Il primo gioco a cui ho pensato mentre affrontavo Clown in a House è stato The Stanley Parable (a proposito, hai provato la versione Ultra Deluxe?). Ma come, dirai te, non sono neanche lo stesso genere. In realtà questo non è del tutto vero perché, nonostante uno abbia una grafica in prima persona e l’altro si presenti con uno stile isometrico retrò, entrambi si rifanno a quella tradizione dei puzzle game punta-e-clicca che usano come base per una metanarrazione che fa del suo non arrivare da nessuna parte, il proprio punto di forza. Almeno questa sarebbe l’intenzione. Ok, ti vedo confuso, torniamo indietro e andiamo con ordine, ok?
Come già detto, Clown in a House è un punta-e-clicca in terza persona con grafica isometrica che strizza l’occhio ai vecchi gdr retrò, ma anche ai più recenti horror indie che presentano questa soluzione visiva, spesso perché realizzati con rpg maker. Dietro a questo titolo c’é Krispy Animation Studios, un gruppo di ragazzi che formano uno studio indie, ma su cui si trovano ben pochi dettagli. Il sito principale, infatti, non funziona e la principale fonte di informazioni su di loro arriva da Twitter. Clown in a House non è inoltre il loro primo gioco, ma quelli precedenti sembrano tutti giochetti in flash o simile abbastanza semplici, di quelli che puoi spesso trovare gratuiti su Newgrounds. Oddio, anche Clown in a House lo sembra, ma questo è disponibile su steam. Vale la pena acquistarlo?
C’è un clown in una casa
Di base la trama di Clown in a House è tutta compresa nel titolo stesso. C’é un clown in una casa. Fine. Perché è lì? Perché non può uscire ed esplorare la struttura liberamente? Chi è che gli parla nella testa? Chi sono gli strani individui (mostruosi) che sono all’interno con lui? Quale è il suo scopo? Queste sono tutte domande più che spontanee, ma che, di base, non riceveranno alcun tipo di risposta. Non esiste una vera e propria trama o un approfondimento del personaggio che è solo tale. Proprio questa assenza effettiva di trama è quello che rende Clown in a House molto simile a The Stanley Parable.
A quel punto la storia si dovrebbe spostare in un paradigma metanarrativo. Non è più il nostro avatar il protagonista, ma siamo noi. Proprio questo elemento genera il fascino di questo tipo di giochi, ma tale passaggio qui non riesce e presto il fascino iniziale si sperde in una serie di soluzioni narrative scontate, trite o eccessivamente fini a sé stesse.
Insomma, non si capisce bene cosa ci vogliano raccontare gli autori del gioco con Clown in a House. Di esempi di metanarrativa riuscita ce ne sono tanti nel settore videogiochi, soprattutto tra i titoli più recenti, ma non annovererei Clown in a House tra questi. Dove però questo titolo riesce è sicuramente nell’atmosfera e nel citare le proprie fonti: lo stile grafico ed il gameplay, così come le musiche e tutto il resto non fanno che strizzare l’occhio ad un genere di horror psicologico indie che di recente ha ripreso molto piede tra i patiti del genere.
In effetti all’inizio si ha l’impressione di affrontare un gioco di questa tipologia, ma presto capiamo che l’unico interesse che Clown in a House ha nei confronti degli horror psicologici è quello di prenderne i luoghi comuni e sbugiardarli in una non troppo riuscita satira dei loro stilemi. Sarebbe stato meglio restare sul sentiero tracciato inizialmente.
Che cosa fa lì dentro un clown?
Se si possono criticare tante cose a Clown in a House, tra queste sicuramente non c’é la difficoltà nei comandi che sono a dir poco banali. Con le frecce direzionali (o con WASD) ci si muove nelle 4 direzioni mentre con la barra spaziatrice si interagisce con gli oggetti. Si può letteralmente interagire con QUALSIASI oggetto. Anzi, se si interagisce più volte di seguito con alcuni si otterrà probabilmente una risposta diversa. Alcuni oggetti possono anche essere raccolti ed inseriti nell’inventario. Da qui potremo cliccarci sopra con il mouse e trascinarli sull’eventuale oggetto con cui vogliamo interagire per ottenere un qualche effetto o una risposta sarcastica di Geo. La quantità di interazioni è effettivamente enorme e non mancano anche citazioni pregevoli ed apprezzate.
L’area di gioco è la casa del titolo. Inizialmente saremo nella sala d’ingresso e tutte le porte saranno chiuse, ma via via riusciremo a sbloccarle e ad aggiungere aree da esplorare, oggetti da interagire e nuovi puzzle da risolvere. Si, perché di base il nostro scopo è sbloccare più aree possibili così da poter ottenere più puzzle possibile e più finali raggiungibili.
I finali sono il nostro obiettivo. Ce ne sono 20 più 1 segreto da ottenere. Visto questo il gioco si concluderà in automatico con i titoli di coda, ma, per tutti gli altri, una volta visto il finale torneremo nel salone d’ingresso con ancora tutti i nostri oggetti rimasti e tutte le porte sbloccate, così come qualsiasi altra conseguenza ottenuta ancora ben presente nel gioco. Potremo addirittura interagire con i nostri resti!
Il fatto che il gioco non si resetti ad ogni finale è sicuramente un’aggiunta apprezzata. Troppi titoli di questo tipo risultano alla lunga frustranti proprio perché fanno ripartire da zero. Questa è una cosa che non avviene in Clown in a House e che aiuta molto la sua rigiocabilità visto che si viene naturalmente spinti ad ottenere ogni singola conclusione.
L’altro elemento degno di pregio nel gameplay è poi il livello di sfida dei puzzle proposti. Molte soluzioni agli enigmi richiedono di pensare al di fuori degli schemi e molti finali saranno davvero ardui da trovare perché si dovrà agire in controtendenza alle nostre abitudini in un gioco di questo tipo. Per esempio, dovendo pitturare una porta per aprirla ed avendo un pennello e della vernice dell’inventario, penseremo subito a combinarli per colorare l’oggetto. Il problema è che in Clown in a House non si possono unire gli oggetti! Come fare quindi?
Semplicemente basterà rovesciare la vernice in un lavello e poi usare il pennello sullo stesso pieno di colore. A questo punto potremo usare il pennello con la vernice sulla porta per crearla ed aprirla. Di per sé alcune meccaniche e soluzioni sono state proprio soddisfacenti, molto più dei finali a cui portano, devo essere onesto. Bisogna però dire che spesso la mancanza di indizi porta il tutto a essere molto frustrante. Purtroppo l’unica nostra fonte di ispirazione sarà quello che dirà Geo nel momento in cui interagiamo con qualcosa… ma spesso questi suggerimenti non si possono ripetere e sono eccessivamente criptici. A volte la soluzione sarà invece così sciocca che ci farà sentire stupidi piuttosto che soddisfatti, una volta trovata. Sarebbe bastato dare qualche indizio aggiuntivo. Tuttavia, per un gioco indie, questo non è a mio dire un grosso difetto visto che ci si aspetta che un simile titolo sia giocato da chi è già pratico del genere e cerchi una sfida aggiuntiva.
Guarda al suo passato
Per quanto riguarda la direzione artistica, questa è composta da un comparto musicale che svolge il proprio ruolo senza infamia e senza lode, riuscendo a generare quell’atmosfera ansiogena che ti aspetteresti in un gioco simile, per quanto alcuni effetti sonori siano troppo tendenti al jump scare forzato, e da un comparto artistico che guarda al passato con uno stile retrò molto poco definito e pieno di pixel.
Nulla di male in questo, sia chiaro, esistono veri e propri capolavori realizzati con questa soluzione grafica che fanno proprio del loro aspetto il loro punto di forza. Il problema è che questo non è il caso di Clown in a House che presenta una pixelart mediocre, raffazzonata e che riutilizza elementi di asset generici in modo spesso forzato e ripetitivo. Certo, poi ci scherza anche su portando quasi a credere che sia una scelta voluta per parodaire i giochi simili, ma non credo sia del tutto il caso.
Il punto è che in generale l’aspetto di Clown in a House è a malapena sufficiente quando non proprio tirato via. Io posso accettare che il gioco in sé sembri un ammasso di pixel, ma posso accettare meno che questo suo stesso formato spesso contribuisca a rendere più difficile il gioco stesso. Alcune soluzioni ed oggetti nascosti sono, in effetti, difficili da intuire perché non si riesce a capire cosa si sta guardando.
C’é poi la questione dei “finali.” Questi di base sono tanti, tanti, tanti dialoghi che si svolgono su un disegno che fa da sfondo. Anche qui, nulla di male, uno dei miei generi preferiti, quello dei picchiaduro, è campato per anni su questo principio, ma le immagini devono essere significative e piacevoli da vedere. Purtroppo questo non avviene in Clown in a House dove spesso l’immagine sembrerà scollegata o assolutamente senza senso rispetto al contesto… e la realizzazione grafica mantiene comunque la sua mediocrità.
Ma non si concentra abbastanza per trovarlo
Insomma, Clown in a House è tutto da buttare? Assolutamente no. E’ un gioco interessante, veloce, dal facile coinvolgimento e che presenta davvero tanti spunti interessanti. Forse è proprio questo che da davvero fastidio di questo titolo: davanti a tutte queste potenzialità, a conti fatti il prodotto finale non risulta all’altezza delle premesse generate. Sia chiaro che è comunque un gioco che si lascia completare, complice anche una brevità forse un po’ eccessiva. Comprendo che gli autori cercassero di smorzare la ripetitività del gameplay che di base consiste sempre in “cerca oggetti, apri porta, vedi finale, riparti e ripeti,” ma non solo la cosa non funziona, ma genera anche la sensazione di star giocando ad un titolo gratuito in flash che, però, abbiamo pagato.
Credo che il punto sia proprio qui. Se Clown in a House fosse un gioco gratuito da scaricare sul proprio sistema mobile o da provare su qualche piattaforma di giochi free, allora non avrei alcun problema a promuoverlo perché è un progetto che presenta dei buoni picchi di qualità. Il problema è che non è così. Clown in a House è venduto su Steam a 6,59 euro. Ok, di certo non è questa cifra abnorme ed è più che altro simbolica del lavoro che c’é dietro, ma vale davvero la pena spendere quei soldi? Personalmente non credo perché, come già detto, è possibile trovare qualcosa di simile senza farlo e quindi perché dovrei farlo? Clown in a House fallisce nell’offrire un serio motivo all’investimento del giocatore e, in un certo senso, è davvero un peccato.