Quando gli sviluppatori di Capcom hanno espresso la volontà di realizzare l’ultimo e migliore action game dell’era Heisei (In Giappone i periodi si dividono in Ere e quest’ultima termina ad Aprile 2019), in molti hanno sperato con forza di veder tornare la saga di Devil May Cry ai suoi antichi splendori. Il compito non era per nulla semplice. Il pur pregevolissimo DMC, targato Ninja Theory, era stato presentato senza troppa convinzione, lasciando il pubblico piuttosto interdetto e lasciando al contempo il gioco a se stesso successivamente. Posto ormai l’esperimento alle proprie spalle, in Capcom hanno deciso di rivoluzionare le carte in tavola modificando la timeline della saga per posizionare il quarto episodio dopo il secondo e non viceversa, quasi a voler sacrificare Devil May Cry 2 in funzione della cronistoria suggerita dall’ordine: terzo, primo e quarto (gli ultimi due creati dal director di DMC V). Inoltre, per imporsi nei cuori e nelle menti del pubblico, una decade dopo l’ultimo titolo canonico e dopo fior fiori di action usciti sulle nostre console (Nier Automata è sempre lì nei nostri cuori), c’era davvero bisogno di tirare fuori un estro demoniaco. Ci saranno riusciti? Continuate a leggere.
Maratona all’Inferno
Come tutti gli amanti della saga avranno notato, le atmosfere dei vari Devil May Cry usciti nel corso del tempo sono state molto diverse da quella, gotica e sublime del primo episodio creato da Shinji Mikami. Votato molto più all’action puro e ad eccellere nel genere hack’n’slash, questo quinto episodio è sostanzialmente una prosecuzione della direzione intrapresa con Devil May Cry 4. Da questo, Dmc 5 recupera Nero, il cavaliere dell’Ordine della Spada, innamorato di Kyrie, e la consecutio degli eventi.
Dante non ha molto lavoro da sbrigare e la Devil May Cry, agenzia di cui è titolare, è in bancarotta e senza demoni da sconfiggere. Luce e gas faticano ad essere pagate e, anche se il nostro canuto eroe non lo dà a vedere, è alla disperata ricerca di un incarico. Ecco presentarsi il misterioso V, giovane ragazzo magrolino, pieno di tatuaggi e dall’espressione strana, che gli chiede di adempiere ad un compito importantissimo per il quale sarà pagato in anticipo. Intuendo più di quello che mostra, Dante non se lo fa ripetere due volte e accetta. La città è preda di un gigantesco albero demoniaco, il Qliphoth (rappresentazione Ebraica delle forze del male), al cui interno, come in un alcova dalla quale trae potere, si cela il nuovo re dei demoni Urizen. Il nemico appare imbattibile, tanto da spingere i nostri alla ritirata mentre si unisce alla battaglia anche Nero, reduce dall’aver perso il braccio (che custodiva il potere del Devil Trigger), accompagnato dalla forgiatrice Nico (personaggio geniale e nuovo per la saga).
Queste sono le minime premesse narrative di una storia che, pur non eccellendo per profondità e complessità artistica, riserva qualche colpo di scena potente anche se non del tutto inaspettato. Sono molti i filmati che fanno da cornice al puro gameplay, così come sono molti i personaggi messi in gioco, anche se non tutti sviluppati a dovere. In questo contesto, la lieta presenza di Trish e Lady non ha un impatto decisivo ai fini della trama, ma non per questo non ha un senso nella direzione complessiva della saga (diciamola così).
Luci e ombre di Luce e Oscurità
Dal punto di vista tecnico il RE Engine offre una visione d’insieme ottima. Ciò che si muove su schermo è dettagliato e scintillante ma possiede anche quella grana “densa” che abbiamo percepito in Resident Evil 2 Remake. Il risultato sono modelli poligonali ben definiti e dalle espressioni realizzate alla perfezione e sfondi e ambientazioni di sicuro fascino. Dal fronte prettamente tecnico non ci troviamo davanti al massimo generazionale, ma la cura rivolta alla realizzazione di spazi, giochi di luce e ombre, colori e dettagli è certamente lodevole. Peccato solamente per una certa ripetitività delle ambientazioni le quali, pure con parecchie variazioni cromatiche, alla lunga possono risultare stucchevoli.
Se il sottoscritto aveva esposto molte perplessità sulla direzione artistica che avrebbe avuto questo Devil May Cry V, in particolare per quanto riguarda il design di Nero e l’idea complessiva, sono costretto a ricredermi, almeno in parte. Seppur ben amalgamato nel contesto di gioco, Nero continua ad apparire ai miei occhi una sorta di marine americano che brandisce spade e mi ricorda la Capcom che creava mostri umani come il Chris Redfield di Resident Evil 5 (sarà il numero 5). Ci si fa l’abitudine e in generale è un personaggio ben costruito anche dal punto di vista estetico. Punto di vista che appare fin da subito permeato da una filosofia di fondo precisa e di impatto. Non ho avuto dubbi nell’apprezzare ciò che mi veniva mostrato su schermo fin dall’inizio, segno che la direzione era quella giusta. Il personaggio di Nico, con il suo accento Texano e con le sue caratteristiche e movenze, non solo è perfettamente riuscito ma è in grado di dare ritmo ad ogni parte del gioco, dalla narrazione al gameplay. Non è poco ed è un elemento che si può sottovalutare ad una prima occhiata. La sua storyline, non troppo profonda, riesce comunque a colpire dove e quando serve. Ripetitività a parte, design dei nemici (preparate i vostri cuori) e delle ambientazioni sicuramente ottimo.
Move fast – baby – don’t be slow!
Sulle note di una nuova canzone principale eccezionale (quella di Nero) e di una colonna sonora sempre sul pezzo, sebbene non ispirata fino in fondo, veniamo a parlare dell’aspetto più importante e più riuscito di tutta l’avventura, il gameplay.
Lo sforzo effettuato da questo punto di vista, da parte di Capcom, è da lodare senza qualsiasi forma di dubbio. Nel suo aspetto più puro possiamo dire che il sistema di combattimento messo in scena da Devil May Cry 5 è il più variegato mai creato in un gioco del genere. Con ben 3 personaggi giocanti e svariati stili e combinazioni disponibili per ciascuno, le dita non staranno mai ferme ma sempre in cerca della velocità e precisione necessarie per effettuare la combo migliore cosa che, siamo certi, terrà i fan incollati al titolo ben oltre le schermate di coda. È necessario, posto quanto abbiamo detto sopra, affrontare ogni personaggio in modo dettagliato.
Nero. Il giovane cavaliere dell’ordine della Spada restituisce, pad alla mano, le stesse sensazioni provate nel quarto episodio. Chi è un fan delle sue movenze e abilità, le ritroverà all’interno del quinto capitolo con l’aggiunta di una quantità di braccia artificiali spropositata (Devil Bringer create da Nico), ognuna dotata di un utilizzo e skill specifica. Per fare un esempio, c’è un braccio che può rallentare il tempo e un altro che addirittura spara dei missili che possono essere cavalcati per far schizzare alle SSStelle il contatore dello Stile. Insieme a questi nuovi acquisti, si potranno utilizzare la Red Queen, spada di Nero dotata di manopola del gas, che può essere accelerata e quindi potenziata con la pressione del tasto dorsale sinistro effettuando la Exceed, e la Blue Rose, la sua fida rivoltella.
La mappatura dei comandi è pressoché identica per ogni personaggio variando di volta in volta le rispettive abilità e i rispettivi stili.
Dante. Il leggendario cacciatore di Demoni è sempre lo stesso nella sua forma completa. Lo ritroviamo abile nei quattro stili scambiabili con la pressione delle freccette direzionali e ognuno utile ad un tipo d’azione: Trickster, Gunslinger, Royalguard e Swordmaster. Inoltre, insieme alla sua Rebellion e alle fide pistole Ebony e Avory, sarà accompagnato da una serie di armi uniche sulle quali vogliamo evitare qualsiasi tipo di spoiler (una in particolare è assurda davvero). Il feeling è incredibile, con il nostro Dante in grado di cambiare armi e stili alla velocità della luce, fornendo la possibilità di compiere infinite combo a incastro. Alternare gli stili è necessario in base alle situazioni di attacco e difesa, lontananza e vicinanza. Il tutto riesce alla perfezione, salvo piccoli problemi di cui parleremo alla fine dell’articolo.
V. Il misterioso, nuovo, personaggio giocabile ha un gameplay eccezionale e innovativo. Egli è debole, troppo debole per combattere e per questo si circonda di 3 demoni protettori: Shadow, un puma in grado di trasformare il proprio corpo in potenti aculei,artigli o morsi (l’equivalente della spada), Griffon, un grifone chiacchierone che spara raggi laser (l’equivalente della pistola) e infine, Nightmare, un golem di pietra in grado di effettuare potenti attacchi fisici o laser. Tutti e tre sono vecchie conoscenze per gli amanti della saga. La vera novità sta nel fatto che V è vulnerabile, sempre. Ciò che può fare è infondere il colpo di grazia ad ogni nemico con il suo bastone-spada. Se nelle movenze e nell’appeal ci troviamo di fronte ad un personaggio eccezionale, in combattimento dà il meglio di sé. Giocare con lui è una goduria e una novità: essendo vulnerabile va protetto, non va fatto avvicinare troppo ai nemici per non essere colpito ma non può nemmeno essere troppo distante perché altrimenti Shadow non potrebbe essere evocata. Questo alternarsi di entrate e uscita dallo scontro, nel quale nemmeno attacchiamo direttamente ma tramite emanazione dei nostri attacchi, è qualcosa di innovativo, geniale e appagante. Proprio perché nuovo, probabilmente gli sviluppatori hanno permesso alle combo di V di essere più efficaci nel raggiungere le valutazioni stile massime.
Non basterebbe un gioco intero dedicato a un solo personaggio per padroneggiare al meglio le loro mosse e abilità, tutte modificabili spendendo le solite sfere rosse, in un sistema di crescita, in verità, molto fecondo e ricco di opzioni e strategie. Si possono comprare sfere che accrescono vita e potere, oppure spendere i globi in potenziamenti definitivi ma molto costosi. La varietà dunque è pressoché infinita, tuttavia se da un lato abbiamo personaggi pieni di poteri e armi, dall’altro ciò che ci troviamo a fare è sostanzialmente seguire un corridoio lunghissimo pieno di combattimenti alternati a filmati. Questa è la pecca più grande del gioco, che si ritrova in un colpo solo a perdere terreno sia dal lato della fruizione che da quello della cura artistica. A 2/3 del gioco si avrà la sensazione di non essersi mossi di un millimetro e di aver fatto, e continuare a fare, sempre la stessa cosa. In effetti è così. I nemici non sono troppo vari e i combattimenti sono a volte troppo lunghi. Nel 2019 ci si aspetta molto di più di questo se si vuole competere con le innovazioni messe in campo dagli altri titoli del genere.
Il tutto si perdona a fronte di una cura nel gameplay maniacale. Certo, per alcuni forse l’assenza di un sistema di parata e impatto vero e proprio può far storcere il naso (è possibile utilizzare Royalguard o abilità specifiche di Nero), tuttavia il gioco vuole essere volutamente frenetico e veloce, lasciando poco spazio alla riflessione o alla parata. Inoltre, va aggiunto che è proprio di Devil May Cry uno dei pochi sistemi nei videogiochi che ricompensa in base all’effettiva abilità del giocatore. Raggiungere e mantenere i gradi più alti di valore stile non è per nulla facile ed è giusto che il gioco ricompensi con più sfere. La difficoltà, al livello più alto dei due proposti all’inizio dal titolo, è sempre abbastanza bilanciata, tranne verso il finale dove può diventare un po’ complicato approcciare le fasi di combattimento in maniera corretta ma, in definitiva, nulla di troppo frustrante.
Smokin’ Sexy Stile!!!
In conclusione, ciò che emerge da questa trattazione è un’idea di gioco importante perché manifesta tutta la voglia di Capcom di riprendere in mano i suoi brand storici e riportarli, grazie ad una cura certosina, a risplendere anche nel futuro. La gestione degli elementi gameplay in Devil May Cry V è qualcosa di incredibile e originale e che riesce ad accontentare sia i fan che i neofiti. La storia è moderna e tiene ritmo e passo alla perfezione. La direzione artistica maschera le piccole magagne di un motore grafico comunque altamente performante e il sonoro unisce una buona cura dei suoni ad una colonna sonora ben sviluppata. Cosa si può volere di più? Sicuramente una maggiore varietà degli ambienti e delle situazioni. Se un episodio del genere è apprezzabile perché fa rinascere la saga, nel futuro c’è bisogno della vera innovazione strutturale, prendendo esempio dall’ancora inarrivabile God of War per PlayStation 4. Con un stile così, però, c’è ben poco da recriminare. Anzi possiamo dire che anche questa volta Capcom ha fatto Jackpot!!