Bluethroot è un titolo italiano creato da Axel Fox, in collaborazione con Daniele Sichetti, Daniele Piccolino, Andra Fusti e Francesca Balestri. Questo titolo è nato come progetto di sensibilizzazione, ed è valso agli sviluppatori la vittoria del Bando Europeo 2020 dall’Associazione S.Benedetto di Foggia, in collaborazione con Argomedia S.r.l.. Bluethroot è un titolo che cerca di affrontare degli argomenti cari alle nuove generazioni e i problemi che purtroppo questi ultimi sono quasi sempre destinati ad affrontare.
La Foggia di Bluethroot
Come appena accennato, questo titolo vuole impegnarsi e affrontare delle tematiche sensibili per i giovani d’oggi, che sempre più spesso si sentono schiacciati dal mondo che li circonda, dalle persone che li giudicano e da quelli che non li accettano. Un titolo che si ambienta in una realtà scolastica post COVID-19, dove le persone risultano più separate che mai e la discriminazione la fa da padrone.
In Bluethroot vestiremo i panni di Andrea, uno studente trasferito a Foggia che è proprio l’opposto di ciò che ho appena descritto: è un outcast puro. Questo topos dello studente trasferito viene utilizzato, oltre che per far scoprire il mondo di gioco al giocatore insieme al protagonista, per rendere quest’ultimo un estraneo nell’ambiente scolastico.
Questo ragazzo, la cui personalità verrà plasmata dalle scelte che prenderemo nel corso del titolo, si troverà a conoscere una serie di personaggi, ognuno con i propri problemi da risolvere, e ovviamente starà al giocatore scegliere il modo in cui aiutarli. In un universo dilaniato dalla separazione individuale, in cui i ragazzi si sono abituati a dover stare da soli, Andrea cercherà di unire i puntini di una società divisa, come è stata negli ultimi anni quella della scuola in particolare.
Prendiamo ad esempio il primo studente con cui ci troveremo ad interagire: Paolo ci viene inizialmente presentato come un bullo come tanti altri, arrogante e presuntuoso, che non si fa problemi a rompere le cuffie del nostro protagonista al loro primo incontro. Conoscendolo meglio capiremo però che c’è di più sotto. Sveleremo pian piano le insicurezze di una persona che cerca di ferire per non essere ferita a sua volta. Una persona che ha trovato un po’ di sollievo nella sua miserabile vita, oltre che all’umiliare quelli più “deboli” di lui, nell’autolesionismo. Il nostro rapporto con questo personaggio si concentrerà nel capire la ragione di questi atti, comprendere e infine aiutare una persona che crede di non voler essere aiutata.
Dialoghi e interazioni
Il gameplay di Bluethroot è piuttosto semplice: ricorda le visual novel giapponesi, con molti dialoghi e scelte multiple. Queste sezioni saranno alternate dall’esplorazione all’interno della scuola, dove potremo parlare con i vari NPC. L’esplorazione spesso sembra fine a se stessa, perché in fin dei conti non troveremo nulla di interessante nelle aree non importanti: niente oggetti utili o NPC che ci offriranno quest secondarie. Si sarebbe potuto optare per un sistema diverso, magari sacrificando l’esplorazione, che non porta a nulla, e concentrarsi di più sulla parte visual novel, il fulcro del gioco.
Come appena detto, i dialoghi e i rapporti tra i personaggi sono la parte fondante di questo titolo, ma anch’essi non sono esenti dai difetti. Le interazioni tra i personaggi e il nostro protagonista vengono strutturate con dei minigiochi che spesso risultano però macabri. Prendendo sempre l’esempio di Paolo, ad ogni “risposta corretta” riusciremo ad attaccare un cerotto alle sue ferite. Questa distinzione netta tra risposte giuste e sbagliate cozza completamente con la natura delle risposte stesse, che sono state concepite per far dare a persone “uniche” risposte diverse. Questa meccanica allontana invece da un feeling “alla Quantic Dream”, avvicinando il titolo quasi a una versione di Caduta Libera con Gerry Scotti, pronto a dirci se la nostra risposta è vera o falsa.
Questa scelta sbagliata di game design si ripercuote inevitabilmente sull’albero delle abilità, il quale si espande in base al rapporto con i personaggi. Non sono infatti riuscito a migliorare il ramo “buono” dell’albero perché secondo il gioco le risposte che davo non erano corrette. Questo è un grossissimo problema del titolo perché ti viene esplicitamente detto di rispondere con sincerità alle domande, ma così non è se si vuole avere un bel rapporto coi vari personaggi. Ancora una volta, sembra di essere più davanti a un quiz televisivo che a un gioco a scelte multiple.
Un gioco con i suoi difetti
Tecnicamente il titolo è a malapena sufficiente, ma non è un grande problema perché si vede che non è quello su cui si stavano concentrando gli sviluppatori. Molto bello lo stile estetico, che ricorda vagamente i disegni di Zerocalcare, ma molto meno punk e street, e molto più naive. Questi colori pastello danno una bella atmosfera al titolo e servono a narrare una storia nel modo giusto. Anche gli scenari sono disegnati con questo stile, ma sono molto meno caratteristici, e spesso a bassa risoluzione. Questo in parte è compensato dalla qualità degli sprite dei personaggi: davvero realizzati con cura, e soprattutto con cuore, dagli artisti.
Il comparto sonoro è traballante: se da un lato le musiche riescono a essere immersive e sempre adatte al contesto, anche senza essere granché a livello compositivo, il sound design lascia a desiderare. La qualità audio dei suoni non è molto alta e un orecchio minimamente attento si accorgerà dell’artificiosità di questi suoni, come il rumore dei sacchetti di plastica per realizzare il rumore dei passi, ad esempio. Un’altra pecca è la mancanza di doppiaggio, che in questo tipo di titoli sarebbe apprezzato.
In ultimis i comandi, che nonostante servano allo scopo risultano grezzi e approssimativi: qualche volta mi è capitato di non riuscire a muovermi perché non avevo premuto il cursore nel posto giusto.