Expedition Zero è il primo lavoro di Enigmatic Machines, software house ceca che per il publishing si è affidato al prolifico editore tinyBuild, sempre più prodigo di pubblicazioni mese dopo mese.
Per l’esordio, Enigmatic Machines ha preso la decisione di cimentarsi con un genere mai sicuro da proporre: il survival (il quale, come si sa, o si ama o si odia). Consapevole di ciò, la software house ha optato per una formula di survival piuttosto leggera, senza per questo mettere a repentaglio il livello di sfida che lo contraddistingue, incluso il principio del ‘far contare ogni secondo‘, che in Expedition Zero è particolarmente importante.
Andiamo ad esaminare i punti di forza e debolezza di questo titolo, i quali si equivalgono quasi, per cui non è stato semplice raggiungere una valutazione univoca.
Expedition Zero, un mistero siberiano
Il titolo si apre nel rifugio dove il nostro anonimo protagonista, rimasto ormai da solo contro il freddo siberiano, viene contattato da un misterioso individuo noto semplicemente come il Commerciante, il quale, consapevole della missione dell’uomo, ovvero far luce sulla sparizione della sua spedizione, che si era avventurata all’interno di una zona preda di misteriose anomalie.
La sede del Commerciante è sita all’interno di un mastodontico muro metallico verosimilmente edificato per contenere l’anomalia, che consta più che altro di una misteriosa infezione che fa cedere le carni e, lentamente, anche la ragione degli esseri umani (dettagli sul morbo si ottengono raccogliendo e leggendo i diversi documenti sparsi per il gioco).
Raggiunto l’enigmatico interlocutore, egli affida al nostro protagonista il compito di raccogliere alcuni campioni di anomalia sparsi per una foresta sita in piena zona anomala. Convinto che l’adempiere a questa richiesta possa giovare al suo scopo investigativo, il protagonista accetta.
Giunto tra gli ischeletriti alberi della boscaglia ricoperta di neve, l’uomo dà inizio alla propria ricerca, guardandosi costantemente dal freddo, dal consumo di energia e soprattutto dai micidiali avversari che possono palesarsi in ogni luogo ed in ogni momento.
Sopravvivenza leggera ed escape system, funzionano?
Come abbiamo già anticipato, Expedition Zero si presenta come uno shooter survival a tinte horror (etichettarlo come survival horror sarebbe eccessivo, sebbene conservi qualche elemento specifico del genere, come vedremo tra poco).
Un ruolo centrale è dato all’esplorazione, riducendo la sopravvivenza e il combat ad elementi di gameplay secondari se non addirittura collaterali. Le mappe di gioco (sebbene l’unica da completare sia la ‘foresta‘) sono abbastanza vaste ed abbastanza intricate da garantire una buona esperienza esplorativa, sebbene bisogni sempre tenere d’occhio temperatura corporea ed energia rimanente (ne parleremo tra poco).
Le caratteristiche del survival nudo e crudo sono mantenute quasi interamente, eccezion fatta per la necessità di procurarsi cibo e acqua (il che avrebbe considerevolmente rallentato l’esperienza) e per l’elemento gestionale, entrambi assenti. Massima importanza è data al controllo della temperatura corporea (che si può monitorare tramite una barra a bordo schermo che se vuota comporta il game over) e al risparmio di energia elettrica (necessaria onde utilizzare le varie device che crafteremo durante il gioco, a cominciare dalla fondamentale torcia frontale).
Il crafting è parimenti fondamentale, sebbene molto semplificato. Si riduce infatti a pochi passaggi, quali riciclo di oggetti nelle stampanti 3D sparse per le mappe onde ottenere risorse, accumulo delle tre uniche risorse presenti in game, e, una volta ottenuto l’ammontare necessario, craftare la device necessaria, che il più delle volte comporterà una semplificazione dell’esperienza, altre volte una vera e propria ancora di saggezza (e.g. la maschera antigas, necessaria onde oltrepassare aree invase da esalazioni asfissianti).
A testimonianza della poca importanza che il combat riveste nell’esperienza c’è l’esiguo numero di armi, ridotte a due: un fucile bolt-action e un’ascia, le quali, alla fine dei conti, sono più che sufficienti onde sopravvivere, essendo che esistono solo due tipologie di nemici, le quali cadono dopo pochi colpi, sebbene quelli salterini (non sapremmo come chiamarli altrimenti) siano difficili da centrare. Anche per questo, più che di combattere, gli scontri si concludono più facilmente con la fuga, per cui siamo probabilmente più davanti ad un ‘escape system’ che ad un ‘combat system’.
Le munizioni sono da utilizzare con parsimonia, essendo che non si trovano con larga frequenza, così come i pezzi di legno, necessari per alimentare le varie fonti di calore che ci terranno in vita durante l’esplorazione.
2022 maggiore di 2010
La grafica non è tutto, e su questo siamo d’accordo, ma presentare un’opera videoludica dotata di un comparto tecnico e di animazioni risalenti alla piena settima generazione ci sembra poco piacevole. Questa è esattamente l’impressione che dà Expedition Zero: ha l’aria di essere una produzione creata dieci anni fa che ha visto la luce solo dopo un lungo e travagliato percorso. Una caratteristica che potrebbe anche passare, se non fosse per la vecchiezza anche delle interfacce, le quali hanno allo stesso modo un aspetto raffazzonato.
Un’altra problematica riscontrata per queste ultime è, come al solito dato che ci sta capitando con ogni titolo da recensire che sia stato tradotto in italiano, è la localizzazione a metà: numerose stringhe di testo presenti nel gioco sono state lasciate in inglese in maniera del tutto casuale (con Ironsmith Medieval Simulator ci capitarono stringhe in polacco, fortuna che qualcuno aveva delle infarinature della lingua grazie a The Witcher 3: Wild Hunt). Non sarebbe meglio non farle proprio le cose invece di farle a metà?
Per quanto riguarda bug di qualche sorta, le uniche segnalazioni da fare riguardano dei cali di frame rate e delle sgranature di texture in fase post caricamento, fenomeni che per fortuna scompaiono dopo pochi secondi di gioco ma che comunque sono abbastanza sgradevoli da testimoniare. Neanche l’estetica più in generale fa faville, sebbene i developer abbiano svolto un buon lavoro nel rendere riconoscibile l’ambientazione soprattutto grazie ad elementi scenografici come gli angoli di preghiera tipici delle abitazioni slave, colmi di immagini sacre e icone.
Altra nota di demerito va alla colonna sonora e al sonoro in generale. Laddove di colonna sonora non si può proprio parlare (tre o quattro tracce al massimo completamente scialbe), il sonoro risulta molto deludente, anche a livello qualitativo, avendo anch’esso il problema di essere datato al pari della grafica.