Il survival è un genere videoludico che ha dei canoni ben precisi e che, complice la sua natura enormemente cervellotica per quanto riguarda lo sfruttare le risorse in maniera ottimale, va saputo apprezzare.
Ebbene, Dysterra è un survival a tutto tondo che già nel suo attuale stato di beta sa offrirsi ottimamente a coloro che più amano questa mai troppo nutrita branca videoludica che come i ‘fratelli malvagi‘ roguelike e roguelite e gli ancora più cattivi e più giovani soulslike è riuscita a mantenere il proprio pubblico fedele e a conquistarne di nuovo grazie ai tali e tanti interessanti esponenti usciti negli ultimi anni.
Si tratta in questo caso di una produzione originaria della Corea del Sud, con dietro due nomi che, soprattutto in patria, sono ben noti agli addetti al settore (forse un po’ meno alle platee internazionali). Allo sviluppo abbiamo Reality MagiQ, al proprio esordio sul versante videoludico tradizionale dopo quattro lavori in ambito di gaming VR, mentre del publishing si è occupata Kakao Games, già tra gli editori di Black Desert Online e provider dei server sudcoreani di PlayerUnknown’s Battlegrounds e di Path of Exile.
Due nomi di tutto rispetto per un titolo che parimenti sa farsi rispettare, ma che necessita ancora di tante limature (come d’altronde è giusto che sia considerandone il sopracitato stato).
Dysterra, ovvero ‘Ma è The 100 o abbiamo un dejà vu?’
Come il titolo di questo paragrafo preannuncia, il background narrativo dietro Dysterra potrebbe ricordare a chi si approccia al gioco le prime battute della trama di The 100, una piuttosto popolare serie televisiva sci-fi post apocalittica conclusasi nel 2020 dopo sette stagioni, per un totale di cento episodi (chissà come mai).
La scoperta di un minerale noto come Terrasite, che diventa ben presto la principale e più potente fonte d’energia sulla faccia della Terra e che ha permesso di sviluppare una tecnologia in grado di controllare le condizioni meteo, spinge l’umanità a cercarne sempre di più, spingendosi sempre più verso il nucleo del pianeta. Ciò innesca una serie di terribili fenomeni catastrofici di origine climatologica e vulcanica noti come Terrafire, che presto mettono a repentaglio il futuro del genere umano.
L’incombere della continua minaccia di una nuova ondata di questi disastri costringe i sopravvissuti a cercare la propria salvezza a bordo degli orbis, una rete di stazioni orbitali originariamente destinata all’impiego bellico.
Molto presto, tuttavia, una nuova problematica emerge: la carenza del Terrasite, necessario ad alimentare le stazioni onde mantenerle in orbita.
Si rende così necessario inviare una spedizione sulla Terra onde recuperare il prezioso combustibile, insieme causa e soluzione delle disgrazie del genere umano. L’arduo compito viene affidato a reietti della società, tra cui, neanche a dirlo, figura il nostro personaggio.
Tempus fugit
Mai locuzione latina fu più appropriata per un survival, ma il motivo lo vedremo tra poco. Per il momento concentriamoci sul gameplay più in generale, il quale, come già premesso, è quello di un survival nudo e crudo: catapultati in un ambiente selvaggio ed inospitale, e in questo caso costellato di intricate rovine metalliche che vorrebbero fare invidia a quelle di Horizon Zero Dawn, siamo costretti ad ingegnarci raccogliendo risorse e craftando item e strutture.
Risorsa principale (escludendo cibo ed acqua) è chiaramente il Terrasite, che ormai affiora dal terreno e che serve per alimentare le apparecchiature di cui doteremo la nostra base (o le nostre basi).
Come le altre risorse sia organiche che naturali (si possono cacciare gli alci mutati che scorrazzano felici per la mappa), esso è farmabile grazie al braccio meccanico, il quale va alimentato tramite batterie sia trovabili nelle suddette rovine che craftabili ed è potenziabile fino a diventare una valido strumento di supporto durante il combat.
A parte le statistiche dei vari item come armi e protezioni, l’elemento ruolistico è totalmente assente (non c’è accumulo di punti esperienza o livelli di sorta e la personalizzazione iniziale del personaggio, così come il background, è molto blanda).
Il punto di forza principale di Dysterra è proprio nel crafting, il quale è già ben variegato ed appagante, oltreché esteticamente bello da vedere, soprattutto per chi ama le armi dall’aspetto artigianale e rozzo (probabilmente c’è lo zampino dei vari Fallout per quanto riguarda il comparto artistico, sebbene non ci sia traccia dell’elemento retro-futuristico). Man mano che si prosegue con lo sblocco di nuovi item craftabili sarà possibile realizzare addirittura veicoli.
Il ‘tempo che fugge‘ costituisce l’unico elemento di originalità presente nel gioco, che come abbiamo detto si omologa totalmente al genere survival. Vanessa Holden, unico personaggio dotato di un’identità a parte noi stessi per il momento presente in game e unico nostro tramite con il nostro orbis, ci rende fin da subito edotti su quando si verificherà il prossimo Terrafire, ovvero esattamente 166 giorni dopo il nostro sbarco sulla Terra. Abbiamo dunque meno di sei mesi di tempo onde raccogliere sufficiente quantità di Terrasite e garantirci un passaggio di ritorno verso l’orbis.
Per riuscire nel compito dovremo esplorare le tre ciclopiche strutture presenti a centro mappa: il Geolab, la Chemochamber e il Meteocenter, le quali pullulano di pericolosi nemici la cui letalità aumenta all’aumentare della dimensione delle strutture.
Non mancano gli eventi in game, come il drop di risorse orbitali, lo sbarco di squadre Hyena (cacciatori di umani che ci attaccheranno a vista) e di cecchini nemici, i quali saranno ardui da localizzare e stanare (craftare un’arma di precisione a lungo raggio il prima possibile è caldamente consigliato).
Sempre da buon survival, anche Dysterra è dotato di multiplayer, la modalità prediletta di molti appassionati del genere.
Un po’ più di finezza tecnica non guasterebbe
Per quanto, in linea di massima, l’azione di Dysterra scorra senza problemi compromettenti, qualche calo di frame rate di troppo è da segnalare. Inoltre si riscontra un’eccessiva legnosità nei movimenti dei NPC, mentre il nostro personaggio (o meglio ciò che si vede del personaggio, dato che la visuale è in prima persona) si muove di contro in maniera abbastanza naturale. Tutto ciò rende il combat giocoforza meno ritmato e perciò meno godibile, essendo orchestrato secondo una formula più o meno à la Fallout ma senza S.P.A.V.
Non aiuta il versante tecnico il sonoro inflazionato e nel complesso di scarsa qualità e la latitanza totale della colonna sonora, circoscritta al solo filmato d’avvio (che in realtà è una sequenza di artwork con una voce narrante di sottofondo) e al menù principale.
A risollevare le sorti ci pensa invece la navigazione, la quale risulta agevole e ben organizzata sebbene le interfacce manchino anch’esse di un po’ di raffinatezza (alcuni elementi sono scritti con caratteri di dimensioni infinitesimali).
La speranza per la versione finale di Dysterra è dunque che Reality MagiQ spinga un po’ di più sul versante tecnico rifinendo ciò che c’è da rifinire, considerando anche che non si tratta della loro opera prima, ergo hanno una reputazione da mantenere. Resta il fatto che non si tratta assolutamente di un inizio poco promettente, per cui un bel settanta di hype, che ci auguriamo vivamente diventi un otto in sede di recensione quando sarà il momento, è d’uopo.