Quando, nel 2011, Techland e Deep Silver presentarono il loro Dead Island, per tanti giocatori (me compreso) fu amore a prima vista: nonostante un comparto grafico non esattamente all’ultimo grido per l’epoca e inevitabili difetti, il contrasto tra le assolate spiagge di Banoi e l’inferno putrescente affrontato dai protagonisti me lo fa ricordare con estremo piacere. Come probabilmente saprai, dopo lo spin-off Riptide, le strade di Techland e Deep Silver si separarono, con gli sviluppatori polacchi che accettarono la proposta di Warner Bros di lavorare a una nuova serie, simile per certi versi a Dead Island, ma con toni complessivamente più cupi, ovvero quel Dying Light di cui hanno fatto in tempo a sviluppare due capitoli della serie principale più uno spin-off.
Contemporaneamente, Dead Island 2 si avviava a ripercorrere il triste cammino dei vaporware, seguendo le orme del più illustre esponente della categoria: Duke Nukem Forever. Con un’uscita originariamente ipotizzata nel 2012, furono i tedeschi di Yager a ricevere l’incarico di sviluppare il sequel, salvo poi concludere in un nulla di fatto nel 2015 dopo tre anni di sviluppo, un teaser trailer e un gameplay trailer presentato alla Gamescom del 2014. Dopo alcuni passaggi intermedi, per fortuna il titolo è giunto nelle mani di Dambuster Studios, sviluppatori interni a Deep Silver che sono riusciti a completare l’impresa e a fornirci un seguito rispettoso dell’originale e che andiamo a scoprire.
Drinking in Hell-A
Dopo un adrenalinico, e piacevole, filmato introduttivo, Dead Island 2 ci cala subito nella realtà del gioco e nella sua location: dieci anni dopo i fatti di Banoi, scoppia una nuova epidemia zombie negli Stati Uniti e più precisamente nella zona di Los Angeles che viene posta in quarantena dall’esercito e ironicamente ridenominata Hell-A. Mentre dei misteriosi terremoti squassano l’area, assistiamo all’evacuazione degli ultimi superstiti attraverso dei voli, con l’attenzione delle telecamere che si concentra su quelli che saranno i personaggi giocabili e protagonisti dell’avventura: il truffatore Bruno, la meccanica Carla, la giocatrice di roller derby Dani, lo spogliarellista Ryan, l’atleta Amy e lo stuntman Jacob.
Tutti loro sono presenti sul volo che, a causa di un infetto a bordo, viene abbattuto e si schianta poco distante dal luogo del decollo. Indipendentemente dal personaggio che sceglieremo, la storia si dipanerà sempre allo stesso modo e in men che non si dica verremo morsi, scoprendo (senza alcuna sorpresa) che siamo immuni al morso degli zombie. Motivo per cui andremo a cercare l’attrice Emma Jaunt che, passeggera sullo stesso volo, ci aveva dato in precedenza il suo indirizzo, cercando di riorganizzare le idee per abbandonare la città e l’incubo che stiamo vivendo. L’avventura che ci aspetta si preannuncia dal tono scanzonato, con una festa di sangue e mutilazioni, ma che ci può riservare qualche momento sorprendente, perfino toccante in alcuni brevi frangenti.
Il gameplay di Dead Island 2
Considerando che un gioco vale poco se non è supportato dal gameplay, è proprio di questo che ti vado a parlare, non senza una piccola delusione. Intendiamoci, il gameplay di Dead Island 2 funziona a dovere, ma lo definirei a dir poco “classico”: è come se i 12 anni dal primo capitolo non fossero mai passati e stessimo giocando con un titolo uscito nel corso della generazione PlayStation 4\Xbox 360.
Ovviamente, gran parte del gameplay è incentrato sul combattimento corpo a corpo, anzi potremmo dire che un buon 80% del tempo lo passeremo a massacrare zombie con le armi a nostra disposizione, mentre il restante 20% sarà impiegato a scovare, costruire e migliorare gli strumenti di morte da utilizzare. E per quanto riguarda le armi non possiamo certo lamentarci: ce ne sono tante, quasi tutte potenziabili e alcune veramente divertenti da utilizzare come la canna da pesca elettrificata con la quale prendere all’amo i nostri simpatici non morti e ridurli in cenere con una bella scossetta.
Come nel capitolo precedente, e più in generale in questo tipo di titoli, le armi non hanno una durata infinita e si distruggeranno con l’uso. Sta a noi decidere se ripararle con i rottami raccolti in giro o abbandonarle sfruttando l’abbondanza di strumenti contundenti presenti in giro per Los Angeles.
Man mano che giocheremo faranno il loro ingresso in partita le armi da fuoco, che aggiungeranno un po’ di pepe agli scontri, e sopratutto le carte abilità. Posto che ogni personaggio ha una sua peculiarità, potremo selezionare alcune abilità specifiche come un doppio calcio o un calcio più lento ma potente che dovrebbero consentirci a un certo punto di costruire un personaggio che si adatti al nostro modo di giocare.
Va detto però che è una meccanica abbozzata e non del tutto ben calata all’interno del gameplay: la sensazione è che Dambuster abbia provato a metterci del suo e variare il gameplay ma che successivamente, avendo paura di snaturare il titolo abbia fatto una parziale retromarcia. Con il risultato che in definitiva qualsiasi personaggio e set scegliamo, finiranno tutti per assomigliarsi e conseguentemente il tipo di partita che condurremo rimarrà sostanzialmente uguale. Un peccato tutto sommato trascurabile, se consideriamo come l’idea sia quella di far concentrare il giocatore sul massacro degli zombie, e in questo Dead Island 2 ha pochi rivali.
Il merito è in gran parte del F.L.E.S.H System (che sta per Fully Locational Evisceration System for Humanoids) che contribuisce a rendere in maniera realistica i corpi degli zombie e le loro reazioni ai nostri colpi. Posto che i colpi vanno portati in maniera coerente con l’arma del momento (ad esempio con una katana è meglio mirare agli arti mentre con un martello il bersaglio ideale è la testa), il corpo degli zombie è composto da “strati” per cui sarà possibile strappare i loro abiti, la pelle, e frantumare le ossa in quello che è uno spettacolo decisamente splatter: vedremo teste esplodere a una nostra pedata, viscere venire fuori da un taglio o moncherini e mascelle penzolare dopo una martellata ben assestata.
Proprio questo è il motivo che ci spinge a trovare e assemblare nuovi strumenti di distruzione. Anche perchè molte meccaniche, come dicevo in precedenza, sono ormai classiche e pur funzionando si poteva osare di più: è vero che tecniche di eliminazione multipla che prevedono l’uso di elementi dello scenario come pozze d’acqua o chiazze di benzina in combinazione con esplosivi o materiale elettrico nasce proprio con Dead Island, ma vedere le stesse meccaniche utilizzate nello stesso identico modo dopo tutto questo tempo fa un po’storcere il naso.
Del resto poi, nonostante qualche boss presente di tanto in tanto e una discreta varietà di zombie, difficilmente i nemici costituiranno una sfida; tra la possibilità di parare i colpi e quella di sferrare un calcio che può allontanarli da noi o ancora meglio buttarli giù con conseguente eliminazione immediata per spappolamento della testa, la possibilità di ricevere danni ingenti non è particolarmente alta.
Del resto, a essere sinceri, non abbiamo mai la reale percezione di essere in pericolo e nonostante siamo in una metropoli non ci troveremo a fronteggiare orde di non morti come in Dead Rising. Il massimo di zombie su schermo contemporaneamente si aggira intorno alla dozzina.
Tutto sommato fa parte della filosofia di gioco, che per certi versi dovrebbe essere considerato quasi un party game da giocare con almeno un amico mentre si chiacchiera del più e del meno, tanto ci pensa la musica a farci capire quando il gioco si fa duro.
Affrontando Dead Island 2 in multiplayer emerge un altro piccolo limite del titolo Deep Silver: è stato pensato per essere giocato principalmente in singolo, per cui affrontato (almeno) in coppia il livello di difficoltà cala vistosamente rendendo alquanto insoddisfacenti le circa 20 ore necessarie per completare il gioco, un vero bagno di sangue… ma poco stimolante. Un esempio lampante di quanto detto è l’approccio con alcuni boss che si concentrano su un solo giocatore per volta mentre l’altro può scatenargli contro il proprio arsenale quasi impunemente.
Segnali di stile
Contrariamente al primo capitolo, il comparto grafico è il fiore all’occhiello di Dead Island 2. Sotto questo punto di vista è un titolo davvero moderno, distante anni luce dalla versione presentata nel lontano 2014: Los Angeles è resa alla perfezione, con tutti i suoi luoghi iconici da Bel Air a Venice Beach l’assolata città californiana è stata catturata e riprodotta benissimo, con i suoi colori vivaci e vividi le sue ville imponenti e le sue spiagge che sembrano pulsare vita… se non fosse per le carcasse putrescenti che infestano le strade.
Gran parte del merito va alla scelta intelligente degli sviluppatori di abbandonare ogni pretesa di creare un ambiente open world, dividendo la mappa di gioco in microaree quasi interamente esplorabili e molto dettagliate. Potremo aprire quasi ogni porta, entrare in moltissimi edifici e in generale assaporare la vita in una delle metropoli più famose del mondo, il che è un bene considerato che, specialmente quando cercheremo di completare le missioni secondarie, dovremo passare più volte dalle stesse aree.
Neppure il sonoro può essere da meno, con un accompagnamento musicale che si fa più incalzante quando dobbiamo prepararci al peggio, con sonorità rock sincopate totalmente adatte a quello che potremmo considerare a tutti gli effetti un action movie a tinte horror.
Musica a parte, il comparto audio è molto curato sia negli effetti sonori provenienti dagli scontri con gli zombie quanto, soprattutto, con gli effetti ambientali. Molto spesso sentiremo rumori soffocati provenire da porte chiuse e location dove qualcuno ha rinchiuso i non morti, oppure potremo udire grida in lontananza e colpi d’arma da fuoco o esplosioni, dandoci la sensazione di essere davvero in una città in cui tanti esseri umani continuano a combattere per la propria vita con tutte le loro forze.