Nell’ormai classico setting post-apocalittico, in cui elementi futuristici e naturali si mescolano insieme, il mondo vede in forte conflitto fede e religione. Per mettere un punto alla questione, la Chiesa della morte ha bisogno di un paladino che possa portare equilibrio nel caos. Questo è il contesto che la demo di Deathbound ci fornisce prima di farci prendere il gamepad in mano.
Per scoprire il resto di trama e lore, dovremo attendere la release completa, ma possiamo già fare qualche considerazione su gameplay, direzione artistica e level design: riuscirà Deathbound a emergere in un genere che comincia forse ad essere troppo popolato?
Gameplay, la meccanica del morphing
Ciò in cui Deathbound si distingue dagli altri soulsike a livello di gameplay è la meccanica del “morphing”. Il titolo non presenta in sostanza il classico sistema di build, ma adotta una soluzione sicuramente interessante. Nel corso del gioco, incontreremo diversi personaggi, ciascuno con un suo background e un peculiare stile di combattimento che potremo assorbire e sfruttare a nostro vantaggio.
Si tratta di vere e proprie build pre-costruite, che potremo richiamare in ogni momento del gameplay a seconda delle esigenze. La demo ce ne fa provare diverse: l’assasino con arma ranged, il caster, un tank dotato di martello pesante e altri che preferiamo non spoilerare.
La cosa interessante è che di ciascun personaggio non ereditiamo soltanto equipaggiamento e abilità, ma anche aspetto e tratti caratteriali. Ogni personaggio ha infatti dei tratti che lo allineano ad una precisa idea e stile di comportamento, e ciò crea delle sinergie particolari che possono penalizzarci o premiarci, a seconda di quali scegliamo di schierare in campo.
Ciò sarà molto importante perché potremo dare vita anche ad attacchi combinati tra le varie classi che potranno rivelarsi fondamentali per superare gli scontri più ostici.
Se l’impianto di base sembra fresco e interessante, al momento della pratica, qualcosa scricchiola. Non tanto per il comparto tecnico e gli sporadici bug presenti, che dato lo stato di pre-alpha ci sarà sicuramente tempo per rifinire al meglio, quanto per possibilità di attacco e il feeling nello scontro.
Quest’ultimo sembra un po’ troppo legnoso ed impreciso, specie nelle fasi di schivata. Alcune classi sono ancora da bilanciare, e probabilmente il gioco fornirà sempre più modi per ampliare la meccanica di combinazione di colpi e classi, ma al momento, data l’assenza di armi con mooveset diversi da quelli a disposizione, le possibilità che il combat system offre sembrano limitate in confronto ad altri titoli del genere.
L’albero delle skills è invece estremamente ramificato (e graficamente non troppo leggibile, almeno per il momento). Ogni classe è trattata a sé e può essere potenziata in maniera specifica, così da potersi concentrare soltanto su quelle skill che ci interessano permettendoci di tralasciare altre classi con cui magari non simpatizziamo particolarmente.
Level design e art direction di Deathbound
Quanto al comparto grafico, Deathbound mi ha stranito. Tecnicamente non siamo di fronte ad un brutto prodotto, anzi. Il colpo d’occhio e buono e il motore grafico fa il suo dovere. Le performance sono certo da ottimizzare, ma gli sviluppatori ne sono assolutamente consapevoli e ci avvertono a inizio gioco.
Quello che appare strano è l’insieme degli elementi artistici che vanno a comporre il mondo disegnato da Trialforge Studio. Il mix tra alcuni elementi futuristici, come gli ascensori che fungono da shortcut (ripresi direttamente da Dark Souls), grattacieli nello skyline ed elementi naturali come alberi, erbe e radici sembra una commistione di oggetti diversi e contrastanti priva di soluzioni di continuità.
Sembra di trovarsi davanti a una costruzione approssimativa che manca di un filo conduttore forte a dettare le leggi del world-building e della definizione artistica dei vari elementi a schermo.
Ciò non fa certo bene al level design, che appare eccessivamente lineare, monotono e confusionario, almeno nella sezione di gameplay proposta dalla demo. Se in più aggiungiamo la presenza di vari elementi decorativi che sembrano buttati lì un po’ a caso, come casse, barili, tende e carretti, sempre uguali e riproposti ad ogni angolo della mappa, la situazione non migliora affatto.
In un titolo che dovrebbe puntare per genere sulla narrazione silenziosa e ambientale, una cura quasi maniacale del level design dovrebbe essere lo standard su cui costruire. Su questo punto, Deathbound purtroppo non convince.
Quello che invece mi ha colpito è il modo in cui si reclutano i diversi personaggi che vanno ad aggiungersi alle nostre abilità. Senza fare troppi spoiler, questi momenti corrispondono ad una fase di gameplay dedicata alla scoperta di qualche informazione sulla natura del personaggio, gradevole da vivere e più ispirata delle altre fasi di gioco. Nulla che a mio parere riesca a risollevare completamente il lavoro fatto sul level design, ma sicuramente una bella scelta artistica.
In conclusione
Deathbound è un titolo certamente da tenere d’occhio, specie se sei un fan del genere. Tuttavia, mostra il fianco su qualche elemento di fondamentale importanza, come l’art direction e il level design. Il combat system è invece costruito su un impianto interessante, e se gestito con attenzione a livello di skills e possibilità offerte in termini di approccio, potrebbe rivelarsi davvero il punto chiave del titolo per distinguerlo dai suoi simili nello stesso genere, in un mercato che vede i soulsike forse come un genere che comincia quasi ad essere abusato, e in cui sta diventando sempre più facile ripetersi.