Adore è un titolo che sembra partire da premesse molto ambiziose: unire il genere dei monster catcher a quello dei roguelike, presentando al giocatore un mix a suo modo unico. Vediamo se ci riesce in questa recensione.
La trama come contorno
La storia di Adore inizia con uno scontro tra due esseri divini: il dio della creazione Draknar e il semi-dio malvagio Ixer. Quest’ultimo è infatti intenzionato a rubare la particella divina dal primo, in modo da accrescere il suo potere. Nonostante Ixer riesca a vincere lo scontro, però, il dio della creazione non muore, reincarnandosi invece in un giovane: Lukha.
Il ragazzino, però, viene rintracciato da Ixer, che senza troppe cerimonie lo uccide con una zampata. La morte del giovane viene però evitata da Darknar in persona, che lo trasporta in un santuario per salvarlo e spingerlo a iniziare una vera e propria missione per conto suo, in modo che possa riprendere i pieni poteri. Questo incipit, per quanto interessante nei primissimi momenti dell’avventura, non viene però approfondito troppo, risultando ben presto un semplice pretesto.
Il gameplay di Adore
Il loop di gameplay di Adore poggia su una struttura tanto classica quanto inflazionata: da un HUB centrale si parte per una missione in un dungeon generato proceduralmente, da esplorare fino alla fine oppure fino alla morte. Questa, stavolta, non è permanente, ma corrisponde semplicemente alla perdita delle risorse e al ritorno all’HUB centrale.
Di fatto, quindi, il titolo viene strutturato in dungeon generati proceduralmente, all’interno dei quali vi è però una pesantissima metaprogressione, fatta di obiettivi da completare per far proseguire la trama principale. Questi si riducono spesso a semplici scontri o alla raccolta di oggetti, di conseguenza risultano ben presto ripetitivi.
Nono solo: Adore non può essere definito come un vero e proprio roguelite, ma solo come un’esperienza che ne riprende alcune meccaniche, concentrandosi però su una progressione generale e sulla storia narrata tramite i dialoghi sparsi dopo il completamento dei vari obiettivi. Proprio per questo motivo, però, l’idea di inserire la generazione procedurale di dungeon, affiancata da obiettivi ripetitivi e da una narrazione scialba, risulta ben presto poco sensata. Il risultato è infatti quello di una struttura di gioco poco esaltante.
A questo contribuisce anche il sistema di combattimento poco sviluppato, forse per l’eccessiva fiducia che gli sviluppatori hanno riposto nelle meccaniche da monster catching. Ma andiamo con ordine. Il nostro protagonista non può attaccare, ma si limita a schivare e ad evocare fino a 4 creature, affidate ai tasti frontali. Una volta in campo, queste attaccano con una combo unica e poi svaniscono.
Queste basi sono poi rese più complesse dal sistema di sinergie. Ogni creatura può infatti essere “potenziata” affidandole una sinergia elementale, ovvero delle abilità passive che si attivano solo quando nel gruppo è presente una creatura dell’elemento corrispondente. In altre parole, è possibile affidare un bonus Natura a un mostriciattolo di qualsiasi altro elemento e, utilizzando nella squadra una creatura Natura, il bonus si attiverà.
Un bel sistema, che permette di creare piccole combo…che però non sono mai troppo complesse o eccessivamente soddisfacenti. Non si notano, per esempio, le build interessanti che è possibile creare in capolavori come Hades o Dead Cells. Allo stesso modo, meccaniche così semplici non riescono a garantire un necessario skill ceiling alto che possa rendere gli scontri interessanti.
Adore sembra quindi un dungeon crawler monco, per via di un sistema di combattimento che alla fine si riduce allo spamming costante di creature, al loro richiamo, e poi al nuovo spamming. I dungeon, allo stesso modo, si limitano a essere semplici contenitori, senza troppi stimoli. Nonostante siano divisi in biomi e in aree di difficoltà crescente, il gameplay si riduce sempre ad azioni molto simili.
Ciliegina sulla torta sono le meccaniche da monster catching. Per la cattura di una creatura basta infatti tenere premuto L fino al riempimento di una semicerchio. Nel mentre, però, è necessario posizionarsi di fronte alla creatura stessa, fino al riempimento completo. Un compito tedioso e poco interessante, che ruba la suspance della cattura e che risulta anche frustrante quando la creatura decide di interrompere continuamente il riempimento stesso.
Proprio Pokémon Mistery Dungeon, nonostante presenti una struttura più simile ai roguelike tradizionali come Shiren the Wanderer, è un ottimo esempio di come le meccaniche da monster catching possono arricchire un dungeon crawler. Troviamo infatti un sistema di combattimento più profondo, un sistema di sviluppo dei Pokémon alleati, affiancato da dungeon a loro modo diversi e dalla presenza di oggetti e meccaniche secondarie. Tutti elementi che in Adore mancano.
Anche l’HUB centrale, di fatto, non fa troppa differenza. Qui è infatti possibile acquistare pasti – per ottenere potenziamenti temporanei – o artefatti – per utilizzare abilità passive – ma nessuna di queste meccaniche sembra influire troppo sulla ripetitività e sul piattume generale. In altre parole, Adore sembra semplicemente poggiarsi su una struttura che funziona, senza però delineare un ecosistema che possa funzionare a dovere.
Tecnicamente migliorabile
Il comparto tecnico di Adore non è il massimo. Tanto per cominciare, il titolo presenta ambienti non troppo dettagliati, affiancati da modelli sicuramente belli da vedere, ma con animazioni troppo macchinose. Le creature stesse, di fatto, pur essendo molto belle e originali esteticamente, non sono sempre animate in modo convincente. Il comparto artistico, al contrario, risulta molto accattivante, grazie a uno stile originale e interessante, che però non basta a risollevare la produzione.
Vanno poi segnalati dei menù davvero troppo piccoli, che rendono le scritte difficili da leggere e la navigazione poco agevole.
Infine, il comparto audio si dimostra limitato, con poche tracce e ed effetti che si limitano a fare il loro lavoro.