Se un gioco degli anni ottanta ha quel che ci vuole per sfondare, stai pur certo che il suo divertimento e le sue idee si dimostreranno valide anche per le generazioni successive. I franchise nati agli albori del gaming si sono già ripresentati su console moderne, con risultati di variabile successo.
Space Invaders ha dimostrato su Nintendo DS di essere ancora un gran bel gioco con Space Invaders Extreme, per dire. Non sempre le cose vanno per il verso giusto, però: Bomberman Act Zero ha preso l’idea di base di Bomberman e l’ha trasportata in un contesto “dark” tipico dell’industria videoludica moderna, e il risultato è stato un orrendo frontale. E poi ci sono giochi che tentano di rimodernarsi a più riprese, a volte riuscendo, e fallendo miseramente in altri casi: Boulder Dash per Commodore 64 è tornato in grande spolvero tramite Kemco su Game Boy Advance con Boulder Dash EX, per poi macchiarsi di disonore su Nintendo DS e PlayStation Portable con Boulder Dash Rocks!… e rifarsi di nuovo con Boulder Dash XL su Xbox 360, PC, iOS e Nintendo 3DS.
E che ne è di BurgerTime di Data East? Anche lui è alle prese con una rinascita in chiave moderna, BurgerTime Party!, attualmente esclusivo a Nintendo Switch. Ma come se la cava il minuto cuoco Peter Pepper tra i giganti di oggi? Scopriamolo insieme, ma… allerta spoiler: ci sa ancora fare.
“I’m-a the chef from-a BurgerTime, I make-a the burrrrrgers”
Non è un caso se la band nerdcore StarBomb ha incluso BurgerTime nel suo brano satirico The Simple Plot Of Metal Gear Solid come esempio di trama semplice: le avventure del cuoco Peter Pepper non ne hanno una. Questo però non ci dovrebbe impedire di contestualizzare un po’ il suo ritorno sulle scene, o sbaglio?
Dopo la sua nascita nel 1982, la cucina di Peter è stata rivisitata a più riprese fino al 1990, per poi scomparire da ogni radar fino a un ritorno in sordina nel 2008 con BurgerTime Delight di Namco su cellulari. Nel 2012 ha fatto una sporadica comparsata nel classico Disney Ralph Spaccatutto, dove Peter Pepper ha usato i suoi hamburger per sfamare i clochard reduci dallo scollegamento del cabinato di Q*Bert. Monkey Paw Games ha poi rivisitato BurgerTime Delight con il remake BurgerTime World Tour, rimasto sugli store fino al 2014, quando la licenza è scaduta.
Con BurgerTime Party!, però, l’ibrido puzzle/platformer proposto da Peter torna su Nintendo Switch, dove preparare panini viene reso una questione di vita o di morte da salsicce assassine, strateghi fatti di lattuga e uova psicopatiche. Eh?
Proprio così: la scena iniziale mostra Peter Pepper alle prese con una sorta di “blocco dello scrittore” in salsa gastronomica. Difendere un’attività di modeste dimensioni come la piccola “bottega dell’hamburger” di Peter dalla feroce concorrenza delle multinazionali non può che portare a frustrazione, ma gli ingredienti gettati distrattamente nel bidone dell’immondizia non sembrano averla presa molto bene…
“Benvenuto da Good Burger, casa di ottimi hamburger, cosa vuole ordinare?”
Il gameplay di BurgerTime è rimasto basilare così come lo era ai suoi albori: gli strati dei colossali hamburger da creare sono riposti su diverse piattaforme, da raggiungere arrampicandosi su e giù per le diverse scale a pioli piazzate nei livelli (niente salti!). Calpestando ogni strato di cibo, lo si fa cadere al ripiano sottostante, e se su quest’ultimo si trova già un altro succulento strato, questo viene catapultato al piano di sotto. Questo porta a reazioni a catena che aiutano molto ad accumulare quanti più punti possibile, e il giocatore si trova ben presto a mirare unicamente al trasporto dello strato di pane in cima al panino.
A dare “pepper” alle avventure di Peter in ogni stage ci sono improbabili nemici, che tenendo fede al BurgerTime originale ammontano a tre: la salsiccia, che insegue pedissequamente il protagonista, la lattuga che tenta di aggirarlo passando per altre scale, e l’uovo che invece va un po’ dove accidenti gli pare. No, non siamo in uno scenario di “rivolta del cibo” (o cibo rivoltante?) in stile Sausage Party: Vita segreta di una salsiccia, ma poco ci manca. Detto così, non sembra che ci sia molta varietà, ma ben presto queste tre tipologie di nemici (quattro, con l’aggiunta della ciambella più avanti) si riveleranno essere fin troppe!
Peter Pepper ha tre vite (più la “vita zero”), ma morire non significa veder ripartire il livello; è più come se ci fossero quattro punti vita e una vita per ogni tentativo. Il cognome tutto pepe del protagonista non è un caso: con il tasto A, infatti, Peter può spruzzare pepe in faccia ai nemici, rendendoli temporaneamente inoffensivi. Nella prima modalità di gioco che ci viene proposta, però, avremo a disposizione solo tre pepiere: le munizioni limitate ci obbligheranno a lavorare sulla nostra strategia, optando più per l’utilizzo delle reazioni a catena per neutralizzare i nemici. Ma… ho detto “prima modalità di gioco”?
Già: il menù principale ci propone diverse modalità di gioco, ognuna delle quali si presenta a sua volta come un menù (culinario, stavolta) le cui pietanze sono i singoli livelli. Il gioco, però, al primo avvio ci suggerisce la modalità single-player come unica opzione, e i primi livelli da essa offerta consistono nel tutorial. Ed è parlando di questo che è bene specificare che il gioco è tutto in inglese.
La modalità in giocatore singolo, Solo Burger, prevede come primo menù disponibile la selezione dei livelli che faranno da sfondo a un tutorial strutturato in maniera molto classica: ogni livello è costruito su misura per la nozione che vuole impartire. Man mano che si giocano i livelli, poi, si sbloccano anche le altre modalità e i “menù” ricchi di “pietanze” al loro interno. Questa presunta varietà, però, è solo nominale: al di fuori dell’occasionale hot dog, confezioneremo solo e soltanto hamburger. Non che questo sia un difetto, è solo una precisazione. Il level design di tutte le modalità cambia un po’ le carte in tavola rispetto al BurgerTime classico con varianti fragili, ghiacciate o bollenti sia per le scale che per i pavimenti, ponti da attivare con le leve e condotti per l’aria con i quali raggiungere altre aree del livello (Mario chi?).
Il secondo menù, Main Burger, con la sua selezione di livelli permette fino a quattro giocatori di darsi una mano per raggiungere l’obiettivo: in altre parole, è qui che risiede (anche) la modalità co-op. In questa modalità veniamo a conoscenza di due lati del multiplayer: il primo consiste nella presenza di Peter come solo personaggio giocabile, mentre il secondo consiste nel fatto che i personaggi condividono lo stesso numero di vite (una caratteristica con cui il gioco ben si presta al griefing). Inoltre, qui le tre pepiere si ricaricano col tempo, permettendo ai giocatori di fare melina con i nemici se i pattern di questi ultimi lo concedono.
Il terzo menù, invece, è Battle Burger, l’unica modalità di gioco ad essere esclusivamente fatta per il multiplayer, ed è qui che il gioco sembra prendere una graditissima ispirazione da Pac-Man Vs. creato da Nintendo per Namco. Qui i giocatori possono decidere se impersonare uno dei quattro Peter Pepper di diversa colorazione disponibili o se invece giocare da parte dei nemici commestibili. Ogni giocatore può usare una mossa speciale quando si carica la relativa barra: spruzzare il pepe per i cuochi, o correre per farsi strada attraverso il pepe nel caso dei cibi. Ci sono inoltre quattro power-up: l’orologio riempie le barre in fretta, la scarpa aumenta la velocità, il guantone da pugile aumenta la portata degli attacchi e il logo di Data East permette di usare le “azioni” quante volte si vuole per un certo periodo.
Infine, abbiamo Challenge Burger, la modalità sfida da giocare sia da soli che in co-op, dove rivive l’anima puramente arcade del BurgerTime originale, e si divide in Classic, Easy, Normal e Hard. Mentre le ultime tre consistono in una semplice scrematura per livello di difficoltà, Classic è semplicemente – e in senso positivo – una replica del BurgerTime originale con il nuovo motore grafico.
A completare il menù principale, abbiamo le opzioni (che consistono solo in scena di apertura e titoli di coda) e la teca dei trofei: quest’ultima comprende i trofei che, come per ogni titolo per console Nintendo finora, sono interni al gioco stesso. Ne parleremo, brevemente, nella sezione apposita in fondo all’articolo.
“Una rissa bolle sicuramente in pentola… tocca a te!”
La prima cosa che salta all’occhio tanto da citare l’esclamazione introduttiva di ogni scontro di Cuphead è lo stile grafico adottato: le salsicce e i loro compari non sarebbero fuori posto in quel gioco, sebbene ogni animazione dell’acclamato indie di MDHR sia stata disegnata interamente a mano. Non che le movenze di ogni elemento sullo schermo abbiano lo stesso “fattore wow” di Cuphead (per il resto si tratta perlopiù di animazioni simile a quelle viste nei cortometraggi Flash dei primi anni duemila), ma sicuramente lo stile grafico risulta sempre molto pulito e gradevole agli occhi.
L’unico neo, se vogliamo, è la scelta di un design molto verticale per alcuni livelli: efficace e d’impatto su televisore HD, un po’ sgranato sullo schermo di Nintendo Switch che, pur con tutta la sua buona volontà, non può certo replicare quaranta pollici di nitidezza (senza contare i limiti dell’occhio umano).
Dal punto di vista del sonoro, invece, non c’è poi tutto questo granché da dire: per quanto gradevole, la colonna sonora sembra abbastanza anonima, e il jingle di BurgerTime, riarrangiato in salsa moderna, quando viene ripetuto sia all’inizio che alla fine del livello tende a venire un po’ a noia abbastanza presto. Un po’ come se fosse una metafora per il fast food, questo non è esattamente un gioco da divorare in lunghe sessioni; molto meglio mangiarne poco alla volta, in tante sessioni rapide.
Il gameplay è funzionale, senza infamia ma senza nemmeno alcuna lode. A reggere in piedi la baracca è la solidità dell’idea di fondo del primo BurgerTime: confezionare panini è, senza girarci attorno, divertente oggi come lo era trentasette anni fa. L’unica nota dolente è rappresentata, semmai, dalla discutibile scelta di relegare unicamente alla leva analogica i movimenti. Non mentirò: non ho mai amato la forzatura dei comandi analogici in un contesto a scorrimento laterale (sua maestà Super Smash Bros. Ultimate permettendo), e in un gioco che richiede input così classici l’uso della leva analogica è un pugno in un occhio. Non siamo in un Sonic Mania, un Donkey Kong Country o un Crash Bandicoot a caso: siamo in BurgerTime, e pertanto non dobbiamo ritrovarci inavvertitamente a salire su una scala a pioli quando non vogliamo.
Concludiamo con la longevità: se consumato a piccole dosi, questo ritorno sulle scene di Peter Pepper con BurgerTime Party! si presta ad essere giocato molto, molto a lungo, specie con il già citato “approccio Pac-Man Vs.” per il multiplayer competitivo. Per i venti euro che richiede, offre più di molti altri giochi, un menù anche più abbondante di quanto si possa trangugiare in un fast food allo stesso prezzo. Il pranzo è servito!