Prima di entrare nel dettaglio della recensione di Blade of Time, ritengo doverosa una premessa: personalmente sono dalla parte di quei publisher e sviluppatori che ripropongono titoli di nicchia del passato sulle console attuali.
Giochi che magari non hanno riscosso il giusto successo la prima volta, possono essere riscoperti, mentre titoli che si sono rivelati influenti e importanti nella storia del medium possono essere rivalutati come meritano.
Da Onimusha a Okami, ci sono tantissimi giochi del passato che mi piacerebbe rivedere su Switch; ma nella lista di titoli delle scorse generazioni che ancora potrebbero arrivare sulla console Nintendo non riesco a immaginare qualcuno realmente interessato a rivedere Blades of Time.
Non è mai stato un capolavoro e il tempo ha giocato a suo sfavore.
Un po’ Lara Croft, un po’ Principessa di Persia
Uscito originariamente nel 2012, Blades of Time arriva alcuni anni dopo i primi Devil May Cry e God of War, un periodo in cui i titoli action/adventure spopolavano, condividendone in parte la struttura.
Il che non è necessariamente una cosa negativa: dovremo passare da una stanza all’altra, risolvere puzzle elementari e naturalmente combattere orde di nemici.
La trama, molto stereotipata, è poco più di un pretesto per entrare in azione: una procace cacciatrice di tesori in abiti succinti riesce prima di altri suoi pari a catapultarsi a Dragonland, alla ricerca degli inestimabili tesori contenuti nella dimensione.
E’ un gioco abbastanza lineare, con delle sfide occasionali da affrontare per avanzare; siano esse porte chiuse di cui dovremo trovare gli interruttori o aree dove utilizzare un particolare salto per procedere, chiunque abbia mai giocato uno dei classici menzionati in precedenza si troverà a proprio agio con il gameplay alla base di Blades of Time.
Come in molti titoli di questo genere, Ayumi raccoglie le anime dei nemici eliminati e le scambia per abilità speciali; come Bayonetta dovrà consegnare questo bottino a un tipo che sbuca all’improvviso; in questo caso non saranno scene divertenti ma semplicemente una statua che dice alla protagonista “dammi delle anime e ti aiuterò”. Fine. Nessuna particolare caratterizzazione ulteriore in questo particolare rapporto.
Il concetto più interessante del gioco sta nell’abilità di manipolare il tempo. Ayumi, questo il nome della protagonista, acquisisce durante la sua avventura un bel po’ di abilità che la aiuteranno nell’affrontare trappole e combattimenti, ma la più interessante è quella che le consente di riavvolgere il tempo.
Ricorrendo a questa abilità, verrà creato una sorta di duplicato temporale di Ayumi che inizierà a percorrere a ritroso il percorso fatto e a ripeterne le azioni.
Per meglio comprendere il concetto è utile menzionare il primo puzzle in cui utilizzeremo questa capacità: per potere procedere dovremo aprire una porta mediante la pressione contemporanea di due piastrelle. Essendo una persona sola, la soluzione è premere la prima piattaforma, correre verso l’altra e quindi attivare l’abilità che farà si che il nostro duplicato tornando al punto di partenza prema anche la seconda piastra. Così facendo “saremo” su due piattaforme allo stesso momento e la porta si sbloccherà.
Questa particolare abilità, utile sia nei puzzle che in combattimento, è una bella idea che porta il giocatore ad approcciarsi alle sfide in un modo diverso rispetto agli altri cloni di Devil May Cry.
Sfortunatamente, il gioco nel complesso è mal sviluppato e pieno di bug; sprecheremo parecchio tempo alle prese con controlli imprecisi, camera traballante e boss fight poco interessanti; troppi difetti per goderci appieno il titolo.
Anche nell’aspetto, la versione per Switch è di basso livello. Il frame rate in certe parti del gioco fa rabbrividire, mi è capitato anche un bug parecchio strano per cui una parte del livello sembrava andare più veloce rispetto al resto; questo bug, avvenuto nel corso della prima boss fight, mi ha reso impossibile colpire il boss dato che si era già spostato. Superata, con molta fatica, questa sezione sono stato ricompensato da un filmato fuori sincrono e dal totale crash del gioco con annessi dati corrotti e restart completo inevitabile. I dolori di un redattore!!
Segnali di Stile
Nonostante a livello qualitativo Blades of Time appaia innegabilmente datato, da un punto di vista puramente visivo se la cava sorprendentemente bene. Gli ambienti sono vibranti, quasi al punto da distrarre; il gioco è stato pensato avendo in mente i grandi schermi televisivi, quindi in modalità handheld qualche dettaglio potrebbe sfuggire. I nemici sono vari e ben dettagliati.
Un piccolo discorso a parte va fatto per Ayumi: la sua caratterizzazione è quella di una Lara Croft che decide di spogliarsi e raccogliere i capelli in due code. Ok ad un pubblico maschile potrebbe piacere il suo costume fatto di hot pants, bikini e codini, ma il costume nel suo complesso non ha diversa motivazione dall’essere sexy.
Tutti gli sforzi compiuti nel design sono vani, dato che Blades of Time non fa nulla per aiutare il giocatore ad immergersi nel mondo di gioco. Teoricamente, Ayumi è un’intrepida cacciatrice di tesori in procinto di scovare un tesoro leggendario in un mondo perduto ma nulla nella trama ci spinge nel viaggio alla ricerca di El Dorado.
Il doppiaggio, anche in italiano, è discreto e i dialoghi sono funzionali.
Per strada troveremo alcuni appunti di precedenti esploratori e Ayumi ha la fastidiosa abitudine di commentare qualunque cosa veda avanzando; il che, da un lato ci fa pensare che gli sviluppatori hanno pensato di dare un contesto all’azione, ma d’altro canto è un’idea eseguita abbastanza male per essere piacevole.