Cult of the Lamb è uno di qui titoli in grado di capitalizzare subito l’attenzione dei giocatori, grazie a premesse che sembrano davvero interessanti: cosa succede se uniamo Animal Crossing alle meccaniche da dungeon crawling tipiche dei roguelite? Chiaramente, come abbiamo ampiamente visto con esperimenti poco riusciti, non basta un buon concept per fare un buon gioco.
Vediamo quindi se Cult of the Lamb riesce a tenere fede alle sue premesse iniziali, portando qualcosa di nuovo in un mercato che ormai è saturo e difficile da approcciare.
Cult of the Lamb ci mette alla guida…di un culto, ovviamente!
La storia di Cult of the Lamb si pone fin da subito come una sorta di satira dei culti religiosi, che qui vengono rappresentati in toni quasi gioiosi. Tutto inizia con il nostro protagonista che sta per essere sacrificato per nome di quattro entità, che hanno ordinato di giustiziare tutti gli agnelli, visto che la loro razza è al centro di una profezia che vede una divinità incatenata risorgere dalla sua prigione. Nel momento della morte, però, il nostro agnello viene salvato proprio da questo essere divino, The One who Waits.
Quest’ultimo propone al protagonista uno scambio difficile da rifiutare: se l’agnello accetterà di creare un culto in suo nome, risorgerà dalla morte come prescelto, ricevendo nuovi poteri per portare a termine questa missione. Non solo. La creazione del culto dovrà essere accompagnata da una vera e propria crociata contro le quattro entità venerate nel culto “rivale”, che dovranno essere uccise una per una.
Inizia così un pretesto narrativo che vede dei temi di stampo Lovecraftiano trattati con toni leggeri e humor, dove le spaventose creature divine, gli adepti e persino i rituali sono rappresentati con uno stile cartoonesco in grado di creare un contrasto grottesco e originale. Le stesse meccaniche di gioco sono infatti spietate e, di fatto, il giocatore si trova tra le mani una setta religiosa dove la morte è all’ordine del giorno. Eppure, nonostante tutto, l’estetica di Cult of the Lamb è sempre piacevole, diventando quindi una sorta di satira dei culti religiosi che rappresenta.
Tra dottrine da seguire e nemici da falciare
La struttura ludica di Cult of the Lamb può essere riassunta proprio come nella premessa della recensione: siamo davanti a un (riuscito) connubio tra Animal Crossing e meccaniche da roguelite. Gli sviluppatori hanno infatti preso a piene mani dalle caratteristiche comuni di questi generi, come la possibilità di giocare all’infinito, e le hanno unite in un loop di gameplay divertente, anche se con alcune criticità forse inevitabili. Ma andiamo con ordine.
Dopo la breve premessa narrativa, Cult of the Lamb ci introduce subito alla prima metà del gameplay: l’esplorazione dei dungeon. Questa è strutturata con varie stanze chiuse (in modo simile a The Binding of Isaac, per intenderci) dove troviamo diversi nemici, risorse, e occasionali potenziamenti. Dopo un certo numero di stanze, poi, si accede a una sorta di world map divisa in nodi, dove selezionare le successive tappe, a loro volta divise in stanze da attraversare.
Dopo un certo numero di nodi, si arriva a un boss che, se sconfitto, dona maggiori ricompense e permette di concludere la “spedizione” in corso. Nulla di nuovo sotto il sole, quindi, ma per fortuna il comparto ludico non si ferma qui.
Per sconfiggere i nemici, il nostro agnello umanoide ha a disposizione due tipi di attacchi: uno corpo a corpo e uno magico. Il primo varia in base alle armi, che differiscono per moveset e danni, mentre il secondo è un attacco a distanza a sua volta variabile in base a ciò che abbiamo equipaggiato.
I comandi sono semplicissimi: il nostro protagonista può attaccare e schivare, mentre uccidendo nemici è possibile ottenere munizioni per l’attacco a distanza. Proprio i nostri avversari, poi, sono discretamente vari e a loro volta sfruttano degli attacchi molto semplici da anticipare. La vera difficoltà di Cult of the Lamb sta infatti nel gran numero di nemici su schermo, piuttosto che nelle meccaniche degli scontri.
Un sistema di combattimento immediato, quindi, che però soffre di un’eccessiva banalità, soprattutto se confrontato con la complessità della componente gestionale del titolo. La possibilità di cancellare gli attacchi schivando, la poca varietà di armi, magie e nemici, uniti a dei dungeon che hanno ben poco di interattivo, rendono gli scontri di Cult of the Lamb davvero troppo semplici.
Per fortuna l’esplorazione dei dungeon non è tutta qui. Nelle varie stanze possiamo infatti imbatterci in potenziamenti passivi da sfruttare per potenziarci durante la partita in corso. Troviamo poi risorse, stanze speciali e mercanti. Proprio la raccolta di risorse e potenziamenti per la nostra “base” rende tutto più interessante.
Questa componente da roguelite (con tanto di morte permanente e generazione procedurale, ovviamente) è legata a doppio filo con la parte life sim del titolo. Raccogliendo risorse, oro, progetti e Devozione è possibile potenziare in maniera incrementale il nostro accampamento, dove il resto del culto fondato nel nome di The One who Waits risiede.
Raccogliere, venerare e servire
Proprio questa parte gestionale risulta la più marcata di Cult of the Lamb. Gestire e far crescere il culto, in fondo, è stata la richiesta esplicita dell’essere divino che ha fatto resuscitare il protagonista. Non siamo però davanti a un gestionale vero e proprio ma, al contrario, a un comparto ludico che richiama molto da vicino quanto visto in Animal Crossing, con le dovute differenze.
Tanto per cominciare, il nostro culto ha bisogno di tre elementi per restare a galla: Pulizia, Sazietà e, soprattutto, Devozione. Nei primi casi le due statistiche possono essere aumentate tramite la costruzione di apposite strutture, che permettono rispettivamente di produrre cibo e di dare agli accoliti varie comodità, come i letti su cui dormire. Ci sono poi azioni individuali che permettono di aumentarle, come raccogliere…beh, le feci da terra. Si, davvero.
Queste strutture possono essere costruite tramite alcune risorse base, come le pietre o il legno, ottenibili durante le esplorazioni dei dungeon e tramite dei punti di raccolta sparsi per la base. Oltre alle versioni “base”, poi, possiamo ottenere anche delle strutture avanzate, che agevolano la raccolta di materiali.
E’ poi possibile assegnare vari adepti a diversi compiti, come appunto la raccolta di risorse, in modo da rendere ogni individuo produttivo. Si crea quindi un piccolo ecosistema, dove gli adepti possono raccogliere le risorse, che poi possono essere utilizzate per la costruzione di nuove strutture. In tutto questo, l’esplorazione dei dungeon permette di reclutare nuovi adepti da assegnare ai vari ruoli e, più in generale, di ottenere risorse aggiuntive. E in tutto questo, dov’è la Devozione?
Questa importante statistica costituisce di fatto la metaprogressione di Cult of the Lamb. Accrescendo il livello di Devozione è infatti possibile sbloccare i nodi di due distinti alberi di abilità, uno dedicato alle strutture del culto – che poi saranno costruibili nello scenario – e uno dedicato al nostro protagonista e alle sue abilità.
Anche in questo caso, è possibile ottenere devozione in molti modi, che vanno dai dungeon, agli edifici, passando per le Dottrine e i Rituali. Le prime consentono di modificare il la struttura del culto, facendo in modo che gli adepti si comportino in un certo modo, aumentando la Devozione quando si manifestano certi elementi di gioco.
Nel caso dei Rituali, invece, siamo davanti a veri e propri eventi che hanno effetti immediati sul culto. Per esempio è possibile danzare intorno al fuoco per aumentare la Devozione, sacrificare un adepto che è diventato problematico e molto altro.
Tutto questo deve poi essere gestito in modo da rendere generalmente felici gli adepti. Se la fede di questi ultimi dovesse scendere, infatti, questi cercheranno di lasciare il culto convincendone altri. Sta a noi scegliere se rieducarli o sbarazzarcene e, in generale, sta a noi cercare di creare un culto con una fede sempre alta.
Proseguendo nel gioco, infatti, la parte puramente life sim diventa molto più marcata rispetto a quella esplorativa e assegnare ruoli agli adepti, raccogliere risorse, creare strutture e in generale partecipare alle varie attività del culto diventa molto più importante rispetto alle crociate. Il risultato è un titolo che pende eccessivamente dal suo lato puramente gestionale, lasciando quasi poca importanza al dungeon crawling.
Nonostante questa componente del loop di gameplay sia abbastanza profonda, si rischia comunque di cadere nella ripetitività generale, soprattutto se consideriamo gli inevitabili limiti di questo genere. Se poi si acquista il gioco anche il comparto action, la sensazione è ancora più marcata.
In sintesi, Cult of the Lamb si dimostra un ottimo roguelite, minato però da difetti troppo evidenti, come l’eccessivo sbilanciamento verso la parte life sim e l’eccessiva banalità del sistema di combattimento. Non siamo quindi davanti a un’eccellenza ma, “semplicemente” a un gioco molto valido.
Carino quel capretto…con gli occhi iniettati di sangue!
Il comparto tecnico di Cult of the Lamb è davvero ottimo, visti gli ambienti e i personaggi molto dettagliati, caratterizzati da sprite cartoon sempre molto definiti, nonché accompagnati da animazioni soddisfacenti. Gli attacchi, i rituali, la raccolta di risorse, tutto viene valorizzato da effetti visivi, giochi di inquadratura e animazioni sempre curate.
A questo si aggiunge un comparto artistico che prende a piene mani da una tenera estetica cartoonesca, presentando anche gli esseri più spaventosi con uno stile leggero e originale.
Infine, il comparto sonoro si conferma eccellente, grazie a effetti sonori e musiche perfetti per le varie occasioni!