Certe ipocrisie sono la goccia che fa traboccare il vaso: è probabile che sia questo che ha pensato Jules Murillo-Cueller, ex impiegato della Blizzard nella divisione esports di Hearthstone, quando ha assistito a ‘Bastet‘, ultima storia breve inerente a Overwatch che mostra come il Soldato 76 sia il secondo personaggio – dopo Tracer – dichiaratamente omosessuale del gioco. L’idea che Blizzard mostrasse una facciata di “inclusione e rappresentazione” per tutte le minoranze discriminate andava in netto contrasto con la sua storia, che ha deciso di esporre per esteso in un post su TwitLonger.
La vicenda, giunta ad estremi legali con una lamentela federale e il ricorso alla Commissione per le Pari Opportunità d’Impiego (EEOC), ha avuto luogo sin dall’assunzione di Murillo nel 2013: Jules sostiene come, fin dall’inizio, sia stato escluso da riunioni e briefing fondamentali, subendo di fatto atti di mobbing per la sua origine ispanica. Tale atteggiamento è principalmente imputato a Gemma Barreda, manager di pianificazione strategica Blizzard, la quale ha rivolto pesanti insinuazioni, rivolte ‘per scherzo’, “sul sessismo o la naturale inclinazione all’essere sessista data dal suo retaggio messicano“. Quando Murillo-Cueller ha riportato la questione ai suoi superiori, è stato liquidato con un blando richiamo a lasciar correre e una promessa – non mantenuta – di porre rimedio agli abusi.
La cosa ha subito un ennesimo peggioramento quando Barreda e i suoi superiori hanno ottenuto promozioni, lasciando che Jules Murillo-Cueller scivolasse sempre più nella depressione e in ennesimi atti di mobbing, tanto da farlo arrivare a contemplare il suicidio.
I want to start off by thanking everyone for the kindness. At first I wrote this out of anger, and as I wrote…out of closure. If there’s a takeaway: You’re not alone. Reach out. And if you have suicidal thoughts: share with someone you love. You’ll never walk alone.
— Jules M.C. (@Psychlolis) 8 gennaio 2019
Turni massacranti che lo costringevano a levate fino alle tre del mattino, continui richiami sessisti e razzisti, mancate gratificazioni e soprusi sono state la norma per Jules (e per molti altri suoi colleghi, stando alle sue affermazioni), fino al momento in cui si è trovato costretto a lasciare l’azienda su cui aveva puntato tutto se stesso.
La maggior parte delle persone non sapeva perché avessi lasciato Blizzard Entertainment […] ma non potevo restare fermo mentre gli altri non avevano il minimo indizio sul perché del mio livore verso una compagnia che amavo davvero e in cui ho riversato tutto solo per vedermi mostrare l’uscita. Ho compilato un reclamo federale, questo è di dominio pubblico, e nessuno può dirmi che non posso condividere ciò che mi è accaduto personalmente.
Non è una novità, del resto, che con l’assimilazione da parte di Activision la competenza della dirigenza ha subito un crollo quasi verticale, portando ad eventi quali l’esodo dello staff del servizio clienti da Cork, il licenziamento del direttore finanziario Neumann e lo scottante ‘caso Ellie‘ – il profilo fake di Overwatch che accusava di aver subito molestie di genere.
Da ex giocatore dei prodotti del marchio posso solo sperare che, a causa di una cattiva gestione del target umano, quanto un tempo era oro non si tramuti in cenere.