Sviluppato da TML-Studios, Dead Man’s Diary è un survival che propone un concept che, devo ammettere, mi ha intrigato fin dal primo sguardo su Steam.
Si tratta di un gioco che si prefigge di portare un’esperienza survival il più simile possibile a quanto si potrebbe fare nella vita reale. E le premesse erano valide, considerando che si tratta di uno studio di sviluppo ben noto per altre pubblicazioni di simulatori.
È forse proprio questo il problema: ci troviamo davanti a un prodotto che non riesce ad essere un buon simulatore e neppure un buon survival. Benché Dead Man’s Diary sia impreziosito da un’atmosfera di prim’ordine e da un comparto tecnico d’eccellenza (quantomeno per la sua natura indie) questi elementi non bastano a salvarlo. Vediamo insieme cos’è andato storto con Dead Man’s Diary.
Un ottimo incipit che perde di mordente
Dead Man’s Diary si ambienta in un mondo post-apocalittico, quindici anni dopo una terribile esplosione nucleare che ha mandato in rovina l’intera razza umana. I pochi sopravvissuti ora vivono rinchiusi in dei bunker. È proprio da qui che parte la storia del nostro avatar, le scorte del suo bunker si stanno esaurendo e la comunità ha deciso allontanare qualcuno per la sopravvivenza del gruppo: tu. Ci ritroveremo quindi in un mondo selvaggio, pericoloso e completamente soli.
Nonostante un incedere del gameplay piuttosto ripetitivo, la trama riesce a essere quasi sempre interessante. Si tratta di una storia di sopravvivenza in un mondo che ha vissuto a un olocausto nucleare e va presa come tale, inframezzata costantemente da momenti in cui la narrazione si ferma per lasciare il passo alla necessità imposteci dalla sopravvivenza.
A merito degli sviluppatori va certamente detto che l’atmosfera del gioco è pazzesca fin dai primi minuti e aiuta a immediatamente a immergersi in un contesto che, nonostante sia immaginario, risulta comunque credibile. Armato della sua fidata torcia, il protagonista reagirà spesso e volentieri all’ambiente circostante, lasciandosi andare a commenti o il più delle volte a esclamazioni di sorpresa e di paura.
Allora, perché dico che la trama di Dead Man’s Diary perde mordente via via che prosegue? Purtroppo, il titolo sul fronte gameplay si rivela davvero troppo problematico e sono certo che la frustrazione che scatena non permetterebbe a tantissimi giocatori di arrivare alla fine del titolo. Vediamo come mai.
Dead Man’s Diary cade proprio sul realismo
Il gameplay di Dead Man’s Diary si fonda completamente sulla sopravvivenza, per cui sarà all’ordine del giorno creare oggetti, ricercare materiali e soprattutto, rimanere vivo! Per tutta la tua avventura dovrai tenere sotto controllo fame, sete e… l’esposizione alle radiazioni! Una chicca particolarmente interessante è che, oltre a poter misurare le radiazioni presenti su ogni oggetto grazie a un misuratore, anche la pioggia sarà radioattiva, per cui sarà necessario trovare riparo e far attenzione alle condizioni meteo!
Gli elementi migliori del gameplay però finiscono qui. Un survival fatto come si deve dovrebbe proporre uno sviluppo continuo della gestione delle risorse, le azioni inizialmente più difficili devono diventare sempre più semplici e veloci, così che tu possa concentrare la tua attenzione su altro. Dead Man’s Diary fallisce completamente in questo aspetto, vittima anche di una gestione dell’inventario poco ispirata. Potrai portare soltanto 3 oggetti con te e, al massimo, potrai depositarli alla base che avrai creato nella zona corrente. Il problema anche qui è che cambiando zona non potrai tornare in quella precedente, perdendo così tutti i rifornimenti faticosamente ottenuti.
Anche le necessità di cibo e di acqua non hanno alcunché di realistico, dovrai cibarti e idratarti in maniera quasi compulsiva. Più che degli elementi da dover tenere in considerazione e da saper gestire, fame e sete sono valori opprimenti che ti ostacoleranno nell’avanzamento con grande frustrazione.
Un’altra grande criticità è che per avanzare di zona in zona dovrai trovare degli oggetti chiave, la cui natura non ti viene quasi mai suggerita ne dal protagonista ne dalle note che è possibile trovare nel mondo di gioco.
In sintesi, Dead Man’s Diary è rissumibile in questo modo: sopravvivi con la costante angoscia di fame, sete e di un inventario con spazi non espandibili e girovaga a casaccio nel tentativo di trovare un “oggetto sconosciuto” che ti farà andare avanti. “Avanti” per modo di dire, considerando che con il cambio della zona perdi tutte le risorse accumulate tranne la torcia elettrica, il misuratore di radiazioni e poco altro.
Per cui, alla fine, c’è poco spazio allo sviluppo nel gioco. Fra gli stenti ti limiterai a completare l’area di turno, esplorando ogni anfratto nella speranza di trovare gli oggetti giusti, solo per ricominciare il ciclo nella prossima zona. Così, fino ai titoli di coda, senza alcun tipo di “premio” per aver superato correttamente una sezione di gioco.
Capirai da te, dunque, che dopo aver completato 1/2 zone, Dead Man’s Diary diventa tutto fuorché divertente o stimolante, un vero peccato viste le premesse iniziali.
Un colpo d’occhio che non tradisce
Come ti riportavo all’inizio della recensione, se c’è qualcosa che Dead Man’s Diary fa in modo eccellente è rapirti e trasportarti nel suo mondo. Ottimizzato a dovere, con le sue ambientazioni il gioco restituisce un feeling spiazzante e la cura nei dettagli dei modelli è davvero alta per un titolo di questo budget.
Impossibile non menzionare la stupenda gestione delle luci offerta dal titolo, capace di dare sfumature di colori agli ambienti davvero credibili e avvolgenti. Una gestione della luce fatta a modo, al punto che ha un suo impatto anche nel gameplay. La nostra fidata torcia, avvicinandosi alla fine della batteria comincerà a dare segni di cedimento, creando effetti di disturbo che più di una volta hanno saputo mettermi in difficoltà nell’oscurità più totale.
A potenziare l’atmosfera creata è un altro elemento studiato ad hoc, l’audio di gioco. Se le ottime musiche contribuiscono alla creazione dell’atmosfera in maniera più o meno marginale, in Dead Man’s Diary sono i suoni a farla da padrone. Sentire muoversi qualcosa nell’ombra, rumori in lontananza o semplicemente il nostro personaggio spaventarsi, è qualcosa che va oltre il solito concetto di immersività. La gestione dei suoni è davvero fantastica e devo ammettere che nelle fasi notturne sono saltato più di una volta sulla sedia, un qualcosa in cui raramente riescono anche videogiochi horror.
Sul fronte del sound design, sono tanti i titoli che dovrebbero prendere spunto da un progetto come questo.