“Questo è gioco (sic)? Ho visto gioco (sic), e questo non è gioco (sic)”, così borbottava lo YouTuber americano Jon “JonTron” Jafari intento a barcamenarsi con un gioco di Barbie su Super Nintendo. E mentre i titoli su licenza di dubbio gusto probabilmente non arriveranno mai nel servizio Nintendo Switch Online (grazie al cielo), questo tipo di reazione da loro suscitato può venire fuori anche dalle labbra dei giocatori di oggi. Il commento più votato alla citazione con cui apriamo la recensione è stato “Praticamente, ogni gioco con ‘Simulator’ nel titolo”, ed è questo il caso del gioco che abbiamo tra le mani oggi, ovvero Car Mechanic Simulator: Pocket Edition. Ma questa officina virtuale in cui riparare le auto più improbabili si rivelerà “gioco” come diceva scherzosamente JonTron? Scopriamolo insieme.
“Né l’Uomo Ragno né Rocky, né Rambo né affini / farebbero ciò che faccio per i miei bambini”
Nonostante l’estro con cui Caparezza ha ricavato un poetico senso di eroismo dal fatto di andare a lavorare, non c’è molto da dire a livello di trama, per non dire “niente”: il gioco, dopo essersela presa eccessivamente comoda con i propri tempi di caricamento, ci sbatte nel bel mezzo della nostra officina, dove un misto tra una visuale in prima persona e un gameplay punta-e-clicca ci fa armeggiare con la nostra prima automobile.
Non stiamo dicendo “armeggiare” tanto per dire: un minimo di contesto narrativo, o quantomeno un suo accenno, potremmo averlo in un tutorial, ma al di fuori delle liste dei pezzi necessari il gioco non ci dice nulla su ciò che dobbiamo fare. Con questo non ci stiamo ponendo come portavoce delle generazioni moderne che “hanno bisogno” di un’esplicita spiegazione dei comandi, per carità, ma in casi come questo, dove le conoscenze della meccanica automobilistica sono vitali, l’assenza di un tutorial può già silurare una fetta consistente di potenziali acquirenti. Il dilemma paradossale del gioco che ne deriva è già intuibile, ma lo sviscereremo più tardi.
Dubbi e dubstep
Il gameplay varia in base al punto dell’officina in cui ci troviamo: il computer ci permette di ordinare nuovi pezzi con un’interfaccia credibile, con il telefono gestiamo i lavori che possiamo accettare, mentre con il ponte possiamo mettere le vetture sotto i ferri. L’esplorazione (o presunta tale, vista l’inutilità della scala a chiocciola di ferro che svetta sul nostro ufficio) viene gestita dalla leva analogica principale, mentre la leva destra ruota la nostra inquadratura. Su questo punto non c’è dubbio: oltre alla fase gestionale, anche l’atto di andare da una parte all’altra dell’officina viene simulato fedelmente. I tasti dorsali, invece, ricoprono il ruolo che dovrebbe andare a quelli frontali, creando un po’ di confusione per chiunque sia abituato a navigare i menù con i vari pulsanti X di turno.
Ogni menù del gioco è abbastanza spartano, optando per un design tabulare dalle tinte scure. Le scelte dei colori, se non altro, aiutano il giocatore a distinguere i componenti da sostituire: quelli evidenziati in rosso hanno fatto il loro tempo, quelli gialli possono essere lasciati stare o sostituire per aumentare il guadagno (cioè fare quel che fa qualsiasi meccanico) e quelli dalle tinte verdi sono ancora in condizioni ottimali. A giungere in ulteriore aiuto del giocatore ci sono altre due misure preventive: i pezzi rimossi, una volta finiti nell’inventario, si possono rimettere solo ed esclusivamente in ordine, e per evitare emicranie si può accettare un solo lavoro alla volta.
Ed è parlando di lavori che viene in mente il sistema di esperienza che scandisce il ritmo del gioco. Man mano che si armeggia con le auto, si accumulano punti esperienza. Chi vi scrive non ha idea del fatto che ciò possa dipendere o meno dalla velocità con cui si rimettono in sesto le vetture: non ho un’infarinatura in questo settore, e vedermi penalizzata in questo va ad aggiungersi al paradosso a cui ho alluso prima e che descriverò alla fine. Ad ogni modo, in fase di recensione il gioco sembra più incline al grind che all’elargire punti esperienza, il che è un peccato dal momento che alcuni incarichi richiedono di raggiungere un certo quantitativo di EXP; tuttavia è anche un modo per difenderci dagli incarichi più impegnativi, dove le informazioni sui pezzi da riparare iniziano a venire omesse.
Altre recensioni alludono a Car Mechanic Simulator: Pocket Edition come qualcosa di rilassante, ma l’incalzante ritmo della colonna sonora prevalentemente dubstep unita alle tempistiche di recensione hanno reso il giro di prova di questo titolo un’esperienza carica di tensione.
Vitellone al vapore
Citare i Simpson è sempre un goal a porta vuota, ma non possiamo esimerci dal parafrasare il sovrintendente Chalmers quando il preside Skinner tenta di metterlo nel sacco con degli hamburger comprati. “Lei lo chiama un gioco per Switch, ma è palesemente un port di un titolo uscito su Steam.” Se sei un intenditore di giornalismo videoludico anche al di fuori dei confini italiani, il nome di Jim Sterling non ti sarà per niente nuovo. Sterling ha speso parecchie parole al veleno – non del tutto a torto, aggiungeremmo – sulla qualità di alcuni titoli partoriti da Steam e dal suo Steam Greenlight, e questo titolo sembra mostrare alcuni tra i più sciagurati crismi del marketplace per computer.
I già citati tempi di caricamento lunghi del titolo, semplicemente, non corrispondono al comparto grafico del titolo che abbiamo tra le mani: al di là di modelli 3D più simili a Grand Theft Auto III che a Grand Theft Auto V per le automobili, alcune texture sono talmente sgranate che il nome del product placement del trapano tedesco che fa rima con “mosh” si vede a malapena. Ovviamente, è indubbio che in questi casi i modelli 3D “a matrioska” comprendono anche dettagli nascosti nel cofano, nei cerchioni e sotto l’auto, e che questi modelli 3D possono venire spostati a piacimento tra ponte e showroom, ma nulla di tutto questo può giustificare dei caricamenti lunghi dieci volte tanto quelli di The Legend Of Zelda: Breath Of The Wild.
Per quanto riguarda il comparto sonoro, invece, abbiamo già menzionato la colonna sonora dubstep e non ci rimane poi tanto da dire: chi ama il dubstep – o chi riconosce il realismo nel replicare l’utilizzo della radio nelle officine – la apprezzerà, ma la facilità con cui Shazam riconosce ogni brano proietta l’ombra del dubbio sull’aspetto del gioco dove è migrata la maggioranza del budget.
La longevità del titolo, infine, ci riporta al paradosso a cui ho alluso due volte. Questo gioco, al di fuori di una ristretta nicchia di patiti di meccanica che già vantano la conoscenza di alcuni dei suoi rudimenti, è più adatto a chiunque faccia già questo di lavoro, ma perché mai un meccanico dovrebbe voler simulare il proprio lavoro a casa? Se questo fosse un software esplicitamente inteso per i corsi di meccanica, dove è il professore stesso a fare da tutorial, probabilmente la questione sarebbe diversa quanto basta da alzare il nostro voto al gioco di due punti. Stando così le cose, però, senza tutorial e dovendo andare a tentoni, possiamo chiudere il cerchio(ne) con una metafora: di sicuro, ci sarà gioco con gli sterzi che ripareremo, ma dal punto di vista videoludico, qui di “gioco” ce n’è ben poco.