Back Again è un semplice platform in cui dovremo saltare di piattaforma in piattaforma per andare dal punto A al punto B. Indubbiamente è una presentazione semplice, che non tiene conto dell’atmosfera artistica che permea questo titolo, ma allo stesso tempo esiste anche un ulteriore fattore che distingue Back Again dalla massa dei platform: dovremo fare tutto in prima persona e senza riferimenti visivi.
Facciamo un passo indietro e vediamo perché ho deciso di recensire Back Again. Un perché che in realtà è abbastanza semplice da intuire se hai letto qualche mio lavoro qui su iCrewPlay: io adoro i giochi in prima persona dall’atmosfera onirica, misteriosa e filosofeggiante. Una passione che mi ha portato a giocare molti titoli di scarsa qualità, ma anche a scoprire alcune perle come Ever Forward o quell’assurdo capolavoro di Recursive Ruin.
D’altronde Back Again ricorda molto nelle premesse proprio i due giochi da me appena citati, a partire da chi c’é dietro la realizzazione. Non ho trovato molte informazioni su Manning Games, ma tutto quel poco che ho letto porta a pensare che sia un solo ragazzo ad essersi occupato di tutto. Un’idea che si sposa bene con la semplicità del prodotto finale. Uscito originariamente per Steam nel 2021, Back Again viene adesso distribuito anche su console da Eastasiasoft.
Insomma, questo gioco mi colpisce su un nervo scoperto, ma quante volte ci siamo fatti attrarre da una confezione luccicante, solo per aprirla e trovarci dentro qualcosa di puzzolente? E’ un richiamo tanto irresistibile quanto rischioso. A volte trovi i gioielli, altre volte i sassi. Funziona così, vero, ma Back Again che cosa è? Un sasso, un gioiello o semplicemente una confezione vuota?
Chi siamo?
Back Again non ha una vera e propria storia. All’avvio è come se aprissimo gli occhi per la prima volta mentre una voce nella nostra testa ci informa che ha stima di noi e che ci attendono una serie di prove. Per quale obiettivo finale, non è assolutamente chiaro, sappiamo solo di dover raggiungere quella colonna di luce sullo sfondo e che molti altri hanno già fallito.
D’altronde la maggior parte di coloro che hanno desistito li possiamo vedere chiaramente, manichini spesso senza vita che ci accompagneranno per tutto il nostro percorso. La maggior parte di loro, ci informa la voce, hanno rinunciato di fronte alla difficoltà della sfida. Dopo l’ennesimo fallimento, si sono semplicemente fermati, allegoria massima del videogiocato, ma noi siamo diversi… o almeno questo ci ripetiamo noi stessi e ci ripete la voce.
Proprio la voce, nei suoi deliri filosofici, sarà l’unico compagno che avremo nel nostro viaggio. La sentiremo ad ogni checkpoint che ragiona su temi astratti, oltre che ogni volta che cadremo nel vuoto o verremo colti da un ostacolo. Il suo “back again” accompagnerà ogni nostro respawn, ogni nostro tentativo, senza mai stancarsi. L’intera vicenda ha ovviamente una svolta finale, ma, a essere onesti, il comparto narrativo di questo gioco è un semplice orpello che passa presto sullo sfondo.
Ciò che invece si percepisce in modo massiccio, dall’inizio alla fine della nostra run dentro Back Again, è l’atmosfera. Un mondo di nero, bianco e rosso in cui le piattaforme galleggiano immobili e l’unica cosa che si muove sono gli ostacoli e i manichini. L’intero ambiente rimanda un senso onirico di ignoto, occulto, misterioso ed allo stesso tempo crea ansia e pressione nel videogiocatore. Cosa stiamo facendo e perché?
Perché avanzi?
Il gameplay di Back Again è di una banalità disarmante. La base stessa del genere platform. Oltre alle varie direzioni per muoverci e per muovere la telecamera, avremo un solo tasto da usare: quello per saltare. In tal senso Back Again è un videogioco minimale. Dovremo semplicemente saltare da un checkpoint all’altro (20 in tutto) cercando di non cadere nel vuoto o di colpire gli ostacoli rossi luminosi. Se avverrà, torneremo all’ultimo checkpoint e dovremo ripetere tutto.
La vera difficoltà di Back Again non è insita però nel suo essere platform, anche se alcune sezioni di platforming sarebbero complesse persino in condizioni normali, quanto nella sua visuale in prima persona. Non esiste infatti alcuna ombra o altro riferimento che ci aiuti a capire dove cadremo. Dovremo letteralmente saltare nel vuoto, basandoci sul movimento che crediamo di aver fatto e sulla posizione degli altri oggetti intorno alla piattaforma che vogliamo raggiungere. Una serie infinita di salti della fede.
L’intero impianto di sfida è quindi questo e Back Again lo sa bene, gioca con il suo level design in modo da rendere sempre più sfuggenti e difficili da notare i riferimenti visivi. La vista resta la nostra principale risorsa ed il gioco si diverte ad alterarla tramite illusioni ottiche, punti di vista scomodi e molto, molto altro. Se in alcuni titoli la telecamera scomoda è un errore, qua è un elemento di gioco ricercato per aumentare il livello di sfida. Anche le sezioni dove avremo il superscatto ed il supersalto fanno leva proprio su questo.
Il risultato è, ovviamente, che Back Again è un platform molto frustrante. Basta un minimo errore per scivolare nel vuoto e dover ripartire dall’inizio, magari proprio quando si era ad un salto di distanza dal checkpoint successivo. Il gioco memorizza solo le sezioni in cui dobbiamo premere delle piattaforme, ma, in ogni altro caso, tutto sarà annullato ad ogni morte. Non aiuta che basta sfiorare un ostacolo per essere distrutti o che a volte tenderemo a “scivolare” anche se avremo raggiunto la piattaforma che volevamo.
Dove siamo?
In Back Again quello che sicuramente lascia a bocca aperta e affascina il videogiocatore è il comparto artistico. Graficamente lo scenario di gioco è volontariamente spoglio, ma sfrutta questa vuotezza per generare una grafica lucente ed onirica che si sposa alla perfezione con l’atmosfera del titolo. Di per sé non sarebbe una grafica così stupefacente, se non fosse che, associata con il resto, riesce a raggiungere un risultato complessivo spettacolare.
Quello che ho davvero amato è il level design ed il modo in cui bianco, nero, grigio e rosso lucente si mischino in questo per dare ad ogni sezione del gioco (quelle che vanno da checkpoint a checkpoint) una propria identità. La forma delle piattaforme ed il modo in cui sono disposte è geniale e rivelano che c’é stato un profondo studio delle prospettive e delle meccaniche della fisica di gioco. L’architettura di Back Again è di per sé una piccola opera d’arte.
A completare il risultato finale ci sono poi due elementi. Il primo di questi sono i manichini, l’unica effettiva decorazione dell’ambiente di gioco se escludiamo piattaforme ed ostacoli. Questi sono sempre disposti in modo diverso, alcuni si muovono, alcuni sono immobili, ma tutti contribuiscono a generare uno scenario alieno ed inquietante. Il fatto che poi alcuni di questi siano posti in pose che canzonano il videogiocatore, è un tocco di classe.
Merita elogio infine anche il secondo elemento: la musica. Questa ci accompagnerà lungo tutto il nostro viaggio e sarà parte integrante di esso. Sarà questa colonna sonora incessante a dettare il ritmo del gameplay, alternandosi tra sinfonie calme e rilassate vicino ai checkpoint per passare a pezzi più incalzanti nelle fasi di platforming. Più la musica diventa incalzante, più dovremo aspettarci una sfida difficile davanti a noi. Di per sé il lavoro artistico di Back Again rasenta la perfezione.
Di nuovo qui?
Concludendo la nostra recensione di Back Again e tirando le fila di tutto quello che abbiamo scritto, possiamo disegnare i tratti di un gioco difficile, frustrante ed in parte spoglio e semplice nella sua forma, ma che nonostante questo riesce a donare al videogiocatore un’esperienza appagante, soprattutto se si amano le atmosfere oniriche ed i platform difficili. L’idea di affidare tutto alla visuale in prima persona è un’ottima trovata.
Non abbiamo però ancora parlato del principale problema di Back Again, un problema che è suggerito dalla sua semplicità, ma non è insito in realtà dentro il gioco stesso. No, non mi sto riferendo al fatto che sia solo in inglese quanto che bastino due/tre ore per completare tutto. Inoltre, non ha dei veri e propri motivi di rigiocabilità. Esiste solo una modalità extra che invita ad affrontare il gioco senza mai morire, ma questa è più motivo di frustrazione aggiuntiva che di curiosità.
Sia chiaro che Back Again non ha neanche un costo elevato, anzi… per quello che offre lo ritengo un prezzo più che giusto. Su Steam, dove ricordo è uscito nel 2021, viene meno di 1 euro, 0,79 centesimi per la precisione. Costa un poco di più nella sua versione più recente per Nintendo Switch e PlayStation 4 e 5. Ritengo comunque che una spesa di poco inferiore ai 3 euro sia più che accettabile per un gioco così curato, ma che conclude il suo dovere in una serata.
A conti fatti, quindi, sotto la carta luccicante di Back Again c’é si un gioiello, ma uno molto più piccolo di quanto sarebbe lecito aspettarsi. Ti aspettavi un diamante grosso come un pugno ed invece ti ritrovi un cristallino swarovski grande meno di un’unghia. E’ bello, è luccicante, è appagante, ma è poco. Questo è Back Again: poco. Un ottimo esperimento che fa rimpiangere non ci sia di più dietro. Così come è, non è altro che una specie di demo artistica, come quelle che tanto erano comuni sulle prime due PlayStation.