7Square Enix ha rilasciato di recente i primi tre capitoli della popolare saga Dragon Quest su Switch; in Giappone tramite un’apposita edizione fisica, mentre in occidente ci dobbiamo accontentare della versione digitale.
Questi primi capitoli sono conosciuti dagli appassionati come Trilogia di Erdrick, dal momento che condividono un ambientazione simile e includono la tematica (ricorrente nel genere) dell’eroe scelto dalle divinità per sconfiggere le forze del male, intenzionate a conquistare il regno di Alefgard. Erdrick in questo caso è il nome dell’eroe leggendario, che per primo salvò le terre in cui sono ambientati i titoli; si tratta di un nome ricorrente nella saga.
Tutti e tre i titoli sono in realtà dei porting delle versioni per Android e iOS, uscite in precedenza e basate a loro volta sulle versioni per SNES degli originali per NES; questo vuol dire principalmente che ogni gioco include vari aggiornamenti come sprite ridisegnati, musica rimasterizzata e una interfaccia utente più pulita.
Le versioni Switch inoltre godono del ritorno ad un sistema di controlli più tradizionale, che oltre a fornire un’esperienza maggiormente fedele all’originale, rendono la giocabilità più comoda rispetto alle iterazioni precedenti.
Nel complesso, la qualità della trilogia è aumentata, ma la questione più importante è sempre la stessa: vale la pena giocarli oggi? Scopriamo i tre giochi e cerchiamo di rispondere a questa domanda.
Dragon Quest
Pur trattandosi di un titolo con tanti anni sulle spalle, essendo uscito in origine nel 1986, Dragon Quest è invecchiato decentemente: anche se la trama è molto semplice e lineare, il gioco è ancora affascinante e diverten
Il mondo di gioco è vivido e ben rappresentato: ad esempio, quando la Principessa Gwaelin viene rapita da Dragonlord, parlare con gli abitanti dei castelli ci da la misura di quanto sia amata. Non è un personaggio distaccato, utilizzato come pretesto narrativo, ma è inserita nel mondo di gioco, amata dai suoi sudditi che sono devastati dalla sua scomparsa; un soldato è a terra in lacrime, mentre un’altra persona si aggrappa disperatamente alla speranza che la principessa sia ancora in vita.
La componente umana che emerge dalla narrazione, rafforzata da una migliorata traduzione, è una molla importante che spinge ad affrontare un gioco altrimenti troppo semplice. Specialmente considerando che diversamente dagli altri Dragon Quest, il protagonista agisce da solo; nessun party da reclutare, niente compagni con cui affrontare il viaggio.
Ciò nonostante, l’esperienza di gioco è bilanciata sorprendentemente bene, con l’eroe che impara tutto quello che gli serve da solo, oltre ad essere molto resistente ai danni.
Il mondo stesso poi è quel tipo di open world che andava popolare all’epoca, con poche direzioni in cui muoversi, oltre a vaghe indicazioni da parte dei PNG; una volta compresa la filosofia del gioco, diventa facile capire il percorso da intraprendere.
Gli scontri con i mostri sono facilmente gestibili, con una crescita attenta è semplice raggiungere un livello più alto rispetto al loro. Ovviamente gestire a dovere l’inventario e tenere sempre a portata di mano oggetti curativi aiuta, ma il compito non è così arduo.
Dragon Quest II: Pantheon di spiriti maligni
Dragon Quest II è un titolo interessante, che partendo dai presupposti del primo capitolo si sviluppa in maniera differente.
Già all’avvio del gioco, i giocatori assistono ad un massacro: nel castello di Moonbroke il re riesce a nascondere la figlia e a combattere le forze del male, prima di cadere preda dello stregone malvagio Hargon, questi successivamente manda i propri servi contro gli abitanti del castello, dandolo poi alle fiamme.
Un solo soldato sopravvive, raggiungendo Midenhall e raccontando quanto successo prima di morire per le ferite riportate.
Si tratta di un’apertura triste e brutale, insolita per l’epoca, che ricorda ai giocatori le sofferenze che la guerra infligge all’essere umano; una lezione importante, per un argomento che spesso viene utilizzato come semplice sfondo della storia.
Diversamente dal primo Dragon Quest, il sequel ci richiede di reclutare due membri: il principe di Cannock e la principessa di Moonbroke, che ci consentono stavolta di giocare con un classico e bilanciato party.
Quella della squadra è una necessità, dal momento che Dragon Quest II è uno dei capitoli più difficili dell’intera saga; questo è dovuto in parte sia mostri da affrontare, quanto dal vasto mondo in cui è facile perdersi.
Dragon Quest III: E così entrò nella leggenda…
Il terzo capitolo è quello più popolare della trilogia per NES, nonchè dell’intero franchise. ed è il gioco che ha tracciato la rotta per tutti i capitoli successivi.
Dragon Quest III è il primo capitolo della serie che ci consente di scegliere il sesso del protagonista, una novità importante per l’epoca.
Diversamente dai primi due titoli, non inizia con un testo che ci introduce ad un castello in cui è successo qualcosa di grave; in questo caso il gioco inizia con una voce misteriosa che ci chiama. Subito dopo ci vengono richiesti genere, nome e la data di nascita per determinare il segno zodiacale; sono solo le prime delle domande che il gioco ci porrà per analizzare la nostra personalità, per poi metterci alla prova in uno scenario.
In base alle nostre azioni verrà determinata definitivamente la personalità del nostro personaggio.
Ancora oggi si tratta di una modalità molto particolare per determinare le statistiche iniziali, oltre ad essere un buon metodo per fare immergere il giocatore nella storia del gioco. Anche il party è personalizzabile: potremo decidere classe e genere dei nostri compagni, così come la loro personalità.
Le battaglie e l’esplorazione costituiscono una buona prova per i giocatori, eliminando l’enorme mappa di Dragon Quest II.
Il mondo di gioco è molto vivido e dettagliato, motivando il giocare ad esplorarlo in fondo.
E quindi?
In tutti e tre i titoli, il combattimento è semplice. Possiamo decidere di attaccare il nemico, lanciare un incantesimo, utilizzare un oggetto o scappare; nulla di nuovo se hai già giocato un JRPG classico.
Dal punto di vista grafico, i giochi sono stati migliorati rispetto le versioni per SNES; anche in questo caso, come per altri titoli Square Enix convertiti per mobile, i pareri sono contrastanti.
Pur essendo la grafica superiore rispetto a quella originale, spesso l’effetto finale non appaga l’occhio del giocatore, fino a fare apparire i vari elementi incoerenti tra di loro.
E’ successo ad esempio nel porting mobile di Final Fantasy VI, uscito anni fa, con i fan che chiedevano a gran voce la grafica originale della versione SNES.
Tuttavia, una volta abituati a questo stile è più facile apprezzarlo. E’ molto chiaro e pulito, ci consente di distinguere facilmente i vari personaggi, così come di apprezzare maggiormente gli ambienti.
Durante i combattimenti, la grafica nitida ci consente di vedere i mostri così come nelle intenzioni dei programmatori, con lo stile di Akira Toriyama che arriva intatto sullo schermo.
Il cambiamento più importante riguarda i testi e le cornici di testo. Nelle vecchie versioni le cornici erano disposte male e i testi stessi difficili da leggere, il tutto ora è più chiaro e leggibile.
La musica è l’elemento che più di tutti ha beneficiato dei miglioramenti. Ascoltare tracce audio polifoniche è un piacere e ci consente di immergerci ancora più nel gioco.
Tornando alla domanda iniziale: vale la pena giocarli?
Una risposta universale sicuramente non esiste, tuttavia si, sono titoli che vanno bene sia per i fan di vecchia data che per quelli dei JRPG.
Ogni titolo ha i propri lati positivi e negativi, chiaramente. E anche se si tratta di titoli un po’ datati, sono ancora godibili e funzionano bene, con Dragon Quest III a farla da padrone.
Per i fan del genere è un’interessante viaggio alla scoperta delle origini dei JRPG. Coloro i quali si approcciano per la prima volta al franchise, potrebbero iniziare dal già citato terzo capitolo.