tale sono i collezionabili. Nulla di fondamentale, ma ci sono tanti piccoli tesori da cercare per completare il gioco al 100%.
I collezionabili non costituiscono vantaggi all’interno della partita, ma ognuno di essi, dalle spezie alla copia di una dichiarazione di guerra, rappresenta un oggetto di interesse storico che ci fornisce qualche informazione aggiuntiva sull’epoca in cui è ambientato il gioco.
Per chi, come il sottoscritto, è profondamente affascinato dalla storia, trovare questi oggetti costituisce una sfida nella sfida, di sicuro interesse.
Segnali di Stile
A Plague Tale è semplicemente bellissimo a vedersi, il lavoro svolto da Asobo in questo comparto è encomiabile. Il titolo è fluido ed è un piacere attraversare i villaggi e le campagne, ricreati dal team creativo tramite visite sul territorio francese e ispirandosi ai dipinti del famoso pittore paesaggista Claude Lorrain (molto attivo in Italia dove è conosciuto come Claudio Lorenese) che nel XVII secolo era solito immortalare paesaggi utilizzando colori morbidi e caldi, nelle sfumature dell’arancione.
Una bellezza dei paesaggi che si contrappone all’orrore con cui vengono rappresentati i ratti, pronti a venir fuori dai loro nidi gonfi come bubboni e a divorare qualunque creatura possano raggiungere (lo scopriamo da subito con enorme amarezza…).
Peccato manchi una modalità foto: un gioco così bello ne gioverebbe; del resto anche se talvolta A Plague Tale non è piacevolissimo riesce a colpire il giocatore in ogni momento.
Anche i modelli dei personaggi sono rifiniti, con una cura dei dettagli sempre sopra la media.
Il sonoro è di sicuro impatto, complice la colonna sonora composta da Olivier Deriviere (conosciuto per i suoi lavori si Obscure, Vampyr o Alone in the Dark) che utilizza in prevalenza gli archi, per un sottofondo musicale azzeccato.
Il doppiaggio è limitato ai soli inglese, francese e tedesco; una scelta molto anni’90 che un po’ stupisce tuttavia, volendo sempre trovare il risvolto positivo delle cose, consiglio di settare la lingua in francese se non altro per immergerci ancora di più nella storia. I sottotitoli sono comunque in italiano.
La recitazione è di buon livello, più di quanto non ci si aspetti da un titolo indipendente; tutto considerato, contesto, narrativa e qualità generale elevano A Plague Tale al livello più alto raggiungibile da un titolo che non sia un blockbuster di una major.
Ti sentirai coinvolto, profondamente, in quello che succede nel gioco e questo è grazie all’eccellente comparto narrative.