Prima del gioco, arrivò il cabinato. La magia di After Burner non risiede in raffinate meccaniche ludiche, quanto nella maraviglia di sedersi davanti ai comandi di un F-14 Tomcat.
Prima ancora di essere inquadrato come tie-in non ufficiale di Top Gun, After Burner, mastodontico e coreografico cabinato approdato in sala giochi nel 1987, appare come degna trasposizione videoludica del concetto di estrema libertà che fa da sfondo al celebre brano firmato da Domenico Modugno.
Se la hit del cantante di origine pugliese rappresenta, per certi versi, il picco massimo raggiunto dalla musica italiana nel mondo, After Burner simboleggia, meglio di qualunque altro titolo arcade, il periodo d’oro delle sale giochi di fine anni ’80.
Una sorta di pindarica navetta in viaggio nel tempo e tra continenti, torniamo a Tom Cruise.
Siamo nel 1986 quando al cinema approda la pellicola Paramount diretta da Tony Scott e interpretata dal giovane attore, astro nascente del patinato mondo hollywoodiano e, nel caso di specie, interprete del tenente Pete “Maverick” Mitchell, talentuoso aviatore della marina militare statunitense.
In sottofondo, le note dei Berlin con l’iconica “Take My Breath Away”. Abbastanza per conquistare i cuori e le menti di chiunque, all’epoca, si fosse ritrovato anche per caso in una sala cinematografica. Tra questi, c’era pure Yu Suzuki. Sì, quello di Shenmue. Sì, quello di Space Harrier, Hang-On e Out Run. Insomma, uno che i giochi, già all’epoca, li sapeva fare.
Uno che lavorava per una compagnia che era già sinonimo di cabinati lussuosi e costosi. Bene, After Burner lo era ancora di più. Piuttosto che riprodurre la sola cloche di un caccia, la versione deluxe del coin-op riproduceva l’intero abitacolo del caccia, dotato di doppia rotazione idraulica.
Il Cabinato Arcade e la sensazione di “immergersi”.
La sedia del giocatore, immerso nella macchina, ruotava orizzontalmente. L’intero abitacolo ruotava pure lui, ma verticalmente. L’apoteosi dell’immedesimazione.
Gameplay .. ci sembra un assistere ad un nostro Déjà vu
Il gameplay è ereditato da Space Harrier, altro “caso” da dietrologia acuta. E da Space Harrier importa, oltre all’engine grafico, anche pregi e difetti. Vero, il concept alla base di After Burner è semplicistico. Il pilota, infatti, è chiamato, da un lato, ad abbattere gli aerei nemici a suon di cannoni e missili. Dall’altro, ancor più difficile e importante per dare un senso alle monete infilate nella gettoniera, il giocatore dovrà sopravvivere, salvaguardando il proprio caccia evitando, quindi, il fuoco incessante e le collisioni.
L’orgia di colori, proiettili, missili e velivoli non concede tregua e l’incalzante e sintetizzata colonna sonora rende il tutto più veloce e frenetico.
La buona direzione artistica unita, appunto, al gran senso di velocità e immersione compensano, insomma, i difetti oggettivi dell’opera Sega, poi meritevole di un seguito diretto e innumerevoli conversioni.
Ancora, il titolo originale merita due diverse conversioni per Commodore 64. Una per il mercato statunitense e un’altra, come spesso accadeva, per il mercato europeo, affidata a un altro sviluppatore e a un altro publisher. A prescindere dalla qualità, comunque altalenante, dei titoli, è innegabile come l’essenza stessa del gioco sfumi fino a scomparire in un normale salotto.
Un Jet In Salotto
Come per i grandi successi arcade del tempo, anche After Burner ha goduto di diverse conversioni per i sistemi casalinghi dell’epoca. Curiosamente, proprio come accadde per Street Fighter e altri giochi, anche lo sparatutto Sega ha avuto due diverse conversioni per Commodore 64. Semplice questione di diritti legati ai diversi mercati. Sull’home computer a 8-bit, infatti, nel 1988 uscirono sul mercato la versione USA, pubblicata da Mindscape, e quella Europea, edita, invece da Activision.
Nonostante il concept di base sia lo stesso, ovvero quello del coin-op originale, le due conversioni si differenziano per grafica e gameplay.
Il titolo Mindscape è sicuramente più simile, visivamente, all’originale da sala, ma la versione per il Vecchio Continente è sicuramente più veloce e frenetica, pur perdendo qualcosa in termini di fedeltà grafica.
Impossibile, fuori dalla sala giochi, restituire lo stesso feeling e la stessa magia di quel imponente coin-op.
Imponente ed enorme, enorme e roteante. Impossibile, anche, istillare su un semplice monitor, un pad o un normale joystick, quella sensazione di essere lì, nello stesso F-14 di “Maverick” sognato con sguardo ebete davanti al poster di Top Gun appeso in cameretta.
Impossibile, infine, dividere quel giochino dal suo cabinato. Sarebbe opera da macellai, quando invece noi, alla fine degli anni ’80, volevamo solo essere piloti per volare nel blu.