Leggo Drunken Fist e penso alle arti marziali cinesi, così come a quel particolare stile che imitando le movenze di un uomo ubriaco, punta a stupire gli avversari grazie a mosse imprevedibili. Penso al film che consacrò Jackie Chan come punto d’incontro fra la commedia e il Kung Fu, Drunken Master, ma anche e soprattutto ai molti picchiaduro che dissero la loro su questo argomento.
Tekken, Dead or Alive, Mortal Kombat, King of Fighters, Double Dragon, Virtua Fighter o persino Martial Masters; ognuno di questi franchise presenta almeno un personaggio ispirato proprio alla cosiddetta boxe dell’ubriaco, ma visto che il gioco di cui andrò a parlarti non c’entra nulla con tutto questo, ti invito ad abbassare le aspettative come io stesso ho dovuto fare.
In questo scenario di miti e leggende, di arti marziali e colossi del picchiaduro, Drunken Fist si presenta infatti come una grottesca rissa da bar, che riesce a malapena a intrattenere chiunque si ritrovi ad assistervi. Mettendoci nei panni di un vecchio ubriacone che cerca di stendere vari passanti, tutti più o meno agguerriti, il gioco punta su un’idea spassosa ma è sommario in ogni aspetto, compreso il gameplay che a conti fatti è tutto ciò che prova a offrire.
Buona l’idea, pessima l’esecuzione
Come ho già anticipato, il concetto alla base di Drunken Fist è quello di creare un beat ‘em up tridimensionale, in cui il giocatore deve fare i conti con un protagonista ubriaco fradicio. Questo, risulta chiaro fin dai primi istanti di gioco e lo fa soprattutto grazie alla reattività dei comandi, resi volutamente poco intuitivi.
Il movimento del nostro protagonista è infatti basato su un sistema a perni che, per quanto frustrante a causa della scarsa maneggevolezza, restituisce efficacemente lo spirito alcolemico dell’esperienza. Purtroppo peró, quest’idea di trasmettere il senso d’ubriachezza a chi gioca inficia molto sul sistema di combattimento, che a causa del ritardo negli input dei comandi risulta davvero poco coinvolgente.
Prendere dimestichezza con il sistema di controllo richiede quindi un po’ di tempo, ma non è questo il vero problema che rende Drunken Fist obliabile. A farlo, è prima di tutto il suo essere un gioco troppo basilare in cui la profondità delle poche meccaniche, del sistema di combattimento, degli obiettivi nei singoli livelli e della mappa non interattiva, lascia davvero a desiderare.
L’intero titolo, piuttosto breve e privo di rigiocabilità, si riduce quindi a una mappa lineare suddivisa in diversi livelli, ognuno dei quali presenta compiti da svolgere prima di poter passare oltre. Mangia per ripristinare la salute, bevi per mantenerti ubriaco, urina ogni tre per due e dai botte a chiunque incroci. Il gioco, è davvero tutto qui e dopo la prima mezz’ora in cui può divertire, perde del tutto il suo mordente.
Vacilla anche il comparto tecnico
Il gameplay di Drunken Fist è approssimativo, e lo è anche il suo comparto tecnico. La grafica low poly che caratterizza il titolo, creata sfruttando l’Unreal Engine, fa da sfondo a una produzione che non si cura dei dettagli, dando vita a una serie di difetti e problemi. Tra quelli più trascurabili, che vale comunque la pena citare, troviamo una localizzazione italiana di livello infimo, la pioggia che cade in un singolo punto della mappa o l’illuminazione poco studiata.
Affiancata alla scarsa varietà offerta dai singoli livelli, così come dai nemici affrontabili con una singola mossa, vi è anche una riproposta sistematica di asset e situazioni, che non aiuta certo Drunken Fist a mantenere vivo l’interesse. Non sono mancati poi i bug a condire più volte il tutto, come il classico sprofondare al di sotto della mappa fino a vederla sparire in lontananza.
Concludo dicendo che le musiche, realizzate da Kevin MacLeod, non bastano certo a risollevare il morale di chi si spinge alla fine del gioco. Nel complesso, Drunken Fist è un’esperienza poco interessante, a malapena divertente e che dubito consiglierei a qualcuno.