È impossibile per me non aprire questa recensione di DOOM 3: VR Edition parlando un po’ della pesantissima influenza (e non è un male!) per le opere future della serie che ha letteralmente inventato il genere degli sparatutto. Prima del primissimo DOOM infatti, risalente al 1993, c’erano stati pochi esempi di fps, quindi id Software si caricò di una responsabilità non da poco, un piccolo studio che, pur di farsi un nome, fece carte false coi publisher. La storia del medium videoludico ha fortunatamente dato ragione a John Romero e soci.
Per quanto riguarda la genesi di DOOM, ti consiglio di dare un’occhiata a High Score, un documentario prodotto da Netflix, e disponibile per l’appunto nel catalogo del colosso dello streaming, che racconta la nascita e i primi passi dei più importanti generi videoludici e, naturalmente, riserva una puntata anche a DOOM e soci, il cui più illustre è senza dubbio la serie Wolfenstein.
A lungo, gli sparatutto in prima persona sono stati etichettati come doomlike in mancanza di altre definizioni, ovvero “simili a DOOM”, proprio per rappresentare l’importanza del titolo. In apertura ho parlato di una trilogia, ma non è del tutto corretto, nel 2016 infatti id Software si è lanciata in un reboot della serie che attualmente conta due capitoli: DOOM e DOOM Eternal (con relativi DLC, l’ultimissimo appena uscito tra l’altro!).
Da discreto appassionato di sparatutto, sento di poter tranquillamente affermare che id Software ce l’ha fatta ancora, ho trovato infatti il primo titolo di questo reboot (mea culpa, non mi sono ancora tuffato a capofitto in DOOM Eternal) a mani basse il miglior fps della generazione appena conclusa, sperando che, come accaduto già negli anni ’90 sempre più sviluppatori possano seguire il sentiero tracciato dalle nuove avventure del Doom Guy.
Mentre attendiamo Deathloop, che potrebbe rappresentare, grazie all’uso massiccio dei Dualsense promesso da Arkane Studios, il primo sparatutto di prossima generazione, non ci resta che chiederci: dopo aver letteralmente inventato un genere, DOOM riuscirà anche a lasciare il segno nella realtà virtuale?
Intendiamoci, non è la prima volta che il titolo sbarca su visori per la realtà virtuale, c’è infatti DOOM VFR, edizione per PlayStation VR del reboot del 2016, ma per la prima volta uno dei capitoli della trilogia originale, dopo una marea di porting, trova nuova vita trasportando direttamente il giocatore su Marte rimettendolo faccia a faccia con gli orrori alieni che ci tormentano fin dal 2004.
“Escono dalle virtuali pareti!”
DOOM 3 VR Edition propone una conversione dell’opera puramente tecnica e lascia quindi del tutto intatta la trama originale che, nonostante i quasi vent’anni d’età risulta ancora efficace e intrigante il giusto, per quanto la prerogativa dei primi tre DOOM non sia mai stata portare su schermo trame particolarmente ricercate o raffinate.
Nei panni del Doom Guy, un marine altamente specializzato, ci ritroveremo su Marte, in particolare a Mars City, una base spaziale terrestre in cui pare stiano succedendo cose davvero strane. La UAC, la corporazione più grande del pianeta Terra, sta di nascosto conducendo dei misteriosi esperimenti.
In men che non si dica, non avremo nemmeno il tempo di iniziare a capire realmente cosa stia succedendo, una forza ultraterrena investirà Mars City e saremo gettati nel caos più totale e costretti a farci strada tra orde di zombi (i nostri ormai ex colleghi marines) e mostruosi demoni provenienti direttamente dall’inferno.
Non farò troppi spoiler, per quanto sia sostanzialmente una trama datata, magari vuoi approfittare di questa nuova edizione per recuperare il titolo; sappi solo che la storia si dipanerà poi tra la ricerca di artefatti mistici e un approfondimento su alcuni dei personaggi sopravvissuti che ci riveleranno le vere intenzioni della UAC.
Inoltre, l’avventura del Doom Guy ci porterà dritti all’Inferno, nel vero senso della parola! Personalmente, ho sempre amato l’atmosfera che l’originale DOOM 3 è riuscita a ricreare, portando per la prima volta al giocatore un titolo della serie che presentasse due anime, entrambe riprodotte alla perfezione.
Per buona parte del gioco infatti, il titolo avrà una connotazione fortemente horror, distante dalle tamarrissime carneficine tipiche della serie (non per questo assenti) e molto più vicine al primo Alien, grazie ai corridoi della base spaziale, estremamente claustrofobici e perennemente al buio, pronti a nascondere gli orrori più macabri pronti a terrorizzare il giocatore e ridurre a brandelli il povero Doom Guy.
Quando invece, come anticipato precedentemente, scenderemo all’Inferno, l’atmosfera sarà… beh, ecco… infernale… Può sembrare banale, ma effettivamente trovo ci siano davvero pochi modi per descrivere una rappresentazione dell’oltretomba così ben fatta a livello stilistico, per anni i videogiochi ci hanno provato riscuotendo flop clamorosi, basti citare Dante’s Inferno o Agony che, piacciano o meno, hanno proposto rappresentazioni dell’Inferno fin troppo distanti dal materiale originale oppure volutamente esagerate e fortemente puntate su gore e splatter.
DOOM 3 invece rappresenta, a mio avviso, un perfetto reame infernale da gioco anni ’90 (per quanto risalga ai primi anni del 2000): pieno zeppo di demoni divisi in ranghi, tra i più fantasiosi e iconici come i Revenant e i Mancubus e non necessariamente tutto fuoco e fiamme, anzi, molto più gotico di quanto si potrebbe pensare (per quanto fumo e zolfo abbondino), una vera e propria rappresentazione del cosiddetto “Inferno in Terra”… anche se tecnicamente siamo su Marte.
“Nello spazio nessuno può sentirti sparare”
Come anticipato in apertura, DOOM ha il pregio non da poco di aver letteralmente inventato il genere degli sparatutto in prima persona, pertanto, è davvero strano (e a tratti doloroso) che in DOOM 3 VR Edition il punto debole dell’intera produzione sia proprio il gameplay.
Scrivo questa recensione una decina di giorni dopo l’annuncio dei nuovi controller che Sony abbinerà al futuro modello di PlayStation VR (non ancora mostrato) e sono una palese conferma del fatto che finora la realtà virtuale su console sia stata letteralmente in fase embrionale. Non sono mancate le sorprese, per me Astro Bot Rescue Mission e Moss sono le nuove frontiere del platform, e almeno una volta a settimana torno a fare un volo in Iron Man VR.
Tuttavia, per quanto io sia un assiduo frequentatore della realtà virtuale targata Sony, ho sempre avuto la sensazione che questa nuova tecnologia avesse “il freno a mano tirato” per due ragioni: la prima è naturalmente una certa arretratezza dell’hardware, PlayStation VR infatti è compatibile non solo con PlayStation 4 Pro, ma anche con la sua versione base, parliamo quindi di macchine risalenti a otto anni fa in pratica; la seconda è che non molti sviluppatori hanno voglia tutt’oggi di puntare su una tecnologia così acerba (gli esempi attualmente più in vista sono senza dubbio Resident Evil 7 e Hitman III, ma due AAA sono davvero troppo pochi rispetto all’intero panorama videoludico).
La qualità del gameplay originale viene minata da una scelta di fondo che ho trovato letteralmente inspiegabile: gli hardware supportati. Attualmente ci sono tre modi per usufruire della realtà virtuale su console Sony ovvero DualShock 4, PlayStation Move e Aim Controller, quest’ultimo è particolarmente indicato (anzi, studiato appositamente) per gli sparatutto, non a caso viene quasi sempre proposto assieme a Farpoint VR, quindi è logico che sia la scelta primaria proposta per DOOM 3 VR Edition.
Fin qui nessun problema, è normale voler impugnare un fucile in un gioco in cui imbracciamo per tutto il tempo un’arma da fuoco; piuttosto, la scelta che ho trovato inspiegabile è quella di proporre come unica alternativa il DualShock 4 e non i PlayStation Move. Infatti, un’altra caratteristica del gameplay sarà quella di visualizzare a schermo le mani del protagonista e poterle utilizzare per compiere determinate azioni o tenere d’occhio la salute attuale.
Di solito, quando il gameplay presenta questa caratteristica, una coppia di Move è la scelta più logica, anche per rendere la mira più immediata in un ambiente tridimensionale. Il dover usare un DualShock 4 in uno sparatutto frenetico come DOOM 3 VR Edition è una scelta che si rivelerà a tratti frustrante, soprattutto perché in questo modo salta tutto il sistema di coperture in quanto saremo obbligati a guardare sempre dove stiamo mirando e non potremo semplicemente sporgere l’arma rimanendo al riparo, con un puntamento che si rivelerà inoltre più lento del normale.
A questo grave difetto si aggiunge anche il motion sickness che il gioco può provocare in alcuni giocatori; in generale DOOM è un titolo frenetico, in cui si corre e si spara senza sosta e naturalmente DOOM 3 VR Edition non fa eccezione. Conosco giocatori talmente sensibili da aver avvertito chinetosi persino coi normali DOOM, quindi un titolo in realtà virtuale non fa che peggiorare le cose, soprattutto considerando il sistema di movimento.
Infatti, potremo scegliere se far ruotare la visuale a scatti con un’angolatura che definiremo nelle opzioni (15’ di deafult) oppure se avere un movimento fluido nella rotazione. Entrambi i casi non sono il massimo della comodità, soprattutto il movimento fluido che viene accompagnato da una vignettatura ai bordi dello schermo che acuisce in maniera artificiosa e involontaria la sensazione claustrofobica del titolo. Insomma, un’esperienza solo per chi ha uno stomaco d’acciaio!
“Tecnicamente poi non è così malvagio”
Sono rimasto perplesso nel guardare il reveal trailer di DOOM 3 VR Edition. Di solito infatti le esperienze in realtà virtuale tendono a puntare al fotorealismo (senza riuscirci degnamente per ora e soprattutto su PlayStation VR) o a riconoscere i limiti dell’hardware e pertanto adottare un’adeguata direzione artistica fantasiosa o studiata appositamente.
DOOM 3 VR Edition invece ripropone praticamente la grafica del titolo del 2004 e dirò la verità, il risultato è sorprendentemente soddisfacente! Pensavo che questa scelta unica nel suo genere mi avrebbe messo davanti a una massa poligonale sgradevole da guardare, invece, proprio gli attuali limiti hardware di PlayStation VR in fatto di grafica rendono il titolo perfettamente in linea con gli standard delle altre produzioni per questo visore.
Certo, i volti non saranno i più espressivi di sempre, e non lo erano nemmeno nel 2004 naturalmente, ma ambientazioni e demoni infernali fanno una figura niente male agli occhi del videogiocatore. Inoltre, ho avuto l’impressione che rispetto all’originale il tutto risultasse più fluido; ho testato il gioco su PlayStation 4 Pro, evitando volutamente di giocarlo su PlayStation 5 per capire come si comportasse quest’ultima prova di realtà virtuale sulla console per la quale è stata pensata e devo dire che, pur coi limiti di un progetto che concettualmente sa tanto di remaster, sono davvero soddisfatto.
Ciò che invece è il picco di questa produzione è senza ombra di dubbio il comparto sonoro, in una parola sola: eccellente! Ogni minimo rumore, che sia ambientale, prodotto dalle armi o dai demoni, perfino i dialoghi, è studiato e inserito in questo mondo virtuale alla perfezione. In un titolo per VR la gestione dell’audio a mio parere è ancora più importante della grafica, poiché è proprio il sonoro che riesce davvero a trasportarci nel gioco e DOOM 3 VR Edition lo fa in maniera sbalorditiva.
Anche solo aggirarci in un corridoio freddo e buio diventa quindi un passaggio di gameplay importantissimo, in quanto ogni singolo eco di passi o il rantolio di una creatura nell’ombra ci porterà anni luce lontani da casa, direttamente su Mars City, che grazie a questa nuova versione di DOOM 3 torna a vivere in buona forma, ma soprattutto a farsi sentire forte e chiara.
In definitiva, DOOM 3 VR Edition è una riproposizione del titolo del 2004 più che buona, soprattutto dal punto di vista tecnico, ma purtroppo il giudizio sull’opera scende vertiginosamente quando si pensa al gameplay mal ripensato e a tratti fastidioso se non si utilizza l’Aim Controller. Questo grave difetto, unito all’alta probabilità di avvertire un senso di motion sickness a causa della natura del titolo, taglia fuori una considerevole fetta di pubblico e lo rende adatto principalmente ai patiti della realtà virtuale che hanno già navigato a lungo in questa tecnologia così innovativa, ma così acerba.