Un percorso oscuro, una voce fioca e gelida, un prescelto chiamato alla redenzione e un mondo da salvare. Questa è la ricetta con cui Doomblade si svela al giocatore, con una chiamata, un piccolo tremolio, un turbamento del silenzio assordante nel quale si cela un essere dannato e pronto alla vendetta. Un primo plauso agli sviluppatori di Muro Studios parte proprio da qui: dalla capacità di mettere insieme qualcosa di tecnicamente e artisticamente molto valido all’interno di un contesto classico e riconoscibile. Una formula semplice dunque, un usato sicuro e garantito, ma che nemmeno tradisce e non e si lascia intrappolare dalle reti della banalità.
Giocare a Doomblade vuol dire entrare nel fitto bosco dei metroidvania. Per i primi arrivati o per gli smemorati, metroidvania è quel genere videoludico che unisce l’azione e il platforming a progressioni non lineari, spesso in 2D (non necessariamente, ma ormai il genere richiama fortemente questa meccanica) e caratterizzato da una solida messa in mostra di abilità nel superare ostacoli, nel risolvere enigmi per proseguire e dall’esplorazione. La corrispondenza di Doomblade al genere metroidvania è chiara e cristallina, senza se e senza ma.
Doomblade è una chiamata al destino, alla redenzione, alla libertà dall’oppressore; è una spada senziente, spogliata dei suoi poteri e sigillata per innumerevoli anni. E poi ci siamo noi, un essere dalle forme semplici quasi stilizzato, come se l’intento fosse quello comunicarci che non importa da dove si viene o cosa abbiamo abbiamo fatto: ci svegliamo, veniamo chiamati e si comincia. Poche spiegazioni dunque, prescelto, non prescelto, nessuno ce lo dice, siamo noi nella nostra semplicità.
Un metroidvania in chiave frenetica
Facciamo parte dei Gloomfolk, ovvero una razza che per anni ha combattuto e ha perso contro i Dread Lords, i potenti esseri che dominano sul Wilderkeep portandolo alla rovina e alla disperazione. In questo regno, popolato da esseri diversi tra loro e composto da scenari molto differenziati, tutto è andato in malora. Noi siamo inermi, deboli, non possiamo fare niente da soli, non abbiamo poteri particolari o abilità straordinarie. Il nostro interesse coincide con il Doomblade che, come noi, brama la redenzione. E’ l’incontro tra Gloom Girl (generico, non abbiamo un nome) e Doom a compiere la magia: una volta impugnata la spada ci sentiamo immediatamente capaci di grandi cose, la sete di sangue di Doom ci conferisce capacità offensive che prima non potevamo immaginare.
Capacità offensive dunque, è questo che incarna la peculiarità principale di Doomblade: l’attaccare è, in tutto e per tutto, il catalizzatore del nostro movimento. Possiamo certo usare i tasti A e D (o lo stick analogico) per muoverci orizzontalmente avanti e indietro, ma basta che ci sia qualcosa da colpire e il nostro attacco ci scaglierà addosso al bersaglio, o meglio, la nostra spada colpirà il bersaglio e noi verremo trascinati con essa. Annientare una serie di nemici vuol dire dunque puntare e colpire ripetutamente in una serie di frenetici fendenti che saranno un piacere per la vista. L’effetto scenico dei combattimenti non stanca mai: destra, sinistra alto, basso; siamo in costante movimento, basterà seguire con lo sguardo la mossa successiva e puntare il mouse verso ciò che vogliamo (e che possiamo) colpire e Doom farà tutto per noi.
Colpire qualcosa, che sia un nemico o un porcospino che ruota attorno a una piattaforma, ci permetterà di raggiungerlo immediatamente con uno scatto, dunque sarà direttamente funzionale al movimento nella mappa di gioco. Questa peculiarità esula Doomblade da uno dei grandi inconvenienti dei metroidvania, ovvero la lentezza. Certo, non vale per tutti allo stesso modo, ma ripercorrere i propri passi per raggiungere un’area che non avevamo esplorato del tutto sarà più veloce e divertente di altri titoli appartenenti al genere.
“Tutto facile allora, finita qui, non ci basta fare altro che puntare e cliccare”, a primo impatto Doomblade lascia questa sensazione al giocatore; del resto farsi l’idea di essere davanti a una produzione indipendente che ne fa bene una trascurandone altre 10 è una tentazione irresistibile alla quale viene subito da pensare. Questa sensazione svanirà del tutto dopo circa un’ora di gioco dove le cose inizieranno a farsi interessanti.
La progressione di Doomblade è caratterizzata da potenziamenti che, nel corso del nostro viaggio, ci permetteranno di raggiungere luoghi ai quali prima non avevamo accesso. Lo scatto è il più classico e iconico del genere (nemmeno qua manca) e sarà il primo che ci permetterà di arrivare a quella piattaforma che prima non potevamo raggiungere semplicemente saltando. A questo seguiranno altri upgrade che renderanno ancora più fluido il gameplay, come la possibilità di oltrepassare pareti (sempre a patto che nella scena vi sia un bersaglio). Ogni passo compiuto è funzionale per sbloccare quell’abilità che ci servirà in altre aree nelle quali avevamo sbattuto il naso in precedenza.
Man mano che le cose iniziano a complicarsi, l’idea di velocità e frenesia vengono a tratti interrotti dalle meccaniche tipiche di un platform. In quelle aree dove sarà richiesto un po’ di ingegno e abilità per andare avanti, la meccanica punta a clicca, che sta alla base di Doomblade, si amalgama molto bene con gli elementi scenici volti a complicarci la vita. Ad esempio, se io posso solo andare dove il puntatore aggancia un bersaglio e tra i due punti si frappone una scarica elettrica o un tronco spinato il gioco è fatto: se questi tronchi si muovono in aria allora dovrò calcolare il tempismo giusto per poter passare indenne. La difficoltà di queste fasi vede un andamento crescente piuttosto lineare e ben studiato.
L’arte di creare un ambiente
Le aree di gioco della mappa si chiamano biomi e sono ben caratterizzate e diversificate tra loro sia per scenario, colori, disegni, varietà di elementi che per il comparto sonoro (su quest’ultimo punto ci torneremo). Il luogo di partenza si chiama Gloomhunt, dove prenderemo contatto con Doom e inizieremo a sconfiggere i primi nemici. Subito dopo però sarà tempo di muoversi e esplorare altre zone. Ogni bioma ha una sua storia, che rappresenta, a modo suo, l’impronta schiacciante che i Dread Lords hanno lasciato sul Wilderkeep. Ad esempio, un primo luogo nel quale dovremo recarci sono le Molded Mines, ovvero delle miniere costruite dagli stessi Gloomfolk, un tempo abitanti di quell’area, sotto comando dei Dread Lords. Il sangue e il sacrificio dei Gloomfolk per la realizzazione delle caverne, ha portato queste terre a spopolarsi fino a che delle creature chiamate Darksprouts, dei piccoli funghetti innocenti e ignari dell’oscurità dalla quale provengono, ne hanno preso il posto.
Questi pochi elementi di lore sono accompagnati anche da dei totem sparsi per tutto il Wilderkeep dove i Dread Lords hanno lasciato scritti dei suggerimenti per un’esistenza “felice” nel mondo da loro dominato; puri elementi satirici di propaganda curiosi da scovare.
Il mondo vuoto
Come ogni metroidvania che si rispetti e per quanto Doomblade provi a sopperire in ogni modo l’idea di lentezza, non poteva mancare un sistema di viaggio rapido. Gli sviluppatori avrebbero potuto derubricare la questione e limitarsi a fare il compitino, e invece la grande idea: il mondo vuoto. Nel vasto regno di Wilderkeep esiste un mondo parallelo, un vuoto cosmico, non accessibile ai Dread Lords e dominato da una calma angelica che si contrappone chiaramente alla realtà oppressiva nella quale siamo chiamati a intervenire. L’idea di creare un altro mondo per consentire lo spostamento rapido ha sicuramente richiesto uno sforzo maggiore rispetto allo standard. Mentre in titoli come Hollow Night spostarsi rapidamente da un’area all’altra consisteva in un’interruzione del gameplay e in un piccolo filmato dove un coleottero passava per dei tunnel, qua prevale ancora una volta l’idea di fluidità.
Ci basterà trovare degli specifici punti nei quali collocare la nostra spada, venir catapultati nel mondo parallelo, aggrapparci ad una creatura del vuoto (che prima dovremo liberare) e, in tempo reale, con una traiettoria lineare, verremo trasportati in un’altra zona senza interruzioni volando nel vuoto. Una volta arrivati a destinazione dovremo ricollocare la spada nella piattaforma corrispondente ed ecco tornati a combattere.
L’aspetto che più di tutti mi ha colpito è che di fatto il mondo vuoto è direttamente sovrapposto al mondo originale: la superfice, da un punto di vista spaziale, è la medesima. Dunque in teoria (ma non in pratica) sarebbe possibile esplorare indipendentemente anche quest’altro mondo se non fosse per il fatto che le nostre abilità non ce lo consentono e che dovremo sempre fare affidamento alla creatura del vuoto. Altro aspetto in cui gli sviluppatori sono stati abili e preminenti è la continuità stilistica: mentre il mondo vuoto costituisce, a tutti gli effetti, una rottura con i ritmi e la messa in scena che troviamo al di fuori, il rischio era quello di trovarsi davanti un qualcosa di meno curato e trascurato. Invece devo proprio dirlo: questo mondo vuoto è anche bello da vedere e da ascoltare.
Andiamo a triturare un po’ di cattivi
I nemici che incontreremo in Doomblade tengono conto delle meccaniche di gioco e ne innalzano il potenziale. I primi scontri prolungati vedono orde di nemici diversi fra loro in un’alternanza di condizioni sceniche che serviranno a farci prendere confidenza con il gameplay e ad abituarci a mantenere il controllo della situazione. La tentazione inziale infatti ci porta sempre a colpire ripetutamente e freneticamente ogni cosa che si muove, e inizialmente funziona: pipistrelli, zombi lenti e goffi, gruppi interi di piccoli e deboli nemici verranno immediatamente spazzati via; farsi colpire è molto difficile in questi casi, basta non restare fermi. Tuttavia col proseguire degli scontri i nemici più piccoli inizieranno ad alternarsi e a diversificarsi in maniera più ordinata e intelligente, il pipistrello lento e debole sarà accompagnato da un gruppo di piovre volanti che se colpite nella parte frontale ci faranno danno, oppure da un gruppo di ninja molto agili con una barriera frontale che se colpita ci respingerà indietro rendendoci vulnerabili.
Se, al crescere della complessità delle situazioni, continuiamo ad approcciarci in maniera incontrollata saremo destinati a soccombere senza nemmeno accorgercene. Per questo è importante non lasciarsi prendere dalla sensazione di fluidità estrema che Doomblade ci trasmette, perché, per quanto piacevole possa essere, non avere il controllo visivo della situazione (è facile perdersi di vista tra un attacco e l’altro) comporterà, prima o poi, qualche grattacapo.
Questo discorso vale soprattutto per i boss, i quali sono studiati per costringerci a interagire, laddove possibile, con l’ambiente circostante: non potremmo colpire i bersagli sempre, ci sono delle finestre di opportunità, che si aprono e si chiudono. La capacità di unire le abilità apprese con gli attacchi classici è requisito indispensabile nella quasi totalità delle situazioni. I boss sono pensati per essere sconfitti in un modo ben preciso, con dei pattern prestabiliti, pur lasciando sempre un buon margine di interpretazione.
Questo vi è sfuggito
Veniamo a quegli aspetti stilistici che, invece, mi hanno lasciato un po’ l’amaro in bocca. Se, come ho detto prima, vi sono degli scenari del quale sono rimasto stupito per la cura e la maniacalità, vi sono altri elementi grafici che aimè non godono della stessa attenzione. Il menù è molto scarno, è composto da 3 pagine molto minimali e poco curate dove rispettivamente viene riportata la mappa, storia e descrizione dei mondi visitati e l’inventario degli oggetti. Al primo avvio, dal momento che una delle prime cose che facciamo quando iniziamo un gioco è aprire il menù per vedere con cosa abbiamo a che fare, il biglietto da visita che ci appare davanti non è dei migliori e restituisce l’idea di scarsa qualità. Seppur questa idea svanisca nell’arco di un’ora o due, gli elementi che fungono da primissimo impatto potevano essere studiati con maggiore attenzione.
Un’altra voce fuori dal coro del quale sono rimasto colpito è relativo all’animazione di quando moriamo. Anch’essa risulta poco curata e opera una rottura con la qualità che caratterizza le scene di gameplay. Questa consisterà in una cut dove il nostro personaggio esploderà letteralmente in uno sfondo nero. Non è tanto l’idea in sé ad essere sbagliata, anzi, l’animazione all’inizio è molto fluida, ma poi si trasforma in un’immagine pixelata come se quella specifica parte fosse stata realizzata ad una risoluzione inferiore rispetto al resto.
Un’assenza ingiustificata invece è quella della lingua italiana. Sia chiaro, non c’è moltissimo da leggere, i dialoghi sono solo testuali e non sono poi così tanti, le scritte sui totem sono brevi e hanno una funzione di contorno per i più curiosi. Da una produzione indipendente non è insolito trovare poche lingue a disposizione come l’inglese o al massimo lo spagnolo dal momento che sono le lingue con il più alto numero di parlanti al mondo, tuttavia ciò non vale come giustificazione in questo caso. Il menù di selezione contiene idiomi con un numero di parlanti di gran lunga inferiore al nostro come ad esempio l’olandese. Per quanto la platea di giocatori italiani (mondo smartphone a parte) si stia sempre più riducendo, uno sforzo in più per i poveri abitanti del bel paese si poteva e si doveva fare.
Colonne sonore magiche
Ho lasciato uno dei punti più salienti di Doomblade alla fine perché ritenevo fosse giusto avviarmi alla conclusione con uno degli aspetti che maggiormente ho apprezzato, ovvero il comparto sonoro. Come avevo già anticipato, le aree si diversificano non solo graficamente, ma anche a livello uditivo. Questa scelta accompagna ogni fase del gioco in maniera molto calcolata e ponderata, riuscendo ogni volta a dare una sensazione emotiva del luogo in cui ci troviamo: ho detto che il mondo vuoto è caratterizzato da un’aura di calma e pace, la colonna sonora si sposa alla perfezione con l’ambiente dando l’idea del cotesto nel quale ci troviamo.
Questo vale per ogni singola area di gioco, se una zona è caratterizzata da colori caldi questi saranno accompagnati da una base più dinamica, se in un’altra area avremo a che fare con un’ambiente visivamente freddo anche la musica sarà più cupa; insomma un lavoro di cura dei dettagli degno di nota sotto ogni punto di vista.
Non è solo la base a risaltare l’iconicità di un luogo, ma anche i singoli effetti sonori. Ogni bioma avrà cose diverse da colpire, non solo nemici, e ognuno di questi avrà un suono leggermente diverso e contestuale. Consiglio senza troppe remore l’utilizzo di un paio di cuffie per godersi a pieno le potenzialità immersive di Doomblade.
Considerazioni finali su Doomblade
Doomblade è un prodotto molto interessante che si affaccia al panorama dei metroidvania introducendo una serie di meccaniche abbastanza inedite per il genere. Parlare in termini di innovazione, ovviamente, sarebbe un’eccedenza che non rispecchierebbe in alcun modo la produzione. Tuttavia è altrettanto indispensabile sottolineare la riuscita di questo gioco: un mix di frenesia e azione in un contesto fondamentalmente cupo e a tratti diabolico. La rappresentazione artistica degli elementi a schermo è ben curata, pensata per infondere un senso di turbamento, ma senza abbandonare mai il giocatore a uno stato di tristezza. L’atmosfera che si respira viaggiando in lungo e in largo fin ai cunicoli più oscuri del Widerkeep è costellata da sentimenti contraddittori: un binomio composto da una serietà di fondo unita alla satira di alcuni elementi che ci invitano a non prendere il tutto troppo sul serio.
Doomblade è attualmente disponibile su Pc (Steam) al prezzo di 14,99 euro, i più scettici hanno la possibilità di scaricare una demo gratuita per provare il titolo prima dell’acquisto. E’ inoltre disponibile per il download la colonna sonora ufficiale, sempre dalla pagina Steam, al prezzo di 4,99 euro.