Ah, i roguelike. Un paio di titoli buoni divenuti famosi ed ecco che questo genere, questa etichetta videoludica ha iniziato a sbucare dappertutto. Steam, e forse ancora di più Epic Games Store, sono piattaforme letteralmente invase da questo marchio infuocato e procedurale. Ma cosa sono davvero questi roguelike? Perchè riscuotono ormai da anni così tanto successo? Perchè gli sviluppatori indipendenti sembrano non pensare a nient’altro? Perchè, secondo l’autore di questo articolo, tale genere ha fracassato l’anima? Dopo l’ennesima uscita su Steam, da noi appena recensita, Gunnhildr, parliamone.
In principio fu Rogue
Nonostante il titolo altisonante che abbiamo dato a questo paragrafo, Rogue non era tutto questo gran videogioco. Risalente al 1980, questo titolo a livelli, anzi, a dungeon procedurali presentava una grafica poverissima, fatta di caratteri ASCII (per intenderci, -, +, #, @, questi caratteri) su schermo nero e poche indicazioni a fondo schermo. Cinque anni dopo sarebbe uscito Super Mario Bros e per i videogiochi dalla grafica “improvvisata” sarebbe stata definitivamente la fine. Allora ti starai chiedendo: “Quindi il problema era la grafica non esistente? L’idea di fondo era buona, invece”. Beh, una cosa è sicura, tremila anni dopo, tutti gli sviluppatori indie dell’universo devono essersi chiesti la stessa cosa.
Il genere roguelike
Come dicevamo, qualche sviluppatore, seguito poi da tutti gli altri, deve essersi ricordato di Rogue. Costoro avranno pensato che Rogue, rifatto con una pucciosa grafica 8-bit e delle musichette nostalgiche tipiche di quegli anni, avrebbe potuto spaccare il mercato. In un certo senso avevano ragione. Il retrogaming non è mai morto. Così come qualunque altra categoria retrò, che riguardasse anche moda, automobili o film. I cultori delle perle del passato ci sono sempre stati e, per carità, a buon diritto.
In particolare i videogiocatori non hanno mai dimenticato i capolavori della loro infanzia, arrivando a idolatrarli forse oltre il limite del buon senso. Insomma, il roguelike combinava una presunta buona idea con l’amore per i pixel: doveva funzionare.
Quantità VS Qualità
Dunque, dal 2011 circa in poi, i roguelike hanno iniziato a fiorire come spore batteriche nel bagno di una stazione metropolitana di periferia. Da The Binding Of Isaac a Enter The Gungeon, per passare da Dungeons Of Dredmor fino a Hades. Un genere fertile come pochi. Il problema, tuttavia, è sempre lo stesso. Qualcuno ha una buona idea, azzecca un paio di cose, sforna un buon prodotto ed ecco che, come per magia, il mercato ribolle di cloni di quel dannato paziente zero. Alcuni sono alla pari, altri migliori, molti peggiori. Ma, in breve tempo, non si vedono altro che centinaia di titoli tutti uguali, senza alcuna originalità. Persino peggio dell’esercito di giochi horror nati sulla scia di Amnesia o Outlast.
Tutti uguali…
Lo schema è sempre lo stesso. Livelli sempre diversi: ovvero livelli dannatamente simili perchè, ovviamente, basati sulle stesse grafiche e script. Permadeath: un’enorme seccatura in un gioco in cui morire è estremamente facile e frequente, specie durante le prime partite. Caratteristiche in comune: persino in una nostra vecchia classifica sui migliori roguelike non è difficile rendersi conto dell’estrema somiglianza tra i titoli.
Il problema di questo genere sta tutto qui. Resident Evil e Silent Hill, per fare un esempio, sono due serie videoludiche appartenenti allo stesso genere, eppure sono enormemente diverse fra loro. I roguelike, esattamente come i livelli che li compongono, sono troppo spesso molto simili.
…e facili da programmare
Potremo suonare arroganti con quest’ultima insinuazione, ma uno dei motivi per cui i roguelike hanno spopolato così tanto risiede proprio nel fatto che programmarli è più semplice che cimentarsi in altri tipi di progetto. Innanzitutto, si può tranquillamente prendere il concetto di level design e buttarlo nel cesso. Dopodiché basta creare le basi per quelli che saranno i livelli auto-generati ed il gioco, letteralmente, è fatto. Probabilmente è per questo motivo che i roguelike spesso sembrano un continuo reskin di capitoli precedenti, in pieno stile Demone della Forgia blu di Dark Souls 2. Anche da un punto di vista grafico è certamente più semplice lavorare con 4 pixel in croce, grazie alla famosa scusa del retrogaming.
Arrivano i roguelike 3D
Fiutando l’odore di noia da parte dei giocatori, alcuni sviluppatori hanno pensato di alzare la posta di in gioco. Ma sempre e soltanto da un punto di vista grafico. Ecco dunque che scompaiono i pixel e si passa al 3D, tentando un goffo ritorno al ventunesimo secolo. Alcuni giochi hanno anche un motore grafico usato a dovere.
Sta di fatto che la solfa è sempre la stessa. Livelli sempre diversi eppure intrinsecamente uguali, orde di nemici senza alcun carisma, boss di turno e via che si ricomincia. Che noia. La questione, quindi, è: il roguelike non merita di costituire un genere a sé stante oppure è solo difficile da rendere adeguatamente e in maniera originale? Un po’ entrambe le cose.
Mancanza di originalità
Chiudiamo qui questo lungo lamento dicendo che il problema principale e non tollerabile di questo genere videoludico risiede nella mancanza di originalità di molti titoli. Una storia che spesso non è altro che un contorno ad un gameplay già trito e ritrito. Ambientazioni sempre più assurde ed improbabili in un palese, disperato tentativo di proporre al pubblico qualcosa di diverso seguendo però sempre la stessa identica ricetta.
Insomma, oh sviluppatori, partorite una qualche idea decente su questi dannati giochini procedurali oppure, semplicemente, cambiate genere. Se ci riescono i developer di giochi gestionali, potete farcela anche voi.