Ancestors: the Humankind Odissey era un titolo di cui avevo sentito parlare e che dalle sue premesse mi aveva sicuramente colpito. Un’idea sicuramente affascinante quella di ripercorrere l’evoluzione della specie a cui di fatto apparteniamo sia io che scrivo, sia tu che leggi. Mi spiace solo aver letto e sentito in continuazione paragonare Ancestors al mitico Spore, un gioco di cui probabilmente molti videogiocatori hanno un ottimo ricordo, perché i due giochi di fatto condividono ben poco. L’unico punto di incontro fra Ancestors e il lavoro di Maxis è l’evoluzione, ma anche su questo punto ci sono diversissime visioni di concept.
Una vera e propria odissea
Ancestors: the Humankind Odissey è proprio quello che il nome suggerisce, un’odissea, ma ben lungi dall’essere un’esperienza di gioco soddisfacente, almeno a lungo termine. Ancestors è un titolo che più lo si gioca più diventa insostenibile. Il gioco infatti vive di una contraddizione quasi spiazzante: tanto fantastico e visionario nelle prime ore di gioco, quanto (inaspettatamente) ripetitivo e sbiadito dopo aver raggiunto neanche metà del percorso. Ancestors: the Humankind Odissey infatti, al contrario di Spore, non è dotato di un gameplay realmente progressivo. In breve, nel gioco di Maxis c’erano più gameplay differenti racchiusi in un unico titolo, si partiva da una cellula, si sviluppava una creatura pluricellulare, si costruiva la propria civiltà fino ad arrivare alla conquista dello spazio. In Ancestors, il gameplay di fondo rimane quasi sempre lo stesso, o meglio verrà arricchito da utili abilità con il passare delle generazioni e rovinato dalla continua ripetizione di determinate azioni che non premiano mai il giocatore, senza realmente farlo arrivare a una vera e propria fase evolutiva successiva.
La ripetizione e la mancanza di contenuti sono la piaga di un gioco fantastico nelle sue idee, ma anche nella loro esecuzione. Cosa succede quindi nelle prime ore? Verremo gettati con un tutorial super sbrigativo in media res, al comando di un primate facente parte di una piccola comunità. Da qui in poi verranno proposti altri piccoli tutorial, utili però solo alla corretta padronanza dei comandi; Ancestors non fornirà in alcun modo aiuti e suggerimenti per progredire. In realtà, nonostante la chiara sovrastruttura del gioco si basi su quella di un survival, dove dovremo mangiare, bere ed evitare pericoli, la finalità principale di Ancestors non è sopravvivere, ma sviluppare i neuroni della nostra comunità di primati. Probabilmente è qui che si annida la vera magia e l’unico scopo del gioco. In Ancestors: the Humankind Odissey avremo a disposizione il controllo di udito, olfatto e vista. Potremo analizzare gli oggetti osservandoli e annusandoli, persino imparare a riconoscerli con la vista, sentire con l’udito predatori in arrivo, o ancora combinare vari oggetti o farli interagire fra loro per ottenere qualcosa di nuovo. Tutte queste azioni, una volta ripetute, sbloccheranno la possibilità di accendere nuovi neuroni nel cervello del nostro primate, in un albero delle abilità non lontano dalla sferografia di Final Fantasy X.
Tutto estremamente molto bello e ispirato, se soltanto non fosse davvero tutto qui. Il sistema di combattimento contro gli altri animali che popolano il mondo di Ancestors si concretizza con la pressione di due tasti ed è tutto fuorché entusiasmante.
Il grande problema di Ancestors è che affianca a quelle che in game percepiamo come nostre stesse creative intuizioni, come il creare una rudimentale lancia affilando un ramo con una pietra, una ripetitività che lascia davvero l’amaro in bocca. Certo, potremo trasferirci in biomi con sempre nuovi elementi con cui interagire, ma il tutto viene rovinato da una progressione generazionale che non permette un’evoluzione concreta. Fra genitore e figlio, spesso finiranno per perdersi alcuni neuroni sbloccati precedentemente, un inconveniente che costringerà il giocatore a ricominciare a compiere le stesse azioni ancora ancora e ancora. Di fatto, dopo le 50 ore di farming di neuroni che il gioco richiede, concluderemo la nostra odissea con il nostro primate che cammina a malapena su due gambe.
Niente fuoco, niente veri e propri uomini primitivi, che vengono mostrati soltanto nel video di chiusura. Forse ero io ad aspettarmi fin troppo, persino di arrivare all’homo sapiens, ma qui si arriva a malapena all’homo habilis. Il gioco, quindi, considerando che si ferma proprio nel punto in cui sembra che si comincino a raccogliere i semi che si sono faticosamente piantati, sembra quasi allungato e annacquato per nascondere la mancanza di idee sul come proseguire o di fondi per realizzare un’evoluzione degna di questo nome.
Tecnicamente primitivo
Se il gioco ha già dei difetti non trascurabili, ad aggiungere un peso non indifferente, sulla discretissima valutazione che troverai alla fine della recensione, è l’aspetto grafico e tecnico. Ancestors: the Humankind Odissey è il caso di ammettere che sicuramente, nei suoi ambienti naturali ben costruiti, ha un colpo d’occhio complessivo decisamente piacevole. Il problema, un po’ come il gioco in sé, viene a crearsi dopo le prime ore di gameplay. Le texture cominciano a mostrare il loro basso dettaglio, i pop up degli orpelli ambientali tendono a farsi sempre più fastidiosi, le poche animazioni cominceranno a ripetersi e talvolta nelle scalate ci ritroveremo bloccati per motivazioni sconosciute, come se fossimo fermati da muri invisibili. Fortunatamente, non ci sono molti bug ad affliggere il gioco, ma capita spesso di impigliarsi fra gli assets. Totalmente inaspettata la buona qualità del comparto sonoro, su cui probabilmente è stato posto l’accento per via della meccanica di gameplay dell’udito. Ancestors infatti propone rumori della natura e versi degli animali davvero realistici, al punto da consentire un immersione nell’ambiente piuttosto efficace.