Dead End Job è un roguelike arrivato quasi in sordina, che unisce dei livelli generati proceduralmente, con diverse ambientazioni che possono vantare una difficoltà crescente. Il titolo è un twin-stick shooter, che riprende le meccaniche classiche del genere, mettendoci nei panni di un uomo costretto ad affrontare orde di nemici molto più numerosi di lui. Come sempre, muoversi è fondamentale per evitare di essere colpiti e portare a casa la pelle. Vale la pena imbracciare il nostro fucile al plasma?
Morto per un panino
La storia di Dead End Job è un divertente pretesto per metterci subito al lavoro. In pratica, il nostro protagonista e il suo socio in affari sono due acchiappafantasmi di professione. In puro stile Ghostbusters, si dirigono nei luoghi infestati appositamente per scacciare, appunto, i fantasmi che li infestano. Un giorno, tuttavia, il compagno del protagonista muore per un’oliva andata di traverso e, di conseguenza, diventa a sua volta un fantasma.
Da questo momento in poi, dovremo svolgere da soli i vari lavori, in modo da portare avanti l’azienda. Come si capisce dall’incipit, Dead End Job ha un’atmosfera molto sopra le righe, fatta di momenti assurdi (come il direttore “con gli occhi di falco” improvvisamente rappresentato con la vera foto di un rapace), dialoghi pieni di battute e così via. Lo stile cartoon del titolo è davvero azzeccato e impreziosisce l’umorismo di cui è pregna la storia.
Quest’ultima è narrata attraverso brevi scene di intermezzo che riescono spesso a strappare un sorriso. Quindi, pur non avendo una trama appassionante o degna di nota, Dead End Job riesce comunque a creare un’atmosfera e un universo narrativo unico e piacevole.
Il duro lavoro dell’acchiappafantasmi
Dead End Job è un roguelike con delle piccole variazioni a tema. Come al solito, quando si parla del genere, ci troviamo di fronte a livelli generati proceduralmente e a una morte particolarmente punitiva. Ma andiamo con ordine.
Dal menù principale del gioco possiamo aprire la mappa dei lavori. Qui possiamo selezionare uno tra i tanti scenari disponibili, tutti con difficoltà crescente. Inizialmente abbiamo a disposizione soltanto un’azienda infestata, ma andando avanti se ne sbloccheranno altri. Concludendo le missioni, infatti, possiamo ottenere dei soldi, i quali ci permettono di accedere ai livelli più difficili. Questo è un ottimo modo per creare una curva di difficoltà progressiva, che non butti subito il giocatore in pasto a situazioni troppo ostiche. Purtroppo, però, i primi scenari sono fin troppo semplici, rendendo le prime fasi dell’avventura tediose anche per un novizio del genere.
In ogni caso, dopo aver selezionato uno dei livelli, abbiamo la possibilità di sceglierne la difficoltà, mostrata dal numero di fantasmi presenti nell’interfaccia. Proprio come prima: a furia di giocare si sbloccano dungeon più lunghi e difficili all’interno dello stesso scenario.
Pad alla mano, invece, il gameplay ricalca quello di un classico twin-stick shooter roguelike. Ci ritroviamo in dungeon divisi per stanze, ognuna delle quali ospita nemici pronti a farci fuori. A volte è necessario eliminare tutti i nemici per passare alla stanza successiva, altre volte si possono bellamente ignorare... L’obiettivo di ogni missione è quello di liberare dei cittadini imprigionati da una strana melma viola. Dopo aver salvato tutti quelli presenti nel livello in questione, è possibile lasciare l’area e concludere il lavoro.
Le stanze e la disposizione del mobilio al loro interno, sono diverse a ogni partita. Nonostante ogni livello abbia un tema ricorrente (ufficio, parco, ecc…), in ogni stanza sono presenti ostacoli di ogni tipo che ci impediscono di muoverci liberamente, ma che possono fare anche da ripari per schivare i proiettili nemici. Tavoli, scrivanie, siepi, macchine da scrivere (che esplodono se sparate troppo a lungo): c’é davvero di tutto. Purtroppo però, l’ampiezza degli scenari dona al giocatore fin troppo spazio di manovra, rendendolo praticamente indifferente alla disposizione degli ostacoli. Di fatto, se in The Binding of Isaac ogni stanza può essere una vera sorpresa (per dimensioni, trappole, numero di nemici, ecc…), qui invece siamo di fronte a delle semplici arene che difficilmente sorprenderanno.
Inoltre, ogni dungeon è composto solo da combattimenti, togliendo ogni possibile profondità all’esplorazione e riducendo tutto quanto a un susseguirsi di sparatorie. A questo si unisce una varietà di nemici non proprio eccelsa. Di fatto, alcuni fantasmi incontrati più avanti nell’avventura sono dei semplici reskin di altri già visti in precedenza. Quindi, pur avendo un aspetto diverso, si fronteggiano allo stesso modo. Tutto ciò delinea un gameplay estremamente ripetitivo che alla lunga può stancare anche un appassionato del genere.
Per fortuna un pizzico di varietà è donato dagli oggetti consumabili. Questi sono reperibili casualmente durante le nostre avventure e, pur avendo potentissimi effetti, sono sempre usa e getta. Abbiamo granate che fanno danzare i nemici, fucili per danni extra, esplosioni e molto altro. Chiaramente, anche questi sono reperibili casualmente nei diversi dungeon. Per quanto siano divertenti da usare, però, sono fin troppo rari da trovare e di conseguenza non vengono ampiamente sfruttati come dovrebbero.
La morte permanente, croce e delizia degli appassionati
Come ogni roguelike che si rispetti, Dead End Job non perdona. Durante i combattimenti, non basta uccidere i fantasmi ma, dopo averne esaurito la salute, bisogna avvicinarsi e assorbirli con il nostro aspirapolvere. Dopo aver imprigionato un determinato numero di nemici, il protagonista riceve una promozione. Questa permette di scegliere uno tra tre diversi bonus, che possono riguardare l’arma, dei piccoli vantaggi alla salute, bonus di denaro e così via. La scelta è davvero ampia e questo piccolo level up dona sempre un senso di progressione.
La morte permanente arriva proprio ora. Questi power up vengono trasferiti da un livello all’altro, fino alla nostra morte. Indipendentemente dal grado di promozione raggiunto, infatti, la nostra dipartita corrisponde alla perdita di tutti i potenziamenti acquisiti. In pratica, morire significa ricominciare da zero, senza possibilità di recuperare i progressi.
Per fortuna, però, tutti i livelli sbloccati non vengono azzerati e i progressi nell’avventura non vanno persi. Semplicemente, il nostro personaggio riparte da capo. Una bella idea, che dona un pizzico di rischio a ogni missione, senza infarcire il titolo di troppi potenziamenti o acquisti superflui.
Animazione vecchia scuola
Arriviamo ora a un punto indiscutibilmente a favore di Dead End Job: il comparto tecnico. Il gioco vanta ambientazioni e personaggi disegnati a mano e animati davvero bene, con uno stile cartoon esagerato e carico di umorismo. I colori sono accesi e la resa grafica è molto bella. A questo, però, fanno da contraltare alcune magagne tecniche difficilmente ignorabili. La prima riguarda gli impatti non troppo precisi: quando ci sono fantasmi che scattano sotto la nostra posizione, può capitare di essere colpiti pur avendo l’illusione di essere abbastanza lontani da schivare il colpo. Questo, chiaramente, è un problema grave ai livelli di difficoltà più alti. Infine, ci sono degli sporadici cali di frame in alcuni momenti più concitati.
Il comparto artistico e sonoro di Dead End Job sono davvero ottimi, grazie a uno stile davvero sopra le righe e scanzonato che caratterizza disegni e musiche.