Di titoli videoludici sul secondo conflitto mondiale ne esiste ormai una miriade, eppure altrettante software house non smettono mai di provare a stupire il proprio pubblico con esperimenti sempre nuovi. Nel caso di Aircraft Carrier Survival, come dice il nome stesso, Gambit Games Studio si è focalizzato sullo scenario bellico dell’Oceano Pacifico concentrandosi su quelle che per l’epoca erano mostri tecnologici: le portaerei.
Sebbene esistessero già durante la Grande Guerra, queste enormi imbarcazioni videro il primo impiego massivo proprio in quel contesto, e furono sfruttate da entrambi gli schieramenti (Stati Uniti d’America e Impero giapponese) con eguale sforzo, complice la natura ‘anfibia’ degli scontri. La più grande testimonianza dell’efficienza di questo tipo di navi è rappresentata dalla Battaglia del Mar dei Coralli (maggio 1942), la prima battaglia navale della Storia in cui due flotte si fronteggiarono senza effettivamente vedersi, con le sole unità aeree a fare fuoco sulle unità di superficie.
Aircraft Carrier Survival rende omaggio proprio alle portaerei, facendosi per quanto possibile documentaristico a livello di contenuti. Bisogna vedere tuttavia se il realismo che è indubbiamente conseguito da tale scelta è andato a ledere quello che a un videogioco non deve mancare mai: la giocabilità.
Aircraft Carrier Survival, le navi non dominano più il mare
Aircraft Carrier Survival ci mette nei panni del comandante (totalmente personalizzabile) di una portaerei impegnata negli scontri che insanguinarono l’Oceano Pacifico dopo l’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941.
La modalità Storia, che consigliamo vivamente di giocare solo dopo aver completato il lungo tutorial (ne avrai bisogno, fidati), prende il via proprio all’inizio del 1942, quando l’impresa bellica statunitense nelle acque orientali aveva appena avuto inizio. Essa, a differenza della modalità Sandbox,
Nostro compito è essenzialmente fare in modo che la nostra nave non venga distrutta dagli stormi giapponesi che periodicamente ci fanno piovere addosso bombe e sventagliate di proiettili, oltre a insidiarci con attacchi di sommergibili o con lo sgancio di siluri.
Tutte queste operazioni sono condotte nella maniera più realistica possibile, tanto è vero che bisogna tenere d’occhio pedissequamente non solo l’integrità della scafo, ma anche la salute dell’equipaggio, il livello di carburante e lo spazio sul ponte.
I nostri radar individuano periodicamente flotte e basi sparse per l’oceano, per cui è sempre consigliabile non lasciare nulla al caso, visto che gli attacchi sono sempre in agguato, e organizzare le difese non è mai semplice.
Così tanto da preparare, e così poco tempo
Sebbene il nome del gioco riporti il termine ‘survival‘, Aircraft Carrier Survival ha poco o niente del genere omonimo, presentando maggiormente le caratteristiche di un gestionale. Ciò è testimoniato da molteplici elementi, specialmente dalle interfacce, la cui organizzazione è tipica di quest’ultima tipologia videoludica.
Fin dai tutorial, e ancora di più affrontando le due modalità di gioco, appare chiaro che siamo davanti ad un titolo molto complesso (in alcuni casi anche troppo).
Andando per ordine: prima di affrontare ogni missione è necessario organizzare flotta ed equipaggio della nostra portaerei nel porto di Pearl Harbor. A parte alcune armi contraeree montate sopra di esse, le portaerei non erano in grado di difendersi in solitaria da un attacco diretto, fosse esso dal mare o dall’aria, ecco perché anche noi abbiamo bisogno di orchestrare e gestire le nostre navi di scorta, che durante la missione vera e propria sono tuttavia controllate automaticamente. Lo stesso discorso vale per l’equipaggio (piuttosto limitato all’inizio) e i velivoli.
Tanto le navi quanto gli aerei sono potenziabili man mano che vengono completate le missioni, sbloccandone sempre nuove tipologie che forniscono la possibilità di dare vita a strategie di battaglia sempre più efficaci. Gli aerei si suddividono essenzialmente in tre classi: bombardieri (fondamentali per le ricognizioni), torpedinieri (in grado di colpire duro in fase di attacco) e caccia (perfetti per difendere la flotta).
Percorrendo le mappe di gioco, buona parte del tempo è da dedicare alla ricerca del nemico, non sempre rappresentato dai numerosi contatti che compaiono sui radar. Ecco perché c’è bisogno di condurre le operazioni come segue: dapprima la ricognizione, utile a comprendere se il contatto è neutrale, alleato o nemico; l’identificazione, necessaria per scoprire la composizione della flotta nemica onde elaborare una strategia, e infine l’attacco, il quale è sempre preceduto da un briefing strategico rappresentato da carte strategia messe in ordine onde sortire l’effetto più devastante e al contempo limitare le nostre perdite.
Ricognizioni, identificazioni e battaglie si svolgono automaticamente dopo averle lanciate, togliendo di fatto spettacolarità al gioco, i cui momenti più d’azione sono rappresentati dagli attacchi nemici alla flotta (la camera rimane sempre centrata sulla portaerei e sulle sue varie sezioni).
Le modalità di gestione dello spazio sul ponte non sono sempre chiare, difatti, pur riuscendo a padroneggiare la gestione di pianificazione e lancio delle missioni, non è sempre chiaro come fare a liberare spazio sul ponte riponendo i velivoli non utilizzati negli hangar in stiva senza dunque inviarli in missioni non funzionali a quanto avviene in game, comportando di fatto un dispendio poco utile di carburante.
Di contro, la gestione dell’equipaggio e degli ufficiali è sufficientemente cristallina: disponendo gli ufficiali in determinate cabine dell’isola (la ‘torre di controllo/ponte di comando’) della portaerei secondo le loro competenze nelle operazioni marittime o aviatorie si possono ottenere vari bonus o malus, oltre alla possibilità di pianificare più operazioni aeree di un certo tipo alla volta contemporaneamente. Stessa cosa succede con l’equipaggio: se disposto secondo esigenza può garantire diversi vantaggi, come ad esempio difese migliori per la nave, riparazioni più rapide allo scafo e ai velivoli, soccorsi medici più rapidi o maggiore spazio sul ponte.
Qualche spinta in più avrebbe giovato
Se il gameplay, per quanto non esaltante, riesce a soddisfare i palati di chi apprezza i gestionali, da un punto di vista puramente tecnico ed estetico siamo veramente troppo indietro.
Più il tempo passava davanti allo schermo più abbiamo avuto l’impressione di trovarci, tecnicamente ed esteticamente parlando, davanti ad una versione marittima di Codename: Panzers di FX Interactive uscita nel 2007 al posto del 2004.
A fronte delle interfacce orchestrate in maniera abbastanza ottimale per la navigazione abbiamo movimenti di camera piuttosto scomodi che mal consentono di godere al meglio degli spettacoli delle battaglie o dei decolli (per quanto il tutto alla vista risulti piuttosto ‘grezzo’).
Colonna sonora ed effettistica non riescono ad esaltare, anzi, tirando le somme, si può dire che non ci abbiano minimamente provato.
Per rispondere alla domanda cruciale sul ‘realismo come morte della giocabilità‘ posta prima di parlare diffusamente di Aircraft Carrier Survival, la risposta non può che essere un deprimente ‘nì‘. Sebbene si percepisca che un sacrificio del genere in favore del realismo ci sia stato e che di fatto esso abbia rallentato il ritmo dell’esperienza, sarebbe scorretto affermare che essa sia stata del tutto rovinata da tale fenomeno a cui ormai ogni gamer ha giocoforza fatto il callo, specie quando si tratta di simulatori; gestionali; survival o titoli storici in generale.