Death Stranding, l’ultima fatica di Hideo Kojima e la prima del suo team di sviluppatori, alla fine è arrivato sul mercato. Un’uscita controversa, che come molti si aspettavano ha spaccato l’utenza in due fazioni. C’è chi s’è fermato al primo sguardo e non ha ben compreso il titolo, chi non riesce proprio a digerire i giochi d’autore e poi se la prende con quest’ultimi, mentre c’è chi è solamente di parte.
Allo stesso modo anche tantissime testate giornalistiche e adoratori di Kojima sono caduti nel versante totalmente opposto: al contrario di quanti sostengano Death Stranding non è un capolavoro, o almeno non lo è in quanto videogioco. Così come il suo intrigante multiplayer asincrono non verrà probabilmente rivisto in altri sistemi di gioco.
In compenso, è in grado di regalare una storia dalle tinte fantascientifiche scritta e confezionata (quasi) in modo impeccabile, con uno standard qualitativo mai raggiunto da questa generazione e forse neanche dalle precedenti.
Uno standard qualitativo di recitazione, modelli dei personaggi e sceneggiatura che mortifica di fatto quella che è la concezione ludica di oggi: puro gioco e balocco, un intrattenimento divertente e facilmente accessibile a tutti con il minimo sforzo. Probabilmente è per questo che Death Stranding è così odiato da una fetta di pubblico, mal rispecchia i canoni di un mercato che già raramente propone opere così autoriali, e ancora meno le esalta mediaticamente come è stato per la creatura di Kojima Production. Come se non bastasse l’altisonante nome del game designer a ricoprire di aspettative il gioco, in questi mesi abbiamo assistito a un continuo rilancio da parte di figure piuttosto autorevoli del settore su quanto fosse “innovativo e fuori dagli schemi” Death Stranding. Dai trailer del gioco invece, si capiva sempre meno e, ad uscita avvenuta, l’insensato embargo per il capitolo 3 del gioco non ha contribuito a una solida comprensione del titolo.
Il nome di Kojima nei primi minuti di gioco ricorrerà sullo schermo in maniera quasi ossessiva, fino ad essere quasi fastidioso. Come potergli levare questa soddisfazione però: il famoso Game Designer giapponese è stato a capo di gran parte del processo lavorativo (e soprattutto narrativo) di Death Stranding, nello specifico per quanto riguarda design del gioco, sceneggiatura, direzione e produzione.
Un ponte per il loro futuro
Il primo impatto con Death Stranding è letteralmente brutale. Nei panni di un corriere Sam Porter, il giocatore si ritroverà in un mondo post apocalittico, in cui l’ecosistema risulterà fin da subito totalmente stravolto. Non ci sarà nessuna spiegazione, ma si verrà trascinati in una turbolenta successione di eventi incomprensibili, di cui ti verrà fornita un’infarinatura sempre troppo generale e vaga. In realtà però, quelle spiegazioni sibilline e superficiali non sono tali per un’incapacità della sceneggiatura nello spiegare il mondo di gioco, ma perché persino i comprimari di Sam subiscono questo catastrofico evento, il Death Stranding, senza comprenderlo appieno. Sebbene i compagni del protagonista siano uomini di scienza e geni, nessuno riesce a rispondere a domande fondamentali riguardo a quello che sta accadendo e, come il protagonista, questi riescono soltanto a vedere le devastanti conseguenze materiali dello Stranding.
Di questo fenomeno, il Death Stranding, si sa molto poco, se non che si sia originato dopo una serie di esplosioni avvenute sul terreno americano. In qualche modo dopo questi eventi i morti (chiamati poi Creature Arenate), hanno cominciato a sconfinare nel mondo dei vivi, portando con loro una sostanza presente solo nella loro dimensione, il Chiralium: una sostanza con proprietà temporali particolari, molto simile all’antimateria. Di fatto è stato il Chiralium la causa della distruzione dell’America, vista la sua proprietà di galleggiare in aria e disperdersi nell’atmosfera fino ad addensarsi in vere e proprie nuvole. La pioggia che scaturisce da queste accumuli di Chiralium dà luogo a un evento metereologico denominato Cronopioggia, chiamato in questo modo per la spiacevole conseguenza che deriva al suo tocco. Qualsiasi cosa venga toccata da questa particolare pioggia andrà incontro ad un’enorme accelerazione temporale, un fenomeno che non esenta l’equipaggiamento e il carico di Sam. Proprio per via della cronopioggia e dei suoi effetti devastanti, non vedremo animali o altri esseri umani. Il mondo si è ritirato sottoterra, in una sorta di bunker e gli unici a valicare le terre americane sono i corrieri, proprio come il nostro Sam.
Il nostro corriere è dotato di due caratteristiche piuttosto rare nel mondo di Death Stranding: Sam è un riemerso, una particolare condizione di immortalità. Quest’ultimo ha infatti la capacità di riemergere dall’abisso, un luogo transitorio per chi ha appena abbandonato le sue spoglie e si dirige verso la Spiaggia, vero e proprio passaggio per l’aldilà in cui spazio e tempo sono statici. La seconda peculiarità di Sam sono le DOOMS, abilità sovrannaturali di differente livello e utilità che si sviluppano in chi ha o ha avuto uno stretto contatto con il chiralium. La lunga contaminazione a questa sostanza non regala solo benefici, ed è in grado di far sorgere anche paranoie o fobie come l’aptofobia di Sam.
Essere un riemerso non implica però che il giocatore potrà lasciare tranquillamente morire Sam. Nonostante il corriere abbia la capacità di tornare dall’abisso, il contatto della materia umana con l’antimateria che si trova all’interno delle CA (Creature Arenate) dà luogo a un’esplosione. Per questo una volta “morto” il protagonista lascerà un enorme cratere nel terreno, anche se di dimensioni più ridotte di quelle dei normali umani. Questo pone un grattacapo non da poco: bisogna evitare il più possibile di soccombere.
Per salvare la sorella Amelie, ultima presidente di ciò che rimane dell’America e che si trova all’estremo opposto della costa americana, sarà il nostro Sam, uomo solitario e taciturno, a venir incaricato di ricostruire il paese ricollegando (a forza di consegne) tutti i piccoli nodi abitati dai pochi sopravvissuti al Death Stranding. La compagnia per cui lavora Sam, la Bridges, vuole ricollegare tutto il suolo americano tramite la “Rete Chirale” e fondare le UCA, le Città Unite d’America. Fra Creature Arenate, cronopioggia, Homo Demens e pile di carichi da consegnare, sarà compito di Sam quello di essere il ponte per un nuovo domani.
Benvenuto nella rete chirale!
È nella connessione di questi avamposti che entra in gioco il gameplay di Death Stranding. Sam verrà subito fornito di uno speciale oggetto chiamato Q-Pid, in grado di connettere alla rete chirale i terminali dei vari nodi. Cos’è questa rete chirale? Potresti considerarla come una sorta di connessione internet dotata di una velocità vicina a quella della luce, una rete in grado di utilizzare come tramite per i dati la “Spiaggia”, il limbo prossimo all’aldilà da cui provengono le Creature Arenate.
Visto che nella spiaggia non c’è alcuno scorrere del tempo, trasmettere anche mastodontiche quantità di dati non è più un problema, visto che il trasferimento avviene praticamente all’istante. In questo modo anche chi si era isolato riesce, in un modo molto distorto, a riprendere contatto con ciò che si trova fuori dalla sua tana. A ricominciare a far parte di una società.
Quasi sempre, fra un nodo e l’altro, dovremo effettuare delle consegne, visto che nonostante tutto il protagonista rimane un corriere, una figura fondamentale per la sopravvivenza delle persone post Death Stranding. Proprio per questo verranno assegnate a Sam consegne di ogni tipo. A volte il nostro protagonista dovrà semplicemente portare dei rifornimenti ad un avamposto Bridges, per cui giocando in casa potrà collegare il terminale alla rete senza alcun problema. Talvolta però, consegneremo dei carichi a strutture di semplici sopravvissuti, in gioco chiamati Prepper. Per farli entrare nelle UCA dovremo spesso convincerli a fidarsi facendogli dei favori o delle consegne, spesso piuttosto pericolose. È dura la vita del corriere!
Consegne e Creature Arenate non vanno d’accordo
Veniamo ora all’analisi vera e propria del gameplay. Death Stranding si presenta di fatto come un’opera totalmente anfibia nel genere, prendendo da generi diversi in base alle necessità narrative. Il gioco è di fatto un gestionale con meccaniche da platform 3D visto che dovremo arrampicarci, saltare, e scalare il mondo davanti a noi, aiutati da una componente sandbox ottimamente riuscita.
La pianificazione in Death Stranding è fondamentale: avanzando ti ritroverai sempre a chiederti se non fosse stato meglio portare una stampante chirale invece che una scala, a segnare un percorso piuttosto che un altro. Potresti anche voler fare una deviazione per ricaricare la batteria del tuo mezzo, o per ripararti dalla cronopioggia. Ad avere un peso esorbitante nel gameplay è la gestione dello spazio nell’inventario. Ogni oggetto utilizzato o trasportato da Sam avrà una fisicità nel mondo di gioco e il giocatore dovrà sbizzarrirsi per equilibrare il carico in modo che non torni d’intralcio durante il viaggio di consegna. Il menù di gestione del carico può spaventare vista la sua (apparente) complessità e, al netto di una conferma delle azioni piuttosto macchinosa, rivela una profondità piuttosto interessante.
Nelle prime fasi il gioco prenderà le tinte di uno stealth/horror quando faremo in nostri primi incontri con le CA. Visto che Sam non avrà come difendersi dalle Creature Arenate dovrà aggirarle tramite l’ausilio del Bridge Baby e dell’Odradek: il Bridge Baby, è un bambino dato alla luce da una donna in stato di morte cerebrale e mantenuto in vita dalla capsula in cui è contenuto. Tramite il cordone ombelicale un tempo collegato a un corpo con “l’anima sulla spiaggia”, questi esserini si collocano fra vita e morte. Questo contatto con l’aldilà gli consente di fare da ponte con la Spiaggia e permette di individuare con precisione le CA. L’Odradek è uno scanner che servirà a analizzare il terreno attorno a Sam e si può connettere direttamente al Bridge Baby, in modo da segnalare persino le CA.
Nel caso il giocatore venisse individuato da una CA, questa lo inseguirà e sarà molto spesso impossibile sfuggirle. Una volta che avrà raggiunto il corriere, il terreno comincerà mutare in catrame, e forme umanoidi (presumibilmente altre CA) cercheranno di afferrare il giocatore per trascinarlo a terra. Sarà possibile liberarsi con grande facilità, al costo della barra della resistenza di Sam, ma nonostante ciò queste entità faranno cadere il carico a terra, costringendoci a raccoglierlo. Se non si è veloci ad uscire da questo “terreno maledetto” e si finisce la resistenza o ci si sbaglia, si verrà trascinati via da questa figure umanoidi (spesso a tantissimi metri dal carico ormai a terra) e verrà evocata una CA dalle fattezze mostruose e potremo decidere se combatterla o tentare la fuga.
Far cadere il carico non è mai una buona trovata, è persino peggiore della morte. Una volta compromesso il carico di una missione principale andremo incontro al vero game over di Death Stranding, e anche senza distruggerlo un carico rovinato non farà felice il richiedente, che ci assegnerà pochi mi piace per la consegna, compromettendo il voto della missione.
Se inizialmente si avranno a disposizione solo Sam, il Bridge Baby e l’Odradek, il gioco andrà via via evolvendosi, introducendo una vastissimo numero di strumenti e armi da far invidia a un gioco action, perdendo nelle fasi avanzate quasi del tutto quell’approccio più silenzioso. Perché sì, a dispetto di quello che potrebbe sembrare in questo gioco si spara e si combatte. Peccato sia evidente che tanto il sistema di shooting quanto il combat system abbiano sofferto di tempi di produzione estremamente ristretti, visto quanto sono semplici e raffazzonati. Al contempo spezzano una monotonia del gameplay che peserebbe enormemente sull’opera di Kojima.
Homo (un po’ troppo) Demens e (poco) Ludens
Un grandissimo peccato per quanto riguarda la IA di gioco. Nelle mappe saranno presenti dei gruppi di “rubacarichi” chiamati MULI. Questi ex corrieri, affetti dalla “sindrome da dipendenza da consegna” sono persone che anche prima del Death Stranding avevano problemi legati al sentirsi inutili in una società automatizzata. La contaminazione da Chiralium e la costante necessità di ossitocina data dai “mi piace” ha ulteriormente acuito questo disturbo, rendendoli degli Homo Demens: se individueranno Sam mentre trasporta un carico, questi lo attaccheranno per rubarglielo e effettuare la consegna al suo posto. Certo, si potrebbe far finta che siano così lenti, goffi e poco reattivi perché letteralmente dei disturbati mentali. Peccato che anche il resto degli antagonisti abbia quest’incertezza nell’attaccare, un’aggressività così minima da rendere le minacce facilmente sovrastabili.
Al contempo bisogna comunque fare attenzione ad avere un approccio non letale con gli esseri umani: ucciderli li manderà in necrosi, un processo che andrà a generare di li a poco una CA. A quel punto questa tenterà di inglobare le sue spoglie mortali dando origine a una voragine. In sintesi uccidere qualcuno pone grandi difficoltà nel gameplay, visto che l’enormità delle voragini generate ti costringerà ad allungare non di poco i percorsi delle consegne.
La fisicità di Sam Porter è qualcosa di probabilmente mai visto in una produzione tripla A di questo genere, con solo l’amatissimo Arthur Morgan di Red Dead Redemption 2 a potersi avvicinare a questo standard in un videogioco. Il buon Arthur però non era costretto a portare in spalla 100 kg di carico su terreni tanto scoscesi e per una ragione piuttosto ovvia: non si sarebbe rivelata una meccanica divertente e anzi considerando il già macchinoso iperrealismo di Red Dead Redemption 2 avrebbe solo appesantito ancor di più il gioco. E sì, Death Stranding è come da titolo un “non gioco“, perché di fatto fra le lande desolate e deturpate dell’America non ci si diverte poi molto: portare i carichi per terre rocciose, innevate e scoscese con un sistema di fisica così tanto accurato è davvero terribile. Inciampare e far rotolare il carico giù da un pendio, oltre che a danneggiarlo (e quindi a ricevere minor approvazione dal richiedente) ci costringerà a compiere una deviazione che, in situazioni d’emergenza, potrebbe costare caro. La stessa cronopioggia, oltre a nascondere le CA, andrà letteralmente a consumare il carico invecchiandolo. Il sistema dell’equilibrio, soprattutto a inizio gioco, non farà altro che creare tantissimi problemi; dovrai fare la massima attenzione al terreno dove ti poggi, a spostare il peso pendente a destra e a sinistra tenendo premuto rispettivamente premuti i dorsali e a non cadere per non spaventare il BB, portando il suo stress a livelli critici: non vorrai non poter più vedere le CA, te lo assicuro.
Frustrazione e soddisfazione, due facce della stessa medaglia
Questa continua miscela di frustrazione e richiesta d’impegno per portare a termine le missioni ha gioie e dolori: da una parte, soprattutto nelle prime fasi di gioco, Death Stranding si presenta in maniera piuttosto demotivante. Il gioco cercherà di metterti i bastoni fra le ruote in continuazione, ed è plausibile che più di qualcuno si chieda a quale scopo farsi tale violenza solo per consegnare dei pacchi, soprattutto se non colpito immediatamente dallo strano (quanto stupendo) mondo di gioco creato da Kojima. Giocare a Death Stranding non è divertente ed è chiaro che non punti neppure ad esserlo. Il gameplay ha un solo e semplice scopo, portarti a provare soddisfazione.
Soprattutto dal terzo capitolo di gioco in poi, quasi tutte le missioni principali cominceranno a sbloccare oggetti, attrezzi o funzioni utili. Non entro nel dettaglio per non fare spoiler non graditi, ma il gameplay non solo si evolverà in modo esponenziale, ma diventerà sempre meno pesante e frustrante. Il giocatore sentirà questi progressi impattare in modo vitale sul gameplay, cominciando a translare quella frustrazione in grande soddisfazione. Se soltanto non fosse che, per un titolo così incentrato sulla narrazione, vengano richieste troppe missioni per l’avanzamento, alcune estremamente banali e non necessarie al reale proseguimento della trama. Il ritmo della narrazione è troppo sbilanciato: a sezioni di gameplay troppo vaste si alternano cutscene estremamente lunghe, un marchio di fabbrica di Kojima. E paradossalmente non sono le cutscene a pesare, ma proprio la loro diluizione derivata dal da corriere. Dopo un inizio estremamente narrativo Death Stranding alternerà interi capitoli praticamente incentrati solo quasi ed esclusivamente sul gameplay, per poi riaccelerare di botto negli ultimi 4 capitoli.
Death Stranding fallisce nel ritmo della narrazione e propone una quantità sovrabbondante di gameplay che indebolisce la trama principale. Non si tratta di missioni secondarie, alcune delle quali piuttosto interessanti, ma di missioni principali che allungano inutilmente i tempi e rischiano di far desistere il giocatore di giocare questa magnifica esperienza.
In sintesi, un tutorial piuttosto povero e lungo e alcuni capitoli fin troppo dilatati possono provocare una frustrazione e una noia tale da richiedere grande impegno per essere superati. Per chi considera di per sè la storia e la componente artistica di un videogioco una delle parti fondamentali dello stesso, riuscirà ad arrivare a fine percorso soddisfatto del gameplay e stupefatto dalla trama. Al contrario chi gioca per divertirsi e non cerca un’esperienza impegnativa, si troverà davanti un ostacolo insormontabile: immagino sia un problema essere poco invitante per un gioco che vuole connettere. Sarebbe bastato sottrarre una decina di ore alla cinquantina proposta dal titolo.
Multiplayer Asincrono: è rivoluzione?
Un riuscito contrappasso alla frustrazione (iniziale) è il multiplayer asincrono di Death Stranding, quella che è stata definita la più rivoluzionaria delle sue caratteristiche. Certo, un multiplayer asincrono così strutturato non si era mai visto nelle grandi produzioni, esclusi i messaggi di Dark Souls che fanno ben poco in questo ambito. Il multiplayer asincrono di Death Stranding è ben più profondo e articolato e fonda la sua essenza nella soddisfazione nel ricevere approvazione da altri giocatori.
Nel gioco infatti si possono costruire un gran numero di strutture o di messaggi utili che aiuteranno in maniera considerevole sia te che gli altri giocatori a muovervi nelle accidentate mappe. Si potranno costruire strade, ponti, generatori per la ricarica delle batterie e tanto altro. Si può persino consegnare carichi smarriti da altri giocatori, un’attività che farà aumentare il Bridge Link, la statistica di Sam che, una volta aumentata, gli permette di stringere sempre “contratti” di cooperazione con altri giocatori. Ti accorgerai ben presto che il Bridge Link ha un grande impatto sul tuo mondo di gioco: vedrai sempre più costruzioni e oggetti costruiti da altri giocatori, in alcune occasioni semplificandoti la vita non di poco.
Perché il multiplayer asincrono aiuta a limare la frustrazione? In un certo senso la contestualizzazione di questa meccanica rispetto all’universo di gioco è strabiliante. Di fatto, come fossi uno dei MULI, è l’ossitocina a darti grande soddisfazione. Nel gioco infatti è possibile mettere dei “mi piace” alle costruzioni degli altri giocatori, alla stregua di come accade per un destinatario di un carico. Dopo aver ricevuto i primi mi piace, potresti ritrovarti a mettere delle costruzioni in punti focali solo ed esclusivamente per aiutare qualcuno: in questo senso, Death Stranding è davvero un gioco che connette.
Ma com’è questa America?
Il comparto tecnico di Death Stranding è uno dei punti forti dell’esperienza. L’America post Death Stranding è fantastica da vedere e ricorda molto i pittoreschi paesaggi della Nuova Zelanda. Per via della Cronopioggia e delle voragini il bioma del suolo americano è mutato al punto da far sembrare alcune zone un terreno di un pianeta alieno. Peccato soltanto per qualche calo di frame di troppo su PlayStation 4 vanilla e un pop up degli elementi dello sfondo a volte fastidioso. I muschi le piante, ma soprattutto le rocce e la conformazione del terreno, sono tutti estremamente realistici, grazie al Decima Engine, che probabilmente conoscerai per aver dato vita al famoso Horizon Zero Dawn.
Uno degli aspetti in cui Death Stranding batte a mani basse qualsiasi altro prodotto uscito fino a oggi nel mercato del videogioco, è probabilmente il massiccio e ottimo utilizzo della recitazione. I modelli dei personaggi sono perfetti e le animazioni facciali son ben più che convincenti, seppur non siano tutte sullo stesso livello qualitativo. Il gioco, aiutato da una sceneggiatura e una fotografia magnifiche, è in grado di regalare un’esperienza visiva davvero pazzesca. Norman Reedus, Léa Seydoux, Guillermo Del Toro, Mads Mikkelsen e tanti altri attori molto validi compongono un cast stellare e sono i maggiori contribuenti di una caratterizzazione dei personaggi, egualmente supportata dalla superba scrittura degli stessi, in grado di regalare emozioni e una vera e propria catarsi. I personaggi, tutti estremamente umani, mostrano le loro fragilità e la loro potenza narrativa grazie a momenti di recitazione e regia che toccano vette mai arrivate nel videogioco.
Sono convinto che Death Stranding sarebbe stato un film fantastico.
A supportare i magnifici personaggi c’è un doppiaggio italiano di altissimo livello, in grado di dare una teatralità con un’enorme potenza emotiva a momenti chiave della trama. Nonostante ciò il doppiaggio inglese è superiore a quello nostrano, seppur di veramente poco. Uno degli aspetti più strabilianti di Death Stranding è il suo comparto sonoro: dai rumori ambientali come quello di acqua, vento e pioggia fino ai suoni degli impatti, Death Stranding è una gioia per le orecchie. Non mancano mai musiche strumentali in grado di sottolineare alla perfezione la potenza dei momenti importanti, come vere e proprie canzoni come quelle dei Low Roar, in grado di regalare momenti di contemplazione e di malinconia alla traversata di Sam.