Non è mai piacevole quando un’azienda si ritrova circondata da una tempesta mediatica a causa dei suoi scandali, ma se l’azienda in questione è la Blizzard Entertainment ci si chiede se il karma, oltre a una buona dose di sfiga, non ci aggiunga un pizzico di amara ironia.
In effetti è stato un anno decisamente catastrofico per la casa di Irvine, che ha visto e vede tuttora un numero impressionante di scandali che l’hanno coinvolta su più livelli.
Il tutto è iniziato con l’ultimo Blizzcon e la disastrosa rivelazione di Diablo Immortal per piattaforme Android e iOs, annuncio che è stata accolto da una sonora – letteralmente – ondata di proteste in diretta streaming, cosa che non fa mai bene agli affari, figuriamoci quando si parla di uno dei brand di bandiera tradizionalmente indirizzato al pubblico di PC. Se poi a questo si aggiunge l’increscioso incidente della rimozione dei dislike dal trailer del gioco e delle accuse di plagio e reskin del prodotto su immagine di Crusaders of Light, si capisce che le parole del disegnatore in capo Wyatt Cheng possano comunque lasciare con dei dubbi. Soprattutto considerando che, stando a indiscrezioni, Diablo Immortal doveva essere un’esclusiva per il mercato cinese.
Un altra clavata sul cranio è giunta dall’incresciosa decisione di non replicare l’HGC (Heroes of the Storm Global Championship) per l’anno prossimo.
Il torneo di e-sport indetto da Blizzard sul suo MOBA personale, nonostante tutti i tentativi di sovvenzione dei team mondiali (Stati Uniti, Cina, Corea del Sud ed europei), si è rivelata infruttuosa a seguito della poca appetibilità a fronte del pubblico di aficionados e sponsor, che si è risolto in una defezione di massa dei team minori. Una vera sfortuna ai danni di un gioco come Heroes of the Storm, da sempre improntato sulla cooperazione, sulla crescita comune e sull’adempimento degli obiettivi, che forse non ha raggiunto il successo di più illustri cugini proprio a causa della mancata comprensione, da parte del grande pubblico, delle dinamiche di gruppo (oltre che della discutibilità del sistema delle segnalazioni e dei meccanismi di match making al limite del razionale).
La tegola più grande abbattutasi sul cranio di Mike Morehaime, CEO e cofondatore della Blizzard, non viene però dal reparto marketing, bensì da quello finanziario.
Voci di corridoio, infatti, hanno confermato che a Cork, in Irlanda, ben cento membri dello staff sono destinati a lasciare il servizio clienti della Blizzard entro fine anno, sulla base di un non meglio esplicato programma di “incentivazione alle dimissioni” promosso dalla Blizzard stessa. Nel video in descrizione, possiamo notare come la questione sia affrontata dal canale TheQuartering come un’ennesima conseguenza della veemente scalata di Activision nella gestione del gruppo Blizzard, le cui conseguenze sarebbero, per bocca dello stesso CEO, l’uscita del cofondatore dalla gestione, con una buonuscita di 370.000 dollari e il desiderio dello stesso Morehaime di porre fine al suddetto programma per risollevare il prezzo delle azioni Blizzard, crollate del 40%(!)
In definitiva, non ci si aspetta che una software house sia un istituto di beneficenza, ma può una delle maggiori creatrici di sogni del mercato attuale arrivare a una simile disumanizzazione del suo pubblico – e del suo staff – in nome del mero profitto? Ci ritengono tanto assetati da pendere famelici dai seni sempre più cascanti della distribuzione serrata di prodotti sempre più autoreferenziali e votati al marketing collaterale (come il mercato dei gadget) senza ipotizzare che ci sia dell’altro, oltre al mero guadagno pecuniario?
La risposta, amico mio, la Ragione la sa già.
Il Cuore sospira ancora un po’.