Quando, nel 2014, uscì DreadOut, l’horror degli indonesiani di Digital Happiness riscosse un discreto successo tra gli appassionati; al punto da generare un manga (venduto con l’edizione speciale del titolo), un’espansione stand-alone e un secondo capitolo, di cui parleremo appunto oggi.
Per giocare DreadOut 2 non è, per fortuna, necessario avere provato il primo capitolo, dal momento che gli sviluppatori hanno inserito nel menù iniziale un approfondito riassunto di quanto già successo; va comunque detto che, seppur la conoscenza degli eventi pregressi è utile per comprendere a fondo gli eventi di DreadOut 2, il sequel è indipendente quel tanto che basta per potere essere apprezzato anche dai neofiti.
Foto mortali
Nel primo capitolo di DreadOut abbiamo fatto conoscenza con Linda, una giovane studentessa protagonista dell’incubo che ci apprestiamo a vivere. In quell’occasione, la ragazza era di ritorno da una gita insieme ad alcuni suoi compagni e ad un’insegnante; facile da intuirsi come le cose non siano andate benissimo e alla fine del gioco l’unica sopravvissuta fu proprio Linda, non senza conseguenze (una tra tutte la capacità di avvertire la presenza di spiriti e fantasmi vari).
Ciò che contraddistingueva in maniera particolare il primo capitolo, era il suo affondare nella cultura indonesiana in particolare, e asiatica in generale. Oltre ovviamente all’ambientazione, le creature che affrontavamo dovevano tanto alla cultura locale popolare, conferendo quindi a DreadOut un alone di unicità e di peculiarità che hanno contribuito al suo successo.
Purtroppo, in questo secondo capitolo, questa componente è quasi del tutto assente.
Infatti, incontriamo nuovamente Linda in un’ambientazione all’apparenza più ordinaria, ovvero la sua scuola: ciò potrebbe farci pensare che la ragazza sia in effetti riuscita a lasciarsi alle spalle il passato e a raggiungere una certa tranquilla quotidianità, ma così ovviamente non è.
Alcuni suoi compagni la ritengono responsabile della morte degli altri ragazzi e dell’insegnante e dopo averla bullizzata, decidono di giocarle uno scherzo di cattivo gusto inscenando un rituale sovrannaturale che la vede presa di mira.
Quello che non possono immaginare è che il rituale andrà in effetti a buon fine e scatenerà delle presenze demoniache, che daranno indistintamente la caccia a tutti i viventi. Ma, mentre ormai Linda sa come sopravvivere, lo stesso non si può dire degli altri.
Come detto, la trama in questo secondo capitolo è molto esile e costituisce quasi un pretesto per ritornare nell’universo di gioco; tutto quello che ci aspetta nelle circa 4 ore di gioco è una lotta per la sopravvivenza, con l’aggiunta di qualche enigma sparso qua e là.
Il peccato più grande, quando parliamo di DreadOut 2 è che, pur trattandosi di un titolo che già nel suo primo capitolo conteneva un certo numero di omaggi ai capisaldi del genere, si perde in un gioco di richiami fino a perdere la propria individualità e a non essere in grado di “imitare sé stesso”.
Gameplay a parte, di cui parleremo a breve, ci sono troppi rimandi a titoli come Silent Hill (in particolare il 2) o The Evil Within e sicuramente non è una cosa che un titolo low cost può permettersi impunemente. Una nebbia onnipresente, o alcuni (contingentati) passaggi tra il mondo terreno e una sua versione soprannaturale non faranno altro che rendere DreadOut 2 una sorta di clone al ribasso dei capolavori di Toyama e Mikami.
Per cercare di aggiungere un po’ di varietà e carne al fuoco, in questo secondo capitolo è stata aggiunta una città-hub all’interno della quale, oltre a stemperare un minimo le atmosfere horror, potremo approfondire la lore del gioco e intraprendere missioni secondarie. Anche in questo caso purtroppo siamo davanti a un elemento che non risulta sfruttato a dovere: da un lato la città ma anche le missioni sanno di già visto e poco originale, dall’altro aggiungono una serie di elementi che aprono le porte a numerosi interrogativi che non vengono poi svelati proseguendo nel gioco, conducendoci ad un finale che più che aperto definirei incompleto. Come se fosse mancato tempo e voglia agli sviluppatori per finire il gioco.
Gameplay di DreadOut 2
Un altro elemento fortemente derivativo di DreadOut 2 è il gameplay: come sicuramente saprai se hai giocato al primo capitolo, gran parte delle nostre investigazioni e combattimenti avviene tramite lo smartphone di Linda e in modo particolare attraverso la lente della fotocamera.
In un chiaro omaggio a Project Zero e alla mitologia che gli sta dietro, per sconfiggere le presenze dovremo rispedirle nel mondo da cui provengono a colpi di fotografie. Lo smartphone funge inoltre da torcia, indispensabile per muoverci negli ambienti bui che costellano il gioco, oltre che da agenda in cui troveremo gli obiettivi e un riepilogo della storia, oltre ad essere il tramite di alcune attività in-game. Ad esempio può capitarci di ricevere delle videochiamate; in questi casi dovremo essere attenti a prendere in mano il cellulare, dal momento che il video andrà avanti anche se non lo staremo vedendo, con il rischio di perdere qualcosa di importante.
A parziale differenza dal primo capitolo, in questo seguito sono state aggiunte alcune varianti agli scontri standard: infatti in alcuni casi, prestabiliti, dovremo evitare lo scontro oppure mettere da parte la fotocamera e combattere con delle armi improvvisate.
Sintetizzata così sembrerebbe una scelta ben ponderata e che ci offre una certa varietà di gameplay: questo è vero fino ad un certo punto, dal momento che le cose non funzionano come dovrebbero, dandoci anche in questo caso una sensazione di incompleto e non rifinito.
Il sistema di mira nei combattimenti non funziona come dovrebbe, così come le sezioni di “mira” utilizzando la fotocamera. Questo ci porta a lanciarci in attacchi di cui ci risulta quasi impossibile capire l’esito, e non sarà infrequente perdere secondi preziosi per caricare una “super foto” i cui effetti dovrebbero essere devastanti, per poi scoprire di avere fatto un buco nell’acqua e magari morire nel frattempo. Anche perché talvolta i nemici sono talmente forti da farci fuori con un paio di colpi, come se gli sviluppatori avessero pensato che uno squilibrio delle forze in campo potesse essere una buona soluzione per garantire un livello di sfida piacevole ed adeguato.
Segnali di stile: audio e grafica
Il comparto visivo di DreadOut 2 è per certi versi un discreto esempio di utilizzo di Unreal Tournament 4 su Switch, pur con alcuni distinguo.
Se ambientazioni, giochi di luce e modello di Linda sono apprezzabili e ben fatti, lo stesso non si può dire per i modelli degli NPC e soprattutto delle creature; a cominciare dal primo incontro che faremo nei primi minuti di gioco appare evidente che gli spettri e i demoni non sono che un’immagine bidimensionale inserita in un contesto in tre dimensioni. L’effetto definitivo è facile da immaginare e sicuramente poco esaltante. Anche per quanto riguarda le animazioni spesso assistiamo a movimenti un po’ legnosi e poco coerenti che anche in questo caso denotano una scarsa cura generale del prodotto.
Lo stesso si può dire per il comparto sonoro che affianca ad effetti sonori e musiche azzeccati per il tipo di gioco un doppiaggio di livello mediocre, per quanto non sia esattamente un elemento importante nell’economia del gioco.