Deflector è un roguelite particolarissimo, che sprizza stile da tutti i pixel. Il titolo vanta infatti meccaniche particolari, affiancate da uno stile sci fi davvero interessante, che fin da subito cattura l’attenzione. Come sempre, però, parliamo di un genere ormai davvero saturo e per questo motivo ogni gioco che ne fa parte deve almeno tentare di offrire qualcosa di nuovo. Ma bando alle ciance ed entriamo in questa recensione!
Una storia molto lineare
La storia di Deflector è quasi un pretesto per farci iniziare le carneficine di insetti giganti che popolano il gioco. “Quasi”, perché in realtà il titolo sfoggia un lieve dose di umorismo che funziona molto bene, rendendo i dialoghi sempre interessanti, nonostante siano brevi. Di base, l’intreccio narrativo non è molto complesso. Semplicemente, un’IA che gestisce un grande complesso scientifico si ritrova a fronteggiare un’invasione di insetti giganti e, per risolvere il problema, crea dei mutanti che possano fronteggiare la minaccia e annientarla.
La presenza di una storia non troppo approfondita è una scelta ricorrente nel genere, dove il fulcro di tutto resta il gameplay. Lo stile generale della produzione, però, dona comunque lustro al titolo, rendendolo riconoscibile.
Deflector…il titolo dice tutto
La struttura alla base di Deflector richiama quella già vista molte volte nel genere: si spawna in un HUB centrale dove viene gestita la metaprogressione, si inizia una partita in un dungeon generato proceduralmente, si muore…e si riparte. Ogni partita è diversa, ogni morte è permanente, ma ogni volta si mantengono dei punti con cui è possibile acquistare dei potenziamenti permanenti.
Una struttura che quindi abbiamo ormai visto in tutte le salse, la quale qui viene addirittura riproposta con meccaniche molto simili a quanto visto in Slay the Spire. Il dungeon è infatti rappresentato da una mappa divisa in nodi. Questi possono essere considerati delle stanze che, una volta completate, permettono di accedere a quelle adiacenti. Si crea quindi una mappa strutturata ad albero, la quale costringe inevitabilmente a un minimo di pianificazione.
Ogni stanza è infatti divisa in categorie diverse, che vanno dai combattimenti, alle mutazioni, alla possibilità di potenziarsi o di curarsi. Come spesso accade in questo genere di titoli, però, è il combattimento a rivestire il ruolo di primo piano, diventando il terreno di prova di tutto ciò che ha caratterizzato le scelte fatte durante la run. Come si combatte, quindi?
Di base, è molto semplice. Ogni scontro è strutturato come un vero e proprio bullet hell, con varie ondate di nemici presenti in arene dalle dimensioni ridotte – e con occasionali trappole ambientali – che sparano diversi proiettili luminosi e ben visibili su schermo. Da parte nostra, invece, abbiamo a disposizione un attacco principale, una parata, una schivata e varie mutazioni.
Nel primo caso, l’attacco varia in base al personaggio utilizzato, che per esempio può basarsi sul lancio di un boomerang o su attacchi corpo a corpo. La parata è invece un breve parry, in grado di riflettere gli attacchi nemici e in certi casi persino i nostri stessi (ad esempio il boomerang che torna indietro). La schivata è invece un dash che si dimostra ben presto vitale per sopravvivere.
Entrano poi in gioco le mutazioni. Queste sono delle abilità attive o passive che influenzano enormemente lo stile di gioco di ogni partita, donando potenziamenti rilevanti alle varie azioni. E’ ad esempio possibile trovare qualcosa che aumenti le dimensioni del boomerang se viene parato al ritorno, ma anche qualcosa che rende la schivata in grado di lasciare una scia laser dal punto di partenza. Si aggiungono poi dei potenziamenti alle statistiche, che essenzialmente funzionano come quelli osservati in Dead Cells, donando bonus a mutazioni e attacchi corrispondenti.
A questo si aggiunge la metaprogressione già citata, la quale aggiunge all’equazione la possibilità di sbloccare nuove mutazioni, che poi appariranno nelle partite successive, nonché la possibilità di aumentare passivamente le statistiche per migliorare le performance dell’avatar virtuale. Deflector resta però un roguelite e in quanto tale chiede al giocatore molta pazienza.
I combattimenti sono infatti un tripudio di proiettili e attacchi, i quali costringono il giocatore a fare ampio uso della parata e della schivata, per non arrivare al boss di turno con gli HP ridotti all’osso. A loro volta, i boss riescono a essere decisamente sfidanti, per via di meccaniche da comprendere e di moveset mai troppo immediati. A questo si aggiunge la già citata gestione del dungeon, che delinea la progressione interna alla run.
Nel complesso, Deflector si dimostra un roguelite interessante e divertente, forse fin troppo derivativo nella sua struttura di base, ma comunque in grado di soddisfare gli appassionati del genere alla ricerca di qualcosa di nuovo da mettere sotto i denti. La formula di gioco pone forse troppa enfasi sui combattimenti, rendendo la produzione ripetitiva nel lungo periodo, ma il risultato finale resta godibile. Chiaramente, molto è nelle mani degli sviluppatori e di eventuali futuri aggiornamenti che possano aggiungere elementi di gioco.
Bello e stiloso
Il comparto tecnico di Deflector si dimostra fin da subito ottimo. Il gioco non sfoggia modelli poligonali o ambienti troppo dettagliati, ma vanta animazioni sempre soddisfacenti e un colpo d’occhio che riesce comunque a essere soddisfacente. Si aggiunge un comparto artistico che sembra quasi tendere verso il low poly, dando lustro al tutto anche grazie ai colori accesi.
Infine, il comparto sonoro è ottimo, grazie a musiche ed effetti sempre adatti alle varie occasioni, ma mai memorabili.