City of Beats è l’ennesimo roguelite che si inserisce nel già saturo panorama di produzioni indie che affollano il mercato del genere, cercando di portare alla formula idee nuove che possano in qualche modo attecchire nel cuore dei giocatori e dire la propria. Parliamo quindi di una produzione con un compito difficile, di cui vedremo i risultati nel corso di questa recensione.
La storia di City of Beats
City of Beats ci mette nei panni di una donna incaricata di dare la caccia a un’IA di cui si è perso il controllo e che sta quindi agendo di testa propria in una futuristica città dal sapore cyberpunk. Ovviamente, questa IA è difesa da tre nuclei pesantemente armati, i quali non hanno alcuna intenzione di lasciarsi disattivare. Spetta quindi alla nostra protagonista il difficile compito di distruggerli, per poi arrivare alla fonte del problema.
Nonostante la storia del titolo non sia troppo elaborata, ma si limiti chiaramente a essere un mero pretesto, City of Beats riesce comunque a offrire un comparto narrativo che diventa più di un semplice sfondo. I vari personaggi incontrati nell’HUB centrale, le varie box di testo nelle scelte multiple, ma anche alcune descrizioni, vantano un umorismo di fondo fatto di piccole battutine sparse qua e là. Il risultato è una piacevole aggiunta al tipico loop di gameplay, che viene in questo modo arricchito.
Beat poco marcati
Il gameplay di City of Beats ricalca il tipico loop del genere: si parte da un HUB centrale, si inizia una partita in dungeon generati casualmente, si arriva alla fine o si muore e si spende la valuta ottenuta nella partita per l’acquisto di potenziamenti permanenti che possano rendere più agevoli le run successive. La morte è permanente e ogni partita è in qualche modo diversa per via della generazione procedurale. In pratica, una struttura classica, vista in capolavori come Spelunky 2, Dead Cells o il recente OTXO.
Una struttura che, come abbiamo visto, si ibrida facilmente con vari generi. In questo caso siamo davanti a un twin stick shooter con visuale isometrica, dove i combattimenti si svolgono all’interno di stanze chiuse, di fatto definibili come vere e proprie arene. Queste stanze sono collegate tramite una mappa divisa in nodi, simile a quella vista in Slay the Spire o FTL.
In altre parole, si seleziona di volta in volta verso quale nodo proseguire, dove ogni singola scelta rappresenta una stanza. Questa può ospitare combattimenti con varie ricompense ma, più raramente, anche negozi di vario tipo dove acquistare risorse, oggetti o cure. Alla fine di ogni scontro si ottiene una ricompensa, con un sistema simile a quello di Hades, dove si seleziona un potenziamento per il nostro personaggio. Questi potenziamenti possono essere di diverso tipo, e vanno da quelli difensivi, ad altri che aggiungono effetti passivi ad armi o abilità.
Tutto questo si unisce ai movimenti base della protagonista, che ha a disposizione un’arma con due fuochi alternativi e un dash. Quest’ultimo, come intuibile, è un semplice scatto che dona invincibilità e respinge i proiettili nemici, mentre l’arma rende tutto più interessante. Ogni bocca da fuoco, infatti, spara con un certo ritmo musicale, da comprendere per massimizzare il danno. Ogni proiettile del fuoco primario è infatti un letterale beat di una melodia, a cui si aggiungono i colpi del fuoco secondario, spesso da sparare dopo una breve carica. Questi vanno alternati al fuoco primario, in una sorta di remix che funziona meglio se sparato a ritmo.
L’arco, ad esempio, consente di sparare un raggio singolo ma preciso, a cui si alterna una sfera che viaggia lentamente in avanti danneggiando i nemici sulla traiettoria. Alternando i due con il giusto ritmo, ad esempio, è possibile sparare la sfera senza il tempo di ricarica, quindi con una sorta di fuoco semiautomatico veloce.
Il fuoco secondario, peraltro, porta al surriscaldamento dell’arma, a cui segue necessariamente un periodo di cooldown dove non è possibile sparare. Per questo motivo il ritmo dell’arma diventa fondamentale, tenendo conto anche di questa meccanica. Nonostante l’idea di fondo sia ottima, purtroppo non tutte le armi funzionano bene come l’arco. La mitragliatrice iniziale, per esempio, sembra quasi non avere un ritmo, appiattendo di conseguenza il gameplay a quello di un poco riuscito sparatutto.
Allo stesso modo, i potenziamenti passivi che è possibile raccogliere alla fine degli scontri di City of Beats non convincono appieno, dato che non sempre hanno effetti rilevanti sul gameplay attivo. Ad esempio, non si vede la stessa varietà di build osservata in Hades, dove i “Boon” permettono di variare lo stile di gioco anche in modo consistente.
Di conseguenza, City of Beats si dimostra come un classico roguelite sparatutto, arricchito da una meccanica sicuramente interessante, ma il cui impatto non si fa sentire più di tanto, dato che non viene sfruttata a dovere dai potenziamenti passivi che possano in qualche modo modificarla, nonché dalle armi non sempre soddisfacenti.
A questo si aggiunge una varietà di nemici e situazioni insoddisfacente, che tende a dare fin da subito un marcato senso di ripetitività. Proprio per questo, il titolo non riesce a sfruttare fino in fondo la sua idea, dimostrandosi ripetitivo, poco profondo e leggermente sbilanciato. Il risultato è comunque godibile, ma resta lontano dall’eccellenza.
Non bisogna però fare l’errore di credere che l’utilizzo dei beat sia irrilevante. Sfruttare a dovere il ritmo delle armi serve comunque a massimizzare il danno ed evitare il surriscaldamento e per riuscire veramente ad avere risultati bisogna anche osservare il ritmo dei nemici, in modo da capire quando schivare, a volte persino evitando danni. Di base il meccanismo funziona molto bene, ma la generale mancanza di profondità purtroppo rende il tutto ripetitivo e poco interessante sul lungo periodo.
Tecnicamente piacevole
Il comparto tecnico di City of Beats si difende molto bene. Il gioco vanta infatti una grafica tridimensionale in grado di restituire un colpo d’occhio sempre piacevole, nonostante ambienti e modelli di fatto non siano troppo dettagliati. Questo dipende principalmente da effetti visivi sempre soddisfacenti, nonché da un comparto estetico low poly in grado di dare lustro al tutto.
Infine, il comparto audio si dimostra decisamente riuscito, grazie a effetti sonori delle armi in grado di diventare letteralmente “musicali”, uniti a musiche adatte alle varie occasioni.