Ci sono alcuni titoli che nel tempo sono stati capaci di influenzare il videogioco per come lo conosciamo oggi. Ormai dodici anni fa, Demon’s Souls dava vita alla stirpe dei soulslike, successivamente sdoganati al pubblico di massa con la trilogia di Dark Souls. Oggi, il filone dei soulslike si è guadagnato un posto tra le tendenze predominanti nel mercato videoludico, la dimostrazione è che una quantità incredibile di titoli moderni ne riprendono la struttura di base.
Tuttavia, con Demon’s Souls, FromSoftware non ha proprio inventato qualcosa di completamente nuovo, vivendo e analizzando nel profondo questo capolavoro, i giocatori più navigati possono trovare numerosi riferimenti a un’altra serie che ancor prima aveva gettato le basi per il videogioco moderno: l’intramontabile The Legend of Zelda.
L’esempio più palese di tutti è senza dubbio la boss fight contro il Vecchio Eroe. Nella mia prima run dell’oscuro titolo targato FromSoftware mi capitò di sentire un insistente senso di deja-vu nell’affrontare quel gigante cieco, un eroe splendente ormai corrotto in un mondo avvolto dalle tenebre, un gigante cieco con cui non potremo non empatizzare, sentendoci quasi in colpa nell’atto di strisciarli furtivamente alle spalle.
Rigiocando l’ottimo remake di The Legend of Zelda Majora’s Mask su Nintendo 3DS ho poi capito da dove arrivasse quel senso di deja-vu: lo scontro con il Vecchio Eroe è un palese riferimento alla boss fight contro Odolwa nel Tempio di Cascabosco.
Al giorno d’oggi, molti titoli prendono a piene mani dai vari Zelda, i due esempi più illustri al momento sono Genshin Impact e Immortals Fenyx Rising, i primi due “figli” di Breath of the Wild, recentemente invece Ocean’s Heart ha rievocato le atmosfere degli Zelda più classici con visuale dall’alto, riuscendo anche a proporre un titolo discreto.
Blue Fire, l’oggetto di questa recensione, prende come base di partenza i vecchi The Legend of Zelda in 3D, mescolando la struttura dei titoli Nintendo con i capisaldi del genere soulslike, un vero e proprio punto d’incontro tra due mostri sacri, che è riuscito a dar vita a un ottimo ibrido, limitato purtroppo dalla natura indipendente del progetto nato dalla software house argentina ROBI Studios.
Riuniti attorno a un falò… blu!
Fin dai primissimi secondi di gioco, Blue Fire non nasconde le proprie fonti di ispirazione. Il nostro eroe sarà inizialmente bloccato in una sorta di campo di stasi che dovremo rompere premendo ripetutamente il tasto d’attacco, a livello concettuale e registico, questo momento ricorda in tutto e per tutto il risveglio di Link in Breath of the Wild, tinto però da una patina oscura degna del Rifugio dei non Morti o del Cimitero della Cenere.
La trama, come da tradizione ormai per la stragrande maggioranza dei soulslike non viene narrata in maniera lineare, come al solito dovremo ricostruirla esplorando a fondo il mondo che ci circonda, parlando con gli NPC che incontreremo nel corso dell’avventura e tentando di ricostruire il tutto riordinando le informazioni a nostra disposizione; basti sapere che la main quest (che si intreccerà alle storie degli altri personaggi) richiede al protagonista di dimostrare il proprio valore e recuperare il Fuoco Blu per salvare un mondo ormai immerso nelle tenebre.
Proprio per personaggi e mood generale, Blue Fire può riportare alla mente anche il popolare Hollow Knight, gli NPC che popoleranno il castello in cui si ambienta il titolo infatti, eroi o mercanti che siano, si mostreranno generalmente disponibili nei confronti del protagonista e saranno perfettamente caratterizzati da un’ironia alquanto malinconica che si sposa perfettamente con gli ambienti che esploreremo durante l’avventura formando un quadro completo e coerente.
E proprio questi ambienti sono uno dei punti di forza di Blue Fire. In quanto a dimensioni, il nostro eroe sarà davvero minuto e decisamente più piccolo di ciò che lo circonda, le ambientazioni in cui si muove quindi sembreranno costantemente gigantesche a confronto, e contribuiranno a imprimere nel giocatore un senso di smarrimento e meraviglia che invoglierà l’esplorazione di ogni singolo anfratto. Le ambientazioni stesse sembreranno inizialmente legate al fatto che l’avventura si sviluppi nel castello delle prime battute del gioco, ma saranno in grado di farci letteralmente dimenticare dove siamo grazie a una varietà sorprendente.
Dal punto di vista narrativo quindi, Blue Fire riesce a prendere i capisaldi non solo delle opere a cui si ispira, ma anche del fantasy in generale e a unirli sapientemente con una progressione in un mondo di gioco molto interessante per ambienti e personaggi che spingerà costantemente il giocatore a scoprire cosa riserva il passo successivo.
Quella mossa l’ho già vista…
Anche dal punto di vista del gameplay, Blue Fire richiama fortemente le sue ispirazioni, anche stavolta però con un pizzico del già citato Hollow Knight.
In particolare, il nostro protagonista, come già detto in precedenza, si muoverà in un mondo molto più grande di lui, l’essere poi veloce e scattante e gli attacchi fulminei di spada, lo rendono una perfetta controparte tridimensionale del Cavaliere Vuoto protagonista dell’ottimo metroidvania a cura del Team Cherry.
Il moveset a nostra disposizione poi vede come protagoniste combo di spada doppia da alternare ad attacchi sulla distanza e scudi magici che, se attivati con estrema precisione, daranno vita ai proverbiali parry. Per quanto il protagonista possa cambiare spade e tuniche, purtroppo il combat system resterà sostanzialmente identico fino alla fine del nostro viaggio. I nuovi indumenti del protagonista infatti non aggiungono nulla al moveset, mentre le varie doppie lame che recupereremo nel gioco non hanno caratteristiche particolari, infliggono semplicemente più danno delle precedenti.
Un’altra caratteristica ripresa proprio da Hollow Knight è la gestione dei potenziamenti, che il nostro protagonista potrà equipaggiare in maniera del tutto simile a quanto visto nel metroidvania col sistema dei Gusci. Potremo infatti decidere come personalizzarlo donandogli abilità che lo rendano più agile, resistente o aggressivo. La possibilità di cambiare i potenziamenti a ogni Statua (dei checkpoint attivabili in tutto e per tutto simili ai cari vecchi Falò), rendono il titolo molto dinamico, e danno al giocatore la possibilità di scegliere continuamente l’alternativa più valida all’area o al nemico da affrontare.
Blue Fire inoltre non prova nemmeno a nascondere alcune peculiarità riprese direttamente da titoli della serie di The Legend of Zelda come Wind Waker e Majora’s Mask; per esempio, quando andremo a puntare un nemico targettandolo e attivando il lock-on, la visuale si ridurrà grazie a due bande nere che appariranno nei lati superiore e inferiore dello schermo, proprio come accadeva nelle avventure di Link.
Sempre dalla serie Nintendo, Blue Fire prendere il sistema dei Santuari, qui chiamati Vuoto. Queste particolari sfide platform ci trasporteranno in sezioni del mondo di gioco totalmente scollegate da quelle principali e, anzi, immerse proprio nel vuoto più totale. Queste sezioni ci metteranno alla prova con sfide platform che diventeranno man mano più impegnative in cui saremo chiamati a raccogliere frammenti di cuore che aumenteranno la nostra vitalità massima.
La componente soulslike invece si ritrova nel livello di difficoltà, che si rivela impegnativo (senza però raggiungere mai i classici picchi di difficoltà del genere) e nella gestione dei Minerali. Questa valuta di gioco andrà infatti persa quando verremo sconfitti, dopo il momentaneo Game Over ripartiremo proprio dall’ultima Statua visitata e potremo recuperare ciò che abbiamo perso nel punto della nostra morte, tuttavia, se andremo incontro a una nuova sconfitta prima di riprendere ciò da cui siamo stati separati, i nostri Minerali andranno persi per sempre.
Un piccolo difetto che mi sento di trovare in Blue Fire però è dato da un ritmo degli scontri abbastanza piatto, specialmente nelle prime fasi di gioco. I titoli da cui il gioco prende ispirazione ci buttano sempre in scontri impegnativi, a volte anche in maniera crudele, facendoci incontrare pericolosi boss fin dalle prime battute di gioco, quando ancora non abbiamo un’idea chiara di ciò a cui stiamo andando incontro (chi ha detto Gundyr?).
In Blue Fire invece, ci metteremo un bel po’ ad arrivare al cospetto del primo boss, e il titolo ci farà anche credere diverse volte di essere davanti a una boss fight, salvo poi presentarci uno o più nemici semplici. Non che sia un difetto di per sé, semplicemente dopo un po’ si sentirà la necessità di affrontare un nemico che svetti sugli altri, anche perché le battaglie contro i nemici unici sono ben realizzate e non fanno rimpiangere quelle dei titoli più blasonati ormai rimaste impresse nel cuore dei giocatori.
La leggenda del comparto tecnico
Dal punto di vista tecnico, al netto di qualche incertezza, Blue Fire dà letteralmente assuefazione. Ancora una volta, la direzione artistica richiama molto da vicino Wind Waker, tanto che il protagonista sembrerà un vero e proprio Toon Link con un piglio spiccatamente dark. Questa scelta stilistica naturalmente si riflette anche nel resto del titolo, uno stile cartoon con proporzioni improbabili eppure estremamente ben calibrate e con dei colori netti su cui campeggia un cel-shading davvero gradevole.
La colonna sonora poi è davvero orecchiabile, con musiche che variano da ritmi lenti e solenni durante le fasi di esplorazione a tracce più ritmate che accompagnano alla perfezione la velocità degli scontri che imporranno un continuo rapido susseguirsi di parate, schivate e attacchi. Un difetto però, va ammesso, è che non c’è una gran varietà sonora, sia a livello creativo (il titolo non inventa niente di nuovo o indimenticabile) che tra le tracce stesse, con sonorità generalmente simili tra loro.
Va doverosamente fatto notare che nella mia esperienza (su Steam) sono andato incontro a qualche crash di troppo che mi ha costretto più di una volta a riavviare il titolo (senza perdere molti progressi per fortuna), tuttavia, nelle circa due settimane di anteprima, il titolo ha ricevuto già due aggiornamenti, che dovrebbero eliminare ogni problema grazie alla consueta patch del day one, previsto proprio per oggi, 4 febbraio.
Arrivato a fine recensione c’è una cosa che tengo a dire. Ho ripetuto molto spesso (forse anche troppo) quanto questo titolo debba a due serie che porto nel cuore, The Legend of Zelda e Dark Souls (o più in generale i Souls targati FromSoftware). Questo però non vuol dire che il titolo sia un semplice copia incolla di ciò che ha reso popolari le due, per quanto mentre giocavo non potessi non pensare all’origine di tutto ciò che il titolo mi proponeva, va ammesso che ottenere un risultato così notevole mixando due brand così popolari non è affatto semplice!
Per quanto derivativo, consiglio assolutamente il titolo. Il risultato finale infatti è a dir poco sorprendente, un’idea che, per quanto in debito con due veri e propri mostri sacri del videogioco riesce abilmente a svincolarsi e assumere un’identità propria, una vera impresa: chapeau!
https://www.youtube.com/watch?v=Ol_gonwok1A