Sviluppato e pubblicato da Jyamma Games, Enotria: The Last Song è un gioco di ruolo d’azione in terza persona identificabile pienamente nella sottocategoria sempre più popolosa e complessa, nonché ammaliante, dei soulslike. Il titolo in esame, tutto italiano, ha dalla sua un’atmosfera legata al nostro bel Paese che emerge con una certa prepotenza ammantando in parte alcune incertezze del titolo. Noi abbiamo vissuto tutta la magica avventura su PlayStation 5 e questa è la nostra recensione.
Enotria: The Last Song e il suo mondo tutto Italiano
Presentato tre anni fa, Enotria: The Last Song è prima di tutto un progetto di un giovane team italiano che esordisce nel mondo console e PC con un progetto ambizioso: un soulslike. Una sfida non da poco considerando che tale sottogenere di titoli è ormai sempre più affollato con contendenti sempre più agguerriti e originali. Un esempio tra tutti, non di casa Bandai Namco, è Lies of P (di cui puoi recuperare la nostra recensione) e da cui Enotria sembra prendere più di uno spunto.
Ma a rendere Enotria: The Last Song un titolo fortemente identitario e a suo modo unico è la capacità di dar vita a un’atmosfera tutta Italiana e lo fa non solo con le ambientazioni dalle architetture facilmente collocabili a diverse nostre città (prevalentemente del Sud Italia ma non solo), ma anche grazie alla comunione e coesione di musica, racconti, leggende e folklore. Il tutto, viene a sua volta ulteriormente potenziato da una sorta di easter egg italiani fino a citazioni di un certo livello come Curtis il Principe della Risata (sì, è una citazione a Totò).
Ecco quindi che l’opera firmata Jyamma Games è prima di tutto un titolo pregno dell’atmosfera del nostro bel paese e non stupisce quindi la scelta di dare alla luce un mondo quasi sempre baciato dal sole, pieno di colori accesi e dall’ambiente rigoglioso e vario, impreziosito da borghi composti a loro volta da piazze chiassose e da stradine strette tutte svelare ed esplorare (non per niente l’esplorazione è tra le cose più riuscite dell’opera). Ed è però nel bel mezzo di questo radioso mondo che si svolge una storia dai toni ben più cupi e maturi.
L’epopea del Senza Maschera
Sotto la guida di un allegro ed enigmatico, nonché autodichiaratosi procrastinatore, Pulcinella, noi vestiamo i panni del Senza Maschera (sì, in Elden Ring ci sono i Senzaluce, qui c’è il Senza Maschera… a quanto pare nei soulslike c’è sempre una qualche carenza). Tale individuo è muto e senza alcun volto e sì, il primo impatto potrebbe vagamente ricordare il già citato Lies of P ma qui non c’è alcun Pinocchio anche se verremo più volte identificati e bollati come “burattino”.
Ma chi è il Senza Maschera? Trattasi di un guerriero dotato di una cosa ormai rara a Enotria: il libero arbitrio. Perché tale rarità? Perché il mondo di gioco è ammantato da un oscuro anatema denominato Canovaccio e che imprigiona sotto di sé tutti i presenti condannandoli a un loop eterno di spettacoli, danze, e recitazioni varie. Una sinfonia che se inizialmente donava giubilo e cultura col tempo si è logorato dando vita a follia omicida. E se tutti hanno un ruolo predefinito, noi no… ed è per questo che siamo “liberi”. Liberi anche di distruggere il suddetto Canovaccio.
Riassunto: Enotria è in preda al caos e va salvata e noi dobbiamo porre fine a questa maledizione. Come da prassi del sottogenere di riferimento, anche Enotria: The Last Song non è generoso con l’intreccio narrativo, rendendolo anzi discretamente fumoso, infarcendolo di non detti e disseminando indizi e storie su documenti e scambi di battute tra vari personaggi non giocanti (suggeriamo infatti di soffermarsi sempre nell’ascoltare i vari chiacchieroni di turno prima di massacrarli di botte, potrebbero offrire succosi dettagli sulla lore del titolo).
A differenza dei capisaldi del genere però, Enotria: The Last Song non riesce a dare tutte le risposte alle sue innumerevoli domande e curiosità, lasciando molti non detti anche alla fine dell’avventura il cui viaggio, però, riesce comunque a soddisfare. Il merito, ancora una volta, è legato al folklore Italiano e alla sapiente scelta e curiosa trasposizione del mondo delle maschere che invadono e in parte caratterizzano la nostra cultura. Il loro utilizzo saprà sorprendervi in più di un’occasione oltre ad avere un ruolo anche ludico.
Le (troppe) abilità del Senza Maschera
Se l’atmosfera di Enotria: The Last Song funziona, intriga e offre un’identità non indifferente al titolo, l’aspetto prettamente ludico presta il fianco a più di un’osservazione. Ma procediamo con ordine: prima di tutto, abbiamo tra le mani un nuovo soulslike, quindi un action game in terza persona che segue quasi fedelmente i dettami del sottogenere di appartenenza. Non sorprende quindi la presenza di un attacco veloce e più debole a cui si aggiunge uno lento e più forte (in entrambi i casi la velocità è poi a sua volta legata alla tipologia di arma impugnata).
Oltre ai classici comandi di attacco, ritroviamo la schivata, utile per cercare distanza ed evitare i colpi nemici. Infine c’è la parata che, in questo caso, strizza più l’occhio a Sekiro: Shadows Die Twice. Questo significa che il sistema di parry è cruciale se non essenziale (anche se richiede molto allenamento risultando poco intuitivo) per poter sopravvivere e che non basta una semplice parata ma c’è il bisogno di effettuare la “parata perfetta”. Essa, infatti, permette di azzerare quasi completamente i danni e di riempire una barra celeste (denominata “Barra della Dissoluzione”) del nemico che, se riempita, lo stordisce temporaneamente, offrendoci l’occasione di sferrare un rapido e spesso brutale colpo (che per i minion, combacia quasi sempre col colpo finale).
Quando il Senza Maschera uccide un nemico affetto da Dissoluzione, entra in uno stato denominato di “Risveglio” che gli garantisce una serie di bonus ed effetti positivi che variano a seconda della maschera che si indossa in quel momento. Ed eccoci quindi che ritorniamo alle già citate maschere! Enotria: The Last Song, infatti, rimuove armature, elmi, bracciali e quant’altro sostituendoli con le maschere e le loro relative statistiche e una serie di bonus e/o malus di vario genere.
La Maschera non va solo a sostituire l’equipaggiamento ma assume quindi anche un ruolo al pari di una classe, intaccando le statistiche di base e aggiungendo anche bonus passivi e in alcuni casi anche delle abilità tecniche esclusive (qui denominate “Versi in maschera”, da ora in poi “Versi”). Insieme alla Maschera, bisogna poi selezionare le Sembianze, una sorta di ulteriore specifica inerente al ruolo e che vanno sempre a modificare le statistiche del protagonista.
Per quanto riguarda l’equipaggiamento, invece, possiamo attrezzarci di ben due armi, facilmente cambiabili con un tasto. Queste sono abbastanza classiche e discretamente varie, tutte potenziabili (utilizzando alcune incudini e spendendo risorse ed esperienza) e spiccano prevalentemente per determinati effetti aggiuntivi legati agli status. Oltre alle armi, si aggiunge alla personalizzazione anche la pietra magica che va a influenzare le meccaniche di parata (che ricordiamo essere essenziali all’interno del titolo).
E non finisce qui, in Enotria: The Last Song potrai anche personalizzare quattro Versi. Come anticipato, si tratta di abilità attive, legate a loro volta alla tipologia di colpi che andremo a infliggere al nemico e che ci permettono di eseguire determinate abilità sul campo. I Versi vanno prima scovati e raccolti in giro per le aree di gioco e sono strettamente legati ai parametri del protagonista. Questi utlimi, possono essere potenziati come in qualsiasi soulslike, spendendo l’esperienza acquisita dai nemici sconfitti. Tale esperienza, può essere convertita nei punti simili ai classici “falò” e in caso di sconfitta, bisogna recuperarla raggiungendo il punto del nostro decesso.
Prima di proseguire ad analizzare il gameplay di Enotria: The Last Song, è bene evidenziare che il Senza Maschera può portare con sé fino a tre Corredi differenti, intercambiabili a nostro piacimento anche nel corso della battaglia. Ogni Corredo, è composto dalla Maschera, dalle armi (due per Corredo), dai Versi, dalle Sembianze e dalla pietra magica. Inoltre, potrai anche gestire un inventario per ogni Corredo, dove inserire i vari consumabili raccolti e potrai anche sbloccare e poi selezionare una serie di abilità passive suddivise in ben quattro rami differenti.
Tali abilità possono dare vita a build potenzialmente micidiali e riguardano varie caratteristiche del nostro personaggio (dai boost di energia vitale, ai bonus sugli status, al numero di danni, ecc.) con alcune chicche notevoli. Un esempio? Un’abilità permette di danneggiare il nemico ogni volta che ci colpisce mentre un’altra premia le nostre parate perfette ricaricando un po’ di energia. Insomma c’è davvero l’imbarazzo della scelta. E se l’energia vitale scarseggia avrai sempre a disposizione una serie di “pozioni consumabili” (il cui numero può aumentare) che si ricaricano a ogni sosta ai “falò”.
Come se non bastasse, le armi, le Maschere e i Versi sono tutti potenziabili investendo materiali ed esperienza. Il risultato dinanzi a questa mole di statistiche ed elementi, è un’altissima possibilità di personalizzazione che risulta però troppa in confronto alle tipologie di nemici e alle aree di gioco (solo alcune presentano zone soggette a determinati status ma comunque facilmente superabili senza rivoluzionare il proprio equipaggiamento). Senza contare che una volta creata una build “sicura” difficilmente sarai invogliato a sperimentare altro senza contare che alcuni sistemi del gioco non regala la soddisfazione sperata.
All’ombra del sole
Se la varietà di personalizzazione è molto generosa, non possiamo dire lo stesso dell’offerta dei nemici e del rispettivo risultato sul campo. I nemici sono di poche tipologie e prestano il fianco a diverse critiche. La prima è legata a uno sbilanciamento della difficoltà e a un’IA in alcuni casi incoerente se non proprio deficitaria. Nel dettaglio, ci sono picchi di difficoltà difficili da prevedere e spesso legati a quantità di energia vitale avversaria spropositata o a un numero elevato di danni che possono infliggere. Una difficoltà che viene poi meno una sorta superato quell’unico ostacolo (come su una montagna russa).
Per quanto riguarda l’IA… ci è capitato di bypassare intere battaglie incastrando i nemici nell’area di gioco. Alcuni avversari, infatti, si bloccano se si spostano sotto determinati porticati mentre altri si paralizzano se salgono rocce o scendono scalini. Questo annienta completamente la difficoltà del titolo ritrovandoci a tirar fendenti contro rivali inermi (e spesso sono mid-boss). Ovvio, parliamo di casi isolati e infatti, quando tutto va come dovrebbe, Enotria: The Last Song è in grado di regalare sfide degne di nota con alcune boss fight in grado di sorprendere sia per set di mosse che per mutamento dello scontro.
D’altro canto, ci sono battaglie monotone e che alla lunga stancano, risultando riciclate o piatte. Questo è dovuto alla già citata ripetitività dei nemici e ad alcuni boss semplicemente poco ispirati. A questo si sommano poi ulteriori incertezze tecniche come alcuni elementi dello scenario che svaniscono, personaggi che si bloccano (anche noi ci siamo ritrovati incastrati più volte fra alcuni sassi) e persino hitbox mal calcolate. Queste, nel dettaglio, vedono fendenti nemici colpirci a distanze difficili da prevedere oltre ad avere la capacità di oltrepassare alberi e pareti. Altresì, ci è capitato di vedere nemici scagliare lance contro gli scalini avendo difficoltà a calcolare e altezze.
Infine, a questa sequela di problemi si aggiungono una serie di crash che già dal primo boss sbucano un po’ a random spezzano l’entusiasmo e costringendoci a ricominciare più volte. Bisogna a questo punto aprire una doverosa parentesi: gli sviluppatori sono consapevoli delle problematiche qui elencate e hanno già ufficialmente annunciato una roadmap di interventi tecnici che riguarderanno Enotria: The Last Song da ora fino a marzo. La nostra speranza è quella che possano quanto prima completare i lavori considerando la bontà strutturale dell’opera.
Esplorare il folklore Italiano
E a conclusione dell’analisi ludica vogliamo elogiare l’esplorazione. Complice il già apprezzato utilizzo del folklore Italiano, Enotria: The Last Song ha un mondo oggettivamente bello da scoprire, fatto di continua sorprese e caratterizzato da un level design labirintico e ben congegnato, che fa tesoro dei maestro del genere creando scorciatoie continue e svelando segreti su segreti.
All’esplorazione normale, si aggiunge un sistema di glifi (denominati appunto “Glifi del Canovaccio”) con cui il Senza Maschera può alterare l’area di gioco dando vita a elementi invisibili e che svaniscono dopo un determinato lasso di tempo. Questo ha permesso di dar vita anche a brevi fasi platform (con il salto del protagonista che non è dei migliori in circolazione) con enigmi ambientali intriganti, tutto a favore dell’esplorazione stessa.
E al mondo dei glifi si aggiunge anche la “Faglia Pugnace”, una sorta di portale che modifica il luogo chiudendoci in una gabbia (ossia un’area racchiusa da mura nere che si rendono goffamente visibili solo quando ci avviciniamo) in cui, per poterci liberare, dobbiamo prima sconfiggere tutti i nemici presenti (che per l’occasione sono quasi sempre potenziati). Anche qui, il premio è l’ampliamento dell’esplorazione, con nuove zone che si schiudono a noi con relativi tesori inediti.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Enotria: The Last Song si difende molto bene. Salvo alcuni glitch grafici, il titolo regala scorci mozzafiato e sfrutta un sistema di luci intrigante e che dona vita a un mondo colorato e vivace. I richiami all’Italia sono ovunque così come è palese la cura al dettaglio, al netto di alcuni inevitabili elementi riciclati. Buoni anche i nemici, tra cui spiccano i boss dove, a dominare incontrastati, sono le Maschere stesse (varie e ben raffigurate).
E a paesaggi di tutto rispetto e sinceramente gradevoli da esplorare, si affianca una colonna sonora che ha la voce del nostro Paese. Parliamo di sonorità nostre e che rendono il tutto ancora più coerente e identitario. Tarantelle, jingle, danze e ballate note ai più o rimodellate per l’occasione. Il tutto in un pacchetto che ricorda quanto anche la musica faccia parte della nostra identità. E sempre nell’ambito sonoro, inseriamo un doppiaggio in italiano molto ben curato, con recitazione di livello e discretamente varia. Peccato per i bug che amputano alcune frasi. Inutile dire che sono presenti anche i sottotitoli in lingua italiana.