Devotion è un horror game in prima persona, un titolo indipendente creato dalle mani di Red Candle Games, gli stessi di Detention, e pubblicato da Winking Entertainment.
La nostra avventura inizia seduti davanti alla televisione, con la cena poggiata sul tavolo e conversando con la moglie:
Ed ecco che, tutto inizia, portando il giocatore nei panni del protagonista indietro negli anni, più precisamente a quando i tre si trasferirono in quella casa.
Da qui si muove la trama, portandoci a scoprire come la famiglia sia andata in disgrazia esplorando il suo appartamento in tempi diversi: 1980, 1985 e 1986. All’interno del gioco, queste tre collocazioni temporali vengono allocate dietro tre portoni di casa (uguali con qualche dettaglio di differenza e una bacheca che mostra i progressi all’ingresso) che danno su una sorta di hall. Spostandosi tra l’una e l’altra, l’obiettivo principale del giocatore è quello di rimettere insieme i pezzi del passato della propria famiglia e di ciò che è successo a Mei Shin, la figlia, la quale si presenta all’inizio della narrazione come un prodigio canoro che però è affetta da problemi respiratori sempre più gravi.
A questo aspetto si lega l’intera vicenda. Cercando di non far spoiler di sorta, ti anticipo soltanto che, per negare le condizioni mediche di Mei Shin dichiarate dai sanitari, il nostro personaggio compie la scelta di affidare la salvezza della piccola alla preghiera, alla sua devozione per la divinità, realizzata attraverso rituali e liturgie, da cui Devotion, il titolo del gioco.
Guardiamolo un po’ più da vicino
Non volendo correre il rischio di svelarti contenuti preziosi della trama, vediamo come si presenta al livello un po’ più tecnico.
Parto subito con il fatto che pare ben ottimizzato, girando tranquillamente a 60fps in 1080p con i requisiti di sistema indicati, ma sospetto che possa essere comunque fluido anche a regimi un po’ più ristretti.
Oltre a questo, graficamente sembra esser stato fatto un buon lavoro, a maggior ragione considerando che si tratta di un indie. In particolare, quel che colpisce è quanto siano dettagliati gli ambienti, dalle fotografie e quadri appesi al muro, continuando per gli elementi che caratterizzano la quotidianità della vita domestica, spesso lasciati perdere nella ricostruzione di ambienti di questo tipo, ma non in Devotion. Entrando nell’appartamento, al di là della collocazione temporale in cui ci si trova, possiamo osservare minuzie che rendono credibile il tutto, a maggior ragione guardando oggetti che caratterizzano la provenienza del titolo, il Taiwan. A questo proposito, giusto per onor di cronaca, in alcune recensioni su Steam scritte da connazionali della software house viene confermata la veridicità di quanto rappresentato nell’ambientazione, tanto che alcuni sono stati addirittura colpiti vedendovi una critica sociale e politica nel titolo.
Graficamente, oltre a quanto già detto, l’illuminazione merita un bel pollice alzato, essendo in grado di conferire l’atmosfera desiderata dal titolo, suscitando sensazioni come oppressione, claustrofobia in alcuni momenti e tensione.
Molta atmosfera è fatta, sempre in riferimento alla luce, dalla scelta forse non troppo originale dell’accendino come unica fonte di illuminazione a nostra disposizione, salvo le rare occasioni in cui possiamo accendere qualcosa come le candele o lampade.
Una scelta che ha trovato compimento in un’ottima resa è quella della visuale focalizzata. Come per l’occhio umano, anche in Devotion quando guardiamo un oggetto vicino lo sfondo va fuori fuoco e viceversa; nell’esperienza di gioco questo aspetto ha un ruolo a mio parere importante, dal momento che anche non volendo favorisce gli altrimenti ancora più scarsamente frequenti jump scares che si incontrano lungo il cammino.
Questi gli aspetti forse più salienti di un comparto grafico che se da una parte mostra degli elementi interessanti, dall’altra rimane nel limbo del mediamente ben fatto, senza gridare al miracolo né dando motivo di sputarci sopra. Si tratta comunque di roba per cui complimentarsi se teniamo di conto che sia un indie.
Anche l’orecchio vuole la sua parte
Sebbene la componente visiva non faccia gridare al miracolo, pur assestandosi su un buon livello percepito, il comparto audio può essere ritenuto un cavallo di battaglia di questo titolo. Nonostante si possa tranquillamente dire che negli horror in generale le musiche e i rumori ambientali siano parte fondamentale e indispensabile per generare tensione, suscitare paura, sentimenti di oppressione e ansia, Devotion propone un repertorio veramente buono. Giocando con le cuffie (consiglio spassionatamente di usare queste periferiche a maggior ragione con titoli del genere) è possibile sentire il fischio del silenzio più assoluto, lo scricchiolio delle porte, il rumore dei nostri passi e del nostro respiro, lo sgocciolare dell’acqua da un rubinetto rotto o dalle tubature, e soprattutto (questo è un dato mio esperienziale, nulla a che vedere con la valutazione) il rumore simil tifone fuori dalle finestre, di cui si sente anche vibrare il vetro, oltre che il sussurro dagli spifferi delle correnti d’aria. Anche il rumore dei piatti, delle serrature e tutto quanto sia stato campionato per la realizzazione del titolo è ciò che dà quel qualcosa in più al titolo.
Sempre rimanendo in tema, un altro elemento che dà veramente valore al gioco è il doppiaggio. Rigorosamente in taiwanese, le voci dei personaggi sono vere, sembrano autentiche nell’interpretazione tanto da aiutare fin da subito ad entrare nel mondo proposto da Devotion.
Esperienza di gioco
E proprio la questione della lingua apre il discorso sull’esperienza di gioco. Infatti, sebbene il doppiaggio in taiwanese sia un punto di forza, il fatto che non ci sia il sottotitolaggio in italiano in questo caso è una grave mancanza. La lingua disponibile a noi più vicina è l’inglese. Trattandosi di una trama che presenta un avvicendarsi molto articolato, con una lingua non immediatamente accessibile risulta complicato star dietro ai documenti che si trovano nella casa, ai dialoghi e quindi al susseguirsi delle vicende. Tanto più che, a questo proposito, si crea una frattura difficile da saldare tra trama e gioco: se seguo i dialoghi per bene, ciò mi fa uscire completamente dall’ambientazione e dallo stato emotivo suscitato dall’esperienza horror; se invece mi immergo nel gioco, mi perdo la trama e ben presto perdo di vista il perché faccio quel che sto facendo.
Dal punto di vista del gameplay, i comandi sono i semplici direzionali (ASWD) e il click del mouse sui punti di interazione indicati con una manina cerchiata o un punto interrogativo. Con il tasto T si accede all’inventario che raccoglie sia i vari documenti, fotografie e indizi sia gli oggetti necessari per risolvere gli enigmi. Il cuore del gioco infatti è proprio la risoluzione degli enigmi, che mostrano il pregio di non indicare dove trovare la soluzione, ma costringendo il giocatore a ragionare sulla base di quel che ha visto, letto e fatto (nell’inventario è possibile riesaminare tutto ciò di cui disponiamo), mettendoci nell’ottica che nulla sia automatico, ma che anche per aprire una porta chiusa a chiave, se non selezioniamo la chiave giusta e non la inseriamo nella toppa della serratura, questa non si apre. Anche se questa scelta è un elemento positivo del bilancio finale, sarebbe stato gradevole poter avere maggior interazione con l’ambiente, cosa che invece è ridotta all’essenziale, ed è un peccato, perché avrebbe reso ancora più godibile l’ambiente di gioco.
Interessante la scelta di intrecciare gli episodi di vari momenti del passato, rendendo necessaria l’esplorazione e la comprensione del periodo in cui ci si trova, ma anche della continuità della vita familiare. La narrazione si presenta come solida e anche molto interessante, con il difetto però di essere troppo breve e forse un po’ sbrigativa sul finire. Nello specifico, il titolo è terminabile in 2-3 ore di gioco, tempo più che sufficiente per sbloccare pure i 9 achievements indicati da Steam. In 3 ore è facile che una trama ci tenga sul pezzo, dato che non ha il tempo di svilupparsi a sufficienza per poi distendersi; succede proprio questo in Devotion, che riporta una storia degna di nota, tematiche non banali, ma che probabilmente avrebbero reso di più se si fossero concessi un po’ più di tempo.
Infine, sempre riguardo all’esperienza di gioco, un aspetto un po’ critico, anche se premetto che non va a ledere la giocabilità o il valore del titolo è la componente horror. Partendo dal presupposto che per tutta la durata di Devotion non si ha mai la sensazione di poter essere uccisi da un momento all’altro, fatta eccezione di un paio di jump scares qua e là e di qualche immagine davvero raccapricciante, la fanno da padrona gli enigmi e la storia, al di là di tensione e ambiente oppressivo che talvolta riesce ad essere soffocante. Effetti ben realizzati e percepibili mentre si gioca; ciò nonostante, mi viene quasi da affermare che Devotion sfiori il gioco horror, senza però arrivare a compiere completamente questa connotazione.
Questa cosa delle porte e dello spostarsi all’interno dell’appartamento mi ricorda molto silent Hill The room. Peccato che dura pochissimo
Infatti la prima sensazione che ho avuto, proprio nei primi 10 minuti di gioco, è stata di familiarità, ricordando appunto la famosa demo di Silent Hill. Proprio all’inizio infatti esci dalla porta di casa ed entri nell’identico appartamento di prima, con qualche dettaglio diverso. Questo richiamo, se intenzionale, è stato ben pensato perché fa subito battere il cuore. Comunque anche se dura poco, quando lo trovi scontato ti consiglio di provarlo Devotion. Peccato davvero per la durata, ci son rimasto un po’ male.