Spiaccicare orrende creature non è mai stato tanto piacevole ma difficile allo stesso tempo
La storia recente dei videogiochi, nonostante i tanti passi falsi compiuti da tanti sviluppatori, è carica di messaggi positivi e romantici, che lasciano ancora un barlume di speranza per tutti quei videogiocatori ancora legati al piacere unico di divertirsi pad alla mano. Nell’era dei DLC, del 4K e delle console war, di chi si sfida a colpi di pixel e frame rate, ci sono alcuni svluppatori che hanno deciso di intraprendere una strada diversa, non badando più di tanto alle leggi del mercato. Questo è sicuramente il caso di A Robot Named Fight, un gioco che sembra uscito direttamente dagli anni 80′ ma che trasuda carattere da ogni poro. Matt Bittner Games ha sviluppato il titolo in maniera magistrale, riportando lustro a quel genere mai veramente passato di moda dei Metroidavania. Chi ha amato giochi come Metroid, Mega Man e il più recente The Binding of Isaac non può non adorare questo piccolo gioiello di inventiva.
Dopo il successo della versione PC il gioco arriva anche su Nintendo Switch
Dopo il successo incredibile ottenuto dalla versione PC (distrubita da Steam), A Robot Named Fight, in linea con la politca Nintendo del “lunga vita agli Indie”, è stato annunciato anche su Switch e verrà rilasciato ufficialmente il prossimo 26 aprile. Noi di iCrewPlay.com lo abbiamo giocato in anteprima per voi, e siamo pronti a raccontarvi com’è andata. Per prima cosa è importante precisare che abbiamo provato il gioco sia in modalità docked sia in modalità portatile: in entrambi i casi il titolo si comporta egregiamente, con un frame rate granitico e costante ed un pulizia generale più che valida. L’unica differenza che ci sentiamo di sottolineare è quella riguardante le modalità di inuput: in modalità dock, col Pro Controller di Nintendo, il gioco è apparso un pelino più legnoso, con comandi meno reattivi e fluidi rispetto alla versione portatile.
Il gameplay di A Robot Named Fight è immediato ed appagante, ma con qualche piccola imperfezione
Scendendo nel dettaglio, il sistema di controllo del gioco è abbastanza immediato, seppur non esente da alcuni problemi. Dotato di un intelligenza artificiale dei nemici che tutto somato funziona bene, il gioco sembra avere alcune meccaniche un tantino eccessive. Ad esempio il sistema di potenziamenti, incentrato principalmente sul ritrovamento di collezionabili generati in modo procedurale e spesso troppo difficili da scovare, ci ha fatto storcere un tantino il naso. Il problema non consiste più di tanto nel repererire tali oggetti ma nel trovare l’NPC a cui consegnarli per ottenere alcune importanti ricompense. Tali NPC sono generati, così come il resto del gioco, in maniera del tutto procedurale, e possono anche non apparire affatto nel corso di una o due aree di gioco. A scacciare via tali problemi, però, ci pensa un signor sistema di combattimento, pensato veramente a puntino: veloce, dinamico e piacevole, condito da tantissimi power up sparsi lungo il cammino che faranno la felicità dei videogiocatori.
La trama del gioco è senza infamia e senza lode
Per quanto riguarda la trama, il gioco non sfoggia sicuramente una grandissima inventiva. La storia alla base è abbastanza fievole e non offre spunti di grande interesse. L’utipistico mondo dei robot in cui è ambientato il gioco è sconvolto dall’arrivo di gigantesche creature che hanno assoggettato la popolazione e preso il controllo del pianeta. Il nostro eroe altri non è che uno dei robot sopravvissuti e, armato di fucile e tanto coraggio, inizierà il proprio viaggio alla ricerca di vendetta nei confronti delle tiranniche creature. L’incipit narrativo non è di certo dei più ispirati e non migliora col passare del tempo, salvo qualche piccolo dettaglio svelato sul finire del gioco, che rende il tutto un tantino più chiaro e comprensibile. Va precisato che in generale le trama è abbastanza in linea con le produzioni del genere e non rappresenta, dunque, né un passo avanti né un passo indietro rispetto agli standard.
Il colpo d’occhio che offre il gioco è di tutto rispetto, nonostante la natura retrò del titolo
Graficamente parlando, il gioco mette in mostra uno stile alquanto anonimo ma tutto sommato piacevole. L’impronta dei titoli a cui si ispira è molto marcata e la sensazione è che il gioco sia veramente saltato fuori da un’altra epoca. La grafica bidimensionale è perfettamente realizzata e la varietà degli scenari è abbastanza convincente. Non si può dire lo stesso del protagonista, alquanto anonimo sia in termini di lore sia, in particolare, a livello di realizzazione estetica. Nel complesso, comunque, il gioco offre un colpo d’occhio di tutto rispetto. Stessa cosa si può dire solo a metà delle musiche di sottofondo che accompagnano l’avventura: la soundtrack appare ripetitiva e alla lunga stufa, con alcune tracce che, in alcuni casi, iniziano seriamente a dar fastidio. Molto carine, invece, alcune delle musiche che si attivano alla comparsa di alcuni boss. Anche alcuni effetti sonori, come quello degli spari, risultano alla lunga fastidiosi, ma niente che possa influenzare più di tanto il giudizio complessivo sul gioco.
Permadeath e creazione dei livelli procedurale: benvenuti all’inferno dei videogames
Uno degli aspetti più intriganti ma allo stesso tempo frustranti del gioco è rappresentato dal sistema di checkpoint e salvataggio della partita. Innanzitutto, nel gioco vige la legge del “permadeath” e dunque si ha una sola vita per run. Inoltre questo titolo è gestito da un sistema procedurale dei livelli, che generano ogni volta un sistema di avanzamento diverso. Gli sviluppatori stessi hanno dichiarato che possono esserci oltre quattro milioni di run uniche, generate dal suddetto sistema procedurale. Sommando le due cose appare subito evidente come il gioco si pone verso l’utente: si tratta di un’esperienza difficile e che metterà a dura prova la vostra bravura di videogiocatori, nonostante in apparenza possa sembrare facile ed immediata. Certo, per quelli più avvezzi al genere il gioco risulterà sicuramente più semplice, rispetto ad esempio per chi, come il sottoscritto, non ha molta confidenza con tale struttura ludica. Si tratta nel complesso di un titolo impegnativo, ma che alla lunga può diventare appagante ed intrigante, grazie soprattutto alla voglia di completare tutti i vari archivements presenti all’interno di esso o di scoprire i tanti segreti ed i vari power up, nonché le varie armi, nascoste all’interno del mondo di gioco.
Su Nintendo Switch manca la cooperativa online, ma viene confermata quella locale
Per quanto concerne la parte multiplayer, contrariamente alla versione Steam che presenta un vera e propria cooperativa online, la versione Switch non presenta (almeno stando alla prova da noi fatta con i server ancora non attivi per tutti) tale feature. La versione Nintendo, però, è munita di una modalità cooperativa in locale, che può rendere più frizzante l’esperienza di gioco.
In conclusione
A Robot Named Fight è un titolo difficile, punitivo e con un livello di sfida molto elevato. Caratterizzato da un sistema di “permadeath”, il gioco offre al videogiocatore un singolo tentativo per partita per completare la storyline, della durata media di circa un’ora, prima di tornare inesorabilmente alla schermata di selezione della partita. Tale feature è affiancata da un struttura di creazione procedurale dei livelli, che rende il tutto ancor più difficile. Per arrivare ai titoli di coda, infatti, abbiamo impiegato oltre 50 tentativi, ma vogliamo premettere di non essere per niente avvezzi a tale genere di gioco. Seppur non amanti del genere, è stato facile lasciarsi catturare dalla voglia di completarlo e di scoprire più segreti possibili, ma non nascondiamo che tante volte avremmo voluto semplicemente scaraventare la console contro qualcosa di molto solido. A tutti gli amanti del genere e non, ci sentiamo dunque in dovere di consigliare vivamente questo piccolo grande capolavoro, destinato a far parlare di sè nel prossimo futuro.