Sin dall’alba dei tempi, l’uomo è rimasto fedele solo ad una cosa: la guerra. Che si trattasse di sopravvivenza o supremazia, per amore o per vendetta, per denaro o religione, fazioni opposte si sono scontrate per sostenere la propria posizione.
Certo, il mondo dei videogame vede il sangue solo nei pixel, per cui è una violenza decisamente più ovattata rispetto al roteare un’ascia bipenne contro la testa di un malcapitato avversario, ma può essere altrettanto logorante.
Dalla nascita dei videogame moderni per come li intendiamo noi, vale a dire dalla PlayStation in poi, si sono alternate diverse case produttrici, altrettante console, ognuna delle quali con i propri fedeli sostenitori dando il via alla console war.
Inizia la guerra
Da che le console sono uscite sul mercato, c’è sempre stata diatriba tra i seguaci delle diverse case produttrici. Insomma tra sonari, boxari e nintendari(?) non sempre corre buon sangue; questo fenomeno conosciuto come console war è un fenomeno dunque di vecchia data, ma perché accanirsi tanto? Cosa cambia al gamer se un’altra persona con cui non può nemmeno giocare acquista orgoglioso tecnologia rivale?
Fondamentalmente nulla, anzi direi proprio niente; si tratta di facezie su cosa renda migliore una console rispetto ad un’altra, ma se da un lato è motivo di discordia in una community, dall’altro è il bello del mercato libero.
Ma allora perché prendersela tanto per una scelta che non si ripercuote in nessun modo verso altri utenti di altre piattaforme? Sarà l’invidia, o qualche malvagio istinto umano? In realtà è un fenomeno tanto semplice quanto istintivo, ecco cosa succede nelle teste dei fomentatori della console war.
Intergruppi e pregiudizi
Guelfi e ghibellini, milanisti e interisti, boxari e sonari, tutti questi gruppi hanno in comune determinate caratteristiche, studiate da Muzafer Sherif, noto psicologo turco che svolse importanti esperimenti sui gruppi intorno al 1950.
Durante questi esperimenti al Robbers Cave State Park, Sherif e collaboratori presero in esame diversi gruppi di ragazzi per un periodo di due settimane. Durante questi periodi di osservazione, i ricercatori svolsero diverse attività per osservare i comportamenti di vari gruppi di ragazzi.
Salterò ovviamente noiosi dettagli riassumendo in breve l’esperimento:
- I ragazzi arrivano al campo estivo, possono sistemarsi e giocare liberamente con tutti i membri del gruppo.
- Tutti i partecipanti al campo estivo vengono coinvolti in giochi dove partecipano tutti i ragazzi senza distinzioni.
- Dopo la prima settimana le dinamiche nel gruppo si sono formate; a questo punto i ricercatori dividono i ragazzi in 2 squadre, separando a volte amici nei due schieramenti.
- Le due squadre vengono messe in competizione in ogni attività del campo in un sistema a torneo con premi e punizioni.
- In breve tempo qualunque rapporto intergruppo (di membri appartenenti ai diversi gruppi) si deteriora: iniziano ostilità e la formazione di stereotipi negativi verso le squadre avversarie.
- Si osserva che anche terminate le gare e le fasi del torneo, le squadre non diminuivano astio e atteggiamenti discriminatori verso gli avversari indipendentemente dal risultato ottenuto.
Gli scopi di natura competitiva, sono stati la causa scatenante di una profonda scissione tra le due squadre, creando tensione tra i due gruppi di ragazzi prima amichevoli tra loro. Per analizzare le dinamiche per i gruppi, Sherif introduce un nuovo evento.
Uniti si vince
Il camion che porta gli alimenti al campo è bloccato nel fango, le due squadre possono sbloccare il furgone solo cooperando per un fine comune. L’ostilità passa in secondo piano visto che il problema della consegna dei generi alimentari è una priorità comune. Le due squadre infatti collaborano a pieno ritmo per liberare il furgone contenente il cibo.
In seguito tra i gruppi rimane un clima collaborativo anche se non si riesce a sopire completamente la rivalità sportiva. Da questo esperimento si osserva come un gruppo possa essere scisso in maniera drastica, soprattutto senza un motivo reale e concreto.
Questo stesso esperimento potrebbe essere egregiamente applicato alla console war; se prima si giocava indistintamente ai videogame, la divisione del mercato in due o tre aziende produttrici di console ha creato una competitività non razionale tra i vari gruppi.
Un meccanismo istintivo e non voluto ci porta a difendere le nostre scelte, creando un gruppo in cui ci identifichiamo per una scelta comune, come l’acquisto di una determinata console. Eseguendo una scelta come questa, inconsciamente siamo portati a difendere la nostra decisione dandola per giusta.
Questo fenomeno di “razzismo” è una causa scatenante di diverse guerre o separazioni di popolazioni. Sia religione, politica o una console, l’uomo è portato a schierarsi in difesa della propria scelta, eleggendola a verità indiscussa con tutti i possibili risvolti.
La fine dei conflitti
Nell’esperimento di Sherif come in altre situazioni con gruppi divisi, l’egoismo ha trionfato frammentando una comunità che prima non presentava grosse probematiche. La comparsa di un problema comune alle fazioni ha però creato subito un clima di cooperazione abbattendo i pregiudizi tra i vari gruppi.
Riportando questi principi nella console war possiamo ben capire quanto questo conflitto edonistico non porti nessun tipo di vantaggio, anche perché se il mercato diventasse monopolio di una sola console, la dipartita di ogni concorrenza non motiverebbe più la ricerca e lo sviluppo di prodotti e supporti d’avanguardia.
Il sistema attuale vede due o tre grandi aziende che lavorano sullo stesso mercato, ma operando in maniera differente. Non esiste un modo giusto e uno sbagliato, ogni prodotto, è il risultato del lavoro di persone diverse che operano in maniera differente; non si può dire che una console sia superiore ad un’altra in tutto, ogni apparecchio sviluppato ha sicuramente punti di forza e punti deboli.
Grazie alla concorrenza queste lacune possono essere colmate, regalando a noi utenti un’esperienza migliore. Ci ricordiamo quando PS Now una interessante offerta di Sony per le sue console, dopo un esordio non proprio aureo, si è ripresa ispirandosi alle scelte di Xbox Game Pass. Senza le idee di Game Pass, PS Now sarebbe stata in grado di riprendersi?
Senza una concorrenza che sproni il miglioramento, potremmo giocare a titoli in 4k con tutte le migliorie tecniche e grafiche sviluppate negli ultimi anni? Non potremmo mai saperlo, ma resta il fatto che se esistesse solo una console al mondo, la ricerca sarebbe avanzata meno speditamente, molti titoli non sarebbero mai nati e forse, noi non saremmo qui ora a parlarne.
Basta console war
Di recente anche Phil Spencer, capo della divisione Xbox si è espresso chiedendo di cessare le ostilità, rilasciando una eloquente intervista a Washington Post.
L’idea che per far crescere l’industria, alcune aziende debbano avere successo e altre debbano fallire, non aiuta i giochi a raggiungere il loro potenziale. Dovremmo essere spinti ad aiutare il gioco man mano che un’industria cresce, affinché i creatori possano sperimentare liberamente. Quando esce un grande gioco, dovremmo applaudirlo, che si tratti di PC, PlayStation o Switch.
Dovremmo concentrarci su questo settore che amiamo e vederlo continuare a crescere. E dovremmo proteggerlo dai problemi che ha. Se vogliamo spendere energie, andiamo a spenderle per parlare di giochi, non “il mio pezzo di plastica è migliore del tuo”. Non credo sia una conversazione produttiva in tutto questo.
Il fine ultimo di ogni apparecchiatura per videogame è regalare un’esperienza unica di intrattenimento, non di schiacciare un’azienda concorrente. Nessuno ha mai fatto caso che nelle varie console war gli utenti di PC sono rimasti indifferenti a questi schieramenti?
Nessuna diatriba accesa come quella tra console diverse ha infestato il mondo dei PC che sono rimasti concentrati su quello che tutti noi amiamo: i videogame. Se noi utenti smettessimo di litigare e iniziassimo solamente a goderci i titoli disponibili, non sarebbe molto meglio?