Dying Light è stato un titolo che è riuscito a sorprendere molti giocatori, grazie alla sua combinazione di diverse meccaniche, ancora oggi divertenti e interessanti. Fare Parkour in mezzo a un’orda di non morti ha infatti un fascino tutto suo, soprattutto quando ci sono diverse attività che ci spingono a farlo.
Dying Light 2 Stay Human si propone invece di migliorare questa formula, portandola verso nuove vette esplorative e narrative. Questo, come possiamo vedere, riesce soltanto a metà. Il gioco che ci troviamo davanti è infatti un open world davvero interessante, che rende generalmente più fluide tutte le meccaniche già sperimentate nel primo capitolo della serie, con un risultato davvero divertente.
Troviamo però anche dei difetti degni di nota, che purtroppo non permettono alla produzione di raggiungere l’eccellenza assoluta. Questo non vuol dire che il titolo non sia divertente, ma solo che bisogna tener conto di alcune cose prima di considerarne l’acquisto. Vediamo cosa nella nostra recensione.
Un futuro interessante e spaventoso
La storia di Dying Light 2 parte da premesse molto interessanti e si sviluppa nel corso dell’avventura in modi più o meno inaspettati, in grado di tenere alta la tensione per tutto il tempo. Ci sono però alcuni grossi “ma”.
Vestiamo i panni di Aiden, una sorta di corriere post-apocalittico incaricato di portare pacchi, comunicazioni e oggetti di valore tra i pochi insediamenti ormai rimasti nel mondo. Il suo “lavoro”, infatti, lo porta in giro per il globo, correndo grandi rischi e muovendosi tra le varie orde che ormai infestano buona parte delle terre emerse.
Il motivo per cui il protagonista ha seguito questa strada, però, è molto personale: egli è infatti cresciuto in un centro di ricerca GRE, costretto a subire vari esperimenti insieme ad altri bambini. Dopo la distruzione di questo grosso laboratorio, però, egli perde le tracce della sorella Mia, di cui non ha più avuto notizie per tutto l’arco della sua vita.
Aiden è quindi determinato a ritrovare la sorella e, seguendo una possibile pista, si troverà coinvolto nei conflitti di Villador, una delle poche città ancora in piedi rimaste nel mondo. Da qui in poi la storia prosegue con vari colpi di scena e con vicende più o meno interessanti, che portano a un finale tristemente poco convincente.
Molte svolte narrative, infatti, non sono spiegate alla perfezione e, in alcuni casi, si ha la sensazione che la narrazione stia tralasciando qualcosa, lasciando il giocatore confuso. Discorso a parte, invece, va fatto per le missioni secondarie.
Queste sono decisamente interessanti, grazie a delle sottotrame che approfondiscono in piccole dosi la lore del mondo di gioco, facendo vedere scorci di vita di personaggi secondari, che però contribuiscono a creare un quadro d’insieme interessante e memorabile. Svolgere queste missioni, di fatto, permette di avere una visione più approfondita della lore, grazie a storie e situazioni staccate dall’intreccio principale, ma che donano al mondo di gioco credibilità e vita.
Il risultato è una narrativa più ricca e articolata, che riesce a brillare di luce propria anche grazie a queste piccole deviazioni dalla narrazione principale.
Paradossalmente, quindi Dying Light 2 convince moltissimo per la cura riposta nelle storie secondarie e, al contrario, offre una campagna principale interessante, ma minata da difetti difficili da trascurare. Tutto ciò, però, si poggia su un comparto ludico che farà felici tutti i fan del primo capitolo.
Dying Light 2: tra salti, non morti e un pizzico di survival
Il gameplay di Dying Light 2 non si allontana troppo da quanto visto nel primo capitolo, presentandoci quindi un action open world in prima persona con alcuni elementi da GDR e piccole meccaniche di crafting. Queste basi sono però costruite in modo certosino, delineando un’esperienza sostanzialmente unica.
I controlli sono semplici. Inizialmente abbiamo a disposizione un salto, che però può essere utilizzato per scavalcare ogni tipo di ostacolo e per darsi lo slancio da un appiglio. Questo vuol dire che con lo stesso tasto è possibile scalare muri, oscillare con le corde, saltare tra gli appigli e così via.
Ogni movimento di parkour, peraltro, consuma vigore e di conseguenza ogni scalata deve necessariamente essere “dosata” cercando punti in cui è possibile riposare. A queste basi si aggiungono poi molte altre abilità, sbloccabili progressivamente proseguendo nell’avventura. Il risultato è un sistema di scalata fluido e divertentissimo, che permette di arrampicarsi liberamente ogni tipo di struttura.
Qui va segnalato un leggero sbilanciamento della componente ruolistica. Alcune azioni basilari sono infatti bloccate dietro la tipica progressione degli alberi di abilità, rendendo le prime ore di gioco inutilmente lente. Se questo può essere un pregio nel caso di abilità più avanzate, diventa invece un difetto quando si parla di azioni basilari come la scivolata o il salto da accovacciato.
Tutto questo viene poi integrato con un sistema di combattimento che, per quanto banale, funziona bene. Abbiamo infatti un tasto per attaccare e uno per parare. Parando all’ultimo momento possiamo eseguire un parry, sbilanciando il nemico per qualche secondo. Un nemico sbilanciato, poi, diventa la base per un calcio volante, con cui colpire e stordire eventuali avversari posti dietro di lui.
Anche in questo caso, proseguendo nell’avventura si sbloccano nuove mosse, che permettono di eseguire azioni più o meno efficaci. Si nota subito una maggiore fluidità generale, data anche dall’integrazione delle capacità atletiche di Aiden con le azioni puramente offensive. E’ infatti possibile atterrare sui nemici dopo un salto, sfruttare le schivate per stordirli o persino spingerli verso varie direzioni.
Nonostante tutto questo sia, di fatto, ottimamente costruito, purtroppo ci troviamo anche davanti ad azioni decisamente sbilanciate. Il calcio volante, ad esempio, stordisce anche il nemico colpito in volo, consentendo di utilizzarlo immediatamente come nuovo appiglio per un ulteriore calcio. Allo stesso modo, abbiamo decisamente troppo controllo sul movimento, potendo ruotare la traiettoria a mezz’aria in modo fin troppo efficace. Ci sono anche altre abilità che richiederebbero un minimo di ridimensionamento, in modo da essere meno impattanti.
Il mondo di Dying Light 2 Stay Human
Buona parte del nostro tempo in Dying Light 2 Stay Human è speso saltando tra i palazzi della città di Villedor, un luogo che ospita una grandissima mole di attività principali e secondarie. Dopo una prima parte necessariamente lineare, infatti, il titolo catapulta il giocatore in un mondo aperto e liberamente esplorabile, dove si trova continuamente qualcosa da fare.
Sarebbe infatti sbagliato definire le attività principali come il vero fulcro del gioco. In realtà siamo davanti a un ecosistema composto da varie meccaniche, tutte necessarie per creare un prodotto che riesce a essere appagante e soddisfacente nonostante i suoi difetti. In ogni caso, le varie missioni della storia rivestono comunque un ruolo primario nello scandire la progressione del titolo, quindi vale la pena parlarne.
Dying Light 2 riesce infatti a offrire missioni sempre varie, che vanno da esplorazioni di luoghi abbandonati, a inseguimenti sui tetti, passando per combattimenti con piccole orde di infetti. Proprio nella storia troviamo alcuni dei momenti più esaltanti del titolo, dove si creano situazioni molto diverse dal classico loop di gameplay che invece caratterizza l’open world.
Proprio attraverso la storia principale Dying Light 2 introduce progressivamente piccole meccaniche nuove, che poi si vanno ad aggiungere a quelle disponibili nel normale svolgimento delle attività, dando continuamente un pizzico di varietà alla formula di gioco, che non diventa mai stancante. Ad esempio, in questo modo ci viene spiegato come attaccare gli accampamenti, come trovare dei tetti ricchi di bottino e si ricevono persino oggetti come il parapendio.
Oltre a far andare avanti la narrazione, le missioni principali sono quindi un’ottima attività da alternare alla gigantesca offerta ludica proposta dalla mappa di gioco, proprio perché permettono di mantenere l’esperienza sempre fresca. Chiaramente, tutto resta racchiuso nei limiti della formula base di Dying Light 2 Stay Human, ma il risultato di questa piccola progressione è comunque piacevole.
L’open world è invece l’altro grande protagonista del titolo e, per certi versi, diventa quasi il motivo principale per cui acquistarlo. La mappa di gioco è densissima di attività di ogni tipo, che premiano continuamente l’esplorazione e la curiosità del giocatore. Tutto questo è poi valorizzato da un level design certosino, che rende divertentissimo ogni spostamento.
Villedor è infatti composta da edifici di ogni forma e altezza, su cui troviamo ogni tipo di appiglio e di dislivello con cui creare delle fluidissime corse parkour: scalette varie, condotti d’aria, antenne, passerelle, cavi sospesi e persino auto e camion poste in posizioni strategiche, in modo da dare sempre al giocatore un modo di saltare tra i vari palazzi o di correre rapidamente tra le orde di infetti che infestano le strade sottostanti. Spesso ci sono persino diverse strade per raggiungere lo stesso punto, grazie allo sfruttamento di appigli e abilità diverse.
Anche scendendo dai palazzi siamo davanti alla stessa qualità di level design, grazie a rampe create ad arte con veicoli o macerie, barricate basse da utilizzare per darsi lo slancio, ostacoli vari e così via. Dying Light 2 riesce a rendere piacevole anche il semplice atto di spostarsi, costringendo il giocatore a osservare continuamente lo spazio, cercando appigli e muovendosi nella maniera più fluida e veloce possibile.
Tutto questo è poi sostenuto da attività di vario tipo, che vanno dalle elaborate missioni secondarie, passando per incarichi più semplici e ripetitivi. Le prime sono delle vere e proprie storie da seguire, che affiancano una breve narrazione ad attività sempre diverse e interessanti, che a volte possono persino concludersi con lo scontro con un mini boss.
Le altre attività sono invece divise tra vari incarichi, come le sfide parkour (ovvero delle corse a tempo), gli incontri casuali (come aiutare civili in difficoltà) o l’esplorazione dei laboratori GRE e di luoghi bui. Questi ultimi portano un altro grado di sfida, dato che di giorno sono spesso pieni di infetti, mentre la notte sono tendenzialmente più semplici da esplorare. Parliamo infatti di interi edifici dentro cui entrare, dove sono sparse varie risorse da saccheggiare.
Esplorare questi luoghi è quindi molto importante, dato che qui è possibile reperire le risorse necessarie per il crafting, armi, medicine, armature e persino degli inibitori che permettono di potenziare il protagonista. Soprattutto ai livelli di difficoltà più alti, quindi, sono un’attività da prendere sempre in considerazione e, generalmente, comunque divertente e sufficientemente varia.
Tanti tasselli di una grande struttura ludica
Il crafting du Dying Light 2 Stay Human è poi un altro tassello che si aggiunge alla formula. Con i vari materiali trovati in giro è infatti possibile creare beni di consumo monouso, potenziamenti per le armi che aggiungono effetti passivi agli attacchi e accessori vari, come molotov e coltelli per il combattimento o grimaldelli per scassinare le porte.
Si aggiunge poi una componente ruolistica non troppo complessa che, però, contribuisce a creare un generale senso di progressione. I due alberi di abilità presenti riguardano il combattimento e il parkour e, in entrambi i casi, si acquisiscono punti abilità svolgendo le due azioni: combattendo si acquisiscono punti per questo albero ed eseguendo mosse di parkour si ottengono punti per quest’ultimo.
Un’ottima aggiunta che, però, come accennato pecca per eccesso, data la presenza di abilità basilari che vanno necessariamente sbloccate proseguendo nell’avventura.
Si aggiunge poi una meccanica molto interessante, che a sua volta influenza la progressione. Essendo infetto, il protagonista non può stare troppo tempo al buio, pena la trasformazione in non morto. Per evitare questo triste destino, dobbiamo necessariamente esporci alla luce del sole o, nel caso di zone buie, alle luci UV. Il tempo che possiamo restare nel buio è quindi limitato.
Quest’ultimo può essere aumentato trovando degli speciali inibitori, che consentono di migliorare il Vigore o la Salute e, appunto, di restare più a lungo nei luoghi bui. Molte abilità dei già citati alberi, poi, si possono acquistare solo dopo aver raggiunto un numero minimo di punti vita o di vigore, collegando quindi questa progressione a quella prettamente ruolistica.
Un’altra meccanica degna di nota riguarda invece l’assegnazione degli insediamenti. Esplorando Villedor è possibile attivare mulini a vento, che generano elettricità per un insediamento sottostante. Allo stesso modo, possiamo liberare punti strategici. In entrambi i casi ci viene chiesto di assegnare queste fortificazioni a una delle due fazioni del mondo di gioco, che poi prenderà il controllo del luogo in questione.
Nonostante l’idea sembri buona sulla carta, in realtà i cambiamenti sono praticamente estetici e non sono per niente rilevanti. Assegnare una zona a una fazione porta infatti alcuni benefici, come la presenza di trappole piuttosto che di aiuti per il parkour, ma a livello narrativo assistiamo comunque a un intreccio praticamente uguale.
Quindi, arrivando al punto, vale la pena giocare questo Dying Light 2 Stay Human?
Se ti è piaciuto il primo capitolo, allora troverai una formula perfezionata sotto vari punti di vista e un gameplay generalmente più fluido e ricco di contenuti, quindi direi proprio di si. Dying Light 2 Stay Human non è però un titolo immacolato.
Il sistema di scalata, per quanto fluido e interessante, mostra anche qualche incertezza in alcuni momenti, con impatti non sempre convincenti. Allo stesso modo, il sistema di combattimento offre il fianco a una certa banalità, nonché alla presenza di abilità troppo devastanti. Se poi si aggiunge una fisica che tende a dare troppo “peso” ai nostri colpi, stordendo per brevi istanti i nemici e addirittura facendogli fare dei piccoli voli, la difficoltà complessiva diviene eccessivamente tarata verso il basso.
A peggiorare la situazione ci pensa l’IA dei nemici, decisamente troppo basilare e, soprattutto nelle rare sezioni stealth, fin troppo prevedibile e deficitaria.
L’open world è invece eccellente, grazie a un level design semplicemente spettacolare, affiancato da tantissime attività e da missioni secondarie interessanti. Siamo quindi davanti a un degno successore del primo capitolo, che vale la pena giocare per le sue meccaniche uniche e originali, soprattutto se non hai mai messo le mani sul capostipite.
Il sistema di gioco di Dying Light 2, di fatto, pur mostrando dei difetti evidenti, si dimostra comunque soddisfacente, soprattutto per tutti coloro che hanno già amato questa formula. Non siamo davanti a una rivoluzione, ma il risultato finale resta comunque molto più che apprezzabile.
Tecnicamente buono?
Il comparto tecnico di Dying Light 2 è altalenante. Si notano infatti ambienti più dettagliati, modelli poligonali più belli e animazioni molto più convincenti rispetto al capostipite. Anche in questo caso, però, non siamo davanti a un risultato eccellente.
Le animazioni facciali lasciano spesso a desiderare, gli impatti sono da rivedere – sia nel parkour, sia per alcune interazioni poco convincenti nel combattimento – e l’ottimizzazione generale lascia a desiderare: a prestazioni massime il titolo richiede un esborso fin troppo esigente di risorse, con vistosi cali di frame davvero ingiustificati.
Il dettaglio grafico generale, poi, non riesce a soddisfare fino in fondo, proprio per via di modelli poligonali che si limitano a essere piacevoli da vedere, ma non troppo dettagliati. Al contrario, gli effetti visivi e di luce sono molto convincenti e contribuiscono a dare carisma ai vari ambienti di gioco.
Discorso a parte va fatto per i controlli. Questi, pur partendo da basi solide, riescono comunque ad avere delle belle magagne: capita spesso di trovarsi davanti a danni subiti dietro una parata oppure di vedere Aiden che si appende da qualche parte nonostante si stia spammando forsennatamente il tasto per scendere. Capita persino di vedere alcuni salti in ritardo, che conducono spesso a morte certa.
Il comparto artistico, d’altra parte, è davvero eccellente. Villedor è semplicemente stupenda, grazie a scorci davvero suggestivi e anche grazie a personaggi abbastanza carismatici da diventare riconoscibili. Sono proprio gli ambienti a essere memorabili però, diventando un nuovo motivo per esplorare la cittadina.
Infine, il comparto sonoro è eccellente, grazie a un doppiaggio sempre convincente, unito a effetti audio praticamente perfetti. Esplorare Villedor è così affascinante anche grazie ai vari rumori che si possono sentire, che vanno dai versi degli infetti, alle urla, passando per impatti, tonfi e oggetti frantumati provenienti da chissà dove. Si aggiungono delle musiche che variano in base alle situazioni, diventando più tese quando sta scadendo il tempo in cui si può stare al buio e generalmente perfette per le varie situazioni.