Quello di Artifact si avvicina sempre più al monitoraggio costante ma sfiduciato di un malato terminale. Il gioco di carte collezionabili di Valve, a distanza di un mese dal nostro ultimo check-up, non sembra ancora sortire alcun miglioramento nelle sue già precarie condizioni di salute. Dopo tre mesi dalla sua inaugurazione su Steam, infatti, Artifact raggiunge a stento i mille utenti giocanti in contemporanea al giorno.
Tre (e mezzo) le cause scatenanti di questo morbo micidiale: la prima, e certamente la più fondamentale, è il costo del gioco su Steam, che si aggira sui diciotto euro, cosa che lo rende decisamente meno appetibile sul mercato di tutti i suoi concorrenti, dichiaratamente free-to-play. Trattandosi questa di una fetta di mercato dominata dai grandi vecchi (Hearthstone in primis, seguito a ruota dal più recente – ma solo per il formato digitale – Magic: The Gathering Arena e dal bethesdiano The Elder Scrolls – Legends) e con una continua erosione da parte di nuovi concorrenti (come l’ottimo Mythgard, che ho avuto il piacere di recensire), è chiaro che un costo d’accesso così elevato lo renda meno appetibile.
La seconda è, a detta dell’utenza stessa, la frustrazione che viene da un sistema di gioco decisamente freemium, dove non vince la miglior tattica ma semplicemente chi spende di più per ottenere le carte migliori. Sebbene in molti titoli del genere ciò risulti rilevante ancorché sopportabile, in un titolo che già di suo presenta un elevato costo d’acquisto ciò non può che essere considerato un ulteriore scoraggiamento, specialmente considerando che a) non sono previsti rimborsi per chi apre i pack gratuiti di benvenuto, e b) è possibile acquistare in gioco carte singole ad un prezzo superiore a quello del gioco stesso.
La terza causa è infine la complessità del gioco stesso: essendo un gioco di carte collezionabili direttamente mutuato dalle dinamiche di un MOBA come DotA 2, la scelta di usare tre differenti corsie di gioco, deck randomizzati e criteri di vittoria alquanto bizzarri, lungi dal rendere l’esperienza di gioco più interessante finisce per mostrare una certa macchinosità, decisamente poco intrigante.
Se poi a questo si aggiunge l’attesa pluriennale della fan base per un terzo episodio per praticamente tutti i suoi franchise di successo (non a caso Gabe Newell è noto come “l’uomo che non sa contare fino a tre”), si capisce che l’utenza, piuttosto che apprezzare il costosissimo antipastino offerto da Artifact, vorrebbe finalmente vedersi servita la portata principale che tanto ha atteso.
Nella speranza che non si sia raffreddata troppo.