Il 2021, tra i tanti anniversari videoludici (ne abbiamo parlato qua), segna anche il 30esimo compleanno della Sylicon & Synapse, meglio conosciuta oggi come Blizzard Entertainment.
Che sia marketing o meno, ricorrenze così importanti vanno celebrate e per questo, un po’ a sorpresa, nel corso dell’ultima BlizzConline la compagnia ha annunciato l’uscita della Blizzard Arcade Collection. Si tratta di una vera e proprio capsula del tempo, che rispolvera tre classici di un passato remoto, quando Warcraft e Starcraft erano ancora di là da venire come lo stesso Diablo.
I tre titoli prescelti per questa operazione nostalgia sono The Lost Vikings, Blackthorne e Rock N Roll Racing; si tratta di titoli usciti negli anni ’90 e che non vedevamo dall’epoca del loro porting per GameBoy Advance nel 2003.
Ad arricchire l’offerta, oltre ai 3 giochi è presente un’interessante sezione che definirei museale, nella quale trova spazio tantissimo materiale che approfondisce i titoli, ci mostra le scatole dell’epoca e i manuali, ci fa vedere la Blizzard degli anni ’90 e tanto altro ancora.
Un’aggiunta graditissima per ogni appassionato di storia del gaming.
Trattandosi di una compilation si tratta di titoli eterogenei, appartenenti a generi molto diversi tra loro. Ma la domanda che tutti ci poniamo è:come saranno invecchiati questi giochi dopo un lasso di tempo enorme per il mondo dei videogame? E’ possibile riconoscere lo stileBlizzard in questi prodotti così diversi da quelli a cui ci ha abituato il colosso californiano?
Scopriamolo insieme, analizzando i titoli uno per uno-
Pistoni, motori e Rock N Roll
Dei tre titoli proposti, il migliore in assoluto in termini di divertimento e non solo è Rock N Roll Racing, titolo tanto godibile quanto insolito allora come oggi.
Come gli altri titoli presenti nella collection, ci viene proposto in triplice versione: una Definitiva, ovvero più adatta ai giocatori moderni, e due che ripropongono le esperienze originali delle versioni per SNES e Megadrive.
Nel caso di Rock N Roll Racing la versione definitiva è quella che ha davvero una marcia in più, grazie alla possibilità di giocare a tutto schermo e soprattutto alla colonna sonora ora in qualità CD, rispetto alle originali tracce MIDI. Anche la voce del commentatore è stata aggiornata ed ora appare più naturale grazie all’audio in stereofonia.
Per quanto riguarda il gioco in sé, siamo in presenza di un classico racing a visuale isometrica con un gameplay rodato che mescola alla corsa elementi tipici di combat racing alla Twisted Metal per cui ci troveremo ad utilizzare scudi, missili e armi di varia natura per mettere fuori combattimento i nostri avversari.
Pur non avendo una grande varietà di mezzi a nostra disposizione (sono solo 3 i veicoli acquistabili), i tracciati sono ben disegnati, variegati e adatti ad un gioco di corse frenetiche come Rock N Roll Racing.
Rispetto alle edizioni storiche è presente una modalità multiplayer in 4 giocatori, che ci consente quindi di affrontare una gara con soli piloti umani. Una gran bella novità, sia pur limitata al co-op locale.
Diversamente da quanto avviene con gli altri titoli della raccolta, in Rock N Roll Racing non è possibile salvare la nostra partita, ma dovremo ricorrere ad un antiquato sistema di password, diverse per ogni livello superato.
Scelta inconsueta, perchè presente solo nelle versioni old school, è la possibilità di riavvolgere il nastro della partita, cancellando così ogni nostro errore e ripartendo da un punto più comodo degli ultimi 10 secondi.
La versione definitiva è inoltre localizzata in italiano.
Vichingi… nello spazio?
Il secondo titolo della raccolta è The Lost Vikings, un piccolo cult sia per il gioco in sé che per i suoi protagonisti, diventati popolari al punto da apparire successivamente in altri titoli Blizzard (tra cui lo stesso Rock N Roll Racing).
Come facilmente intuibile dal titolo, i protagonisti sono dei vichinghi che vengono rapiti dagli alieni; trattandosi di un puzzle platform per scappare dovranno combinare le abilità di Baleog il Feroce, Erik il Rapido e Olaf il Robusto.
Quello che rese popolare il titolo e i suoi personaggi fu una formula inconsueta che unisce elementi platform a meccaniche da puzzle game, rendendolo un titolo atipico.
Per avere la meglio sui nostri carcerieri dovremo utilizzare in maniera sapiente le abilità dei tre dei tre vichinghi: Erik può correre e saltare, Baleog combatte e Olaf si difende con il suo scudo.
Pur potendo controllare un singolo personaggio, dovremo ragionare in termini di squadra: nessuno dei tre guerrieri dovrà morire e avanzando dovremo proteggerli; si tratta di uno stratagemma che conferisce maggior profondità e aggiunge un ulteriore livello di sfida ad un titolo altrimenti abbastanza semplice.
Al netto dei salvataggi e del rewind, se uno solo dei barbuti muore, tutti i nostri progressi saranno vanificati e dovremo ripartire da zero (o dal salvataggio).
Non c’è modo di resuscitare i personaggi, e del resto all’epoca il concetto di respawn era pressochè sconosciuto.
Anche The Lost Vikings viene riproposto in triplice versione: SNES, Mega Drive e Definitive. Al netto delle consuete differenze tra versione definitiva e old school, tutte e tre le versioni meritano di essere giocate per coglierne le piccole differenze. La versione SNES è la prima in assoluto e quindi merita di essere provata, quella per Megadrive aggiunge all’originale 5 nuovi livelli e per la prima volta la modalità co-op che apre la strada ad una giocabilità del tutto nuova e divertente.
La Definitive Edition infine pesca il meglio delle due versioni, con una veste grafica ripulita, i livelli aggiuntivi e la modalità cooperativa locale, oltre alla completa localizzazione in italiano.
Liberando Tuul
Purtroppo, dei tre titoli della collection Blackthorne è sicuramente quello invecchiato peggio. Pur essendo un titolo che ho adorato e trovo per certi versi affascinante, la versione qui proposta è anche lievemente peggiore di quella uscita a suo tempo su GameBoy Advance.
La storia ci vede nei panni di un guerriero chiamato Kyle che con il suo fucile a pompa dovrà liberare l’intera Tuul, sua terra natia, dall’invasione dei Ka’dra’suul.
Partiamo con il dire che non c’è una versione migliore delle altre stavolta: da un punto di vista squisitamente grafico tutte e tre lasciano un po’ a desiderare. La versione definitiva è graficamente simile a quella SNES mentre stavolta la versione per Megadrive è quella, per l’epoca più ricca, in 32 bit che appare oggi troppo “plasticosa”.
Dopo un ricco filmato introduttivo, una rarità per i titoli dell’epoca, entreremo nel vivo del gioco che è un tipico metroidvania, con una serie di corridoi labirintici da esplorare, liberandoli dagli invasori e salvando quanti più umani possibile.
Purtroppo Blacktorne soffre di un gameplay estremamente legnoso: è impossibile eseguire più azioni per volta. Impugnando il fucile entreremo in una sorta di modalità attacco per cui potremo solo sparare, sia davanti che dietro di noi, e nasconderci sfruttando una sorta di rudimentale copertura.
Per qualsiasi altra azione, che sia arrampicarci, rotolare o saltare, dovremo posare il fucile e solo allora avanzare.
In generale, per quanto non del tutto da buttare, il feedback dei comandi non è un granchè e saremo facilmente esposti ad un game over (al netto dei salvataggi)
Tra le poche migliorie della Definitive Edition, che non saprei se consigliare realmente, abbiamo l’introduzione di una utilissima mini mappa e la localizzazione; elementi che da soli non bastano per affrontare Blackthorne con la stessa soddisfazione degli altri due titoli, ed è un peccato.