Parliamoci chiaro, Far Cry 5 non era un buon gioco: a partire dalle premesse narrative quanto mai banali e dallo svolgimento dei fatti sempre più irreale e inverosimile, passando per la caratterizzazione degli antagonisti, nella serie, sulla carta affascinanti ma dai dialoghi talmente vaghi da risultare tutti uguali e fino ad arrivare ad un gameplay ormai trito e ritrito, condito da una gestione della difficoltà molto dubbia e poco attenta. Ecco, Far Cry New Dawn migliora ognuno di questi aspetti, anche l’estetica, eppure, alla resa dei conti finale, viene rovinato da dei problemi evitabili.
Il nuovo mondo è alla nostra portata
17 anni dopo la bomba nucleare sganciata dal Padre Joseph Seed, atta a redimere l’intero genere umano come ultima azione dettata da una divinità superiore che parla solo con lui, Hope County assiste ad un fenomeno molto strano: una fioritura improvvisa che dona un aspetto lussureggiante a tutta la regione. Il “seme” gettato dal Padre non è più un seme di morte, ma porta nuova vita che ben presto ripopola tutta la zona.
In questo nuovo ambiente, ricalcato su quello del precedente episodio, muove i passi il nostro personaggio, soprannominato da tutti “Capo”. In realtà siamo semplicemente il braccio destro di Rush, un uomo che gestisce un piccolo gruppo di persone intente a ricostruire edifici o interi villaggi per le nuove popolazioni della zona. Il nostro alter ego è personalizzabile sulla base di tratti somatici come barba e capelli, oltre alla tipologia di viso ed etnia, e sulla base di diversi capi di abbigliamento. Nulla di troppo approfondito ma, tenendo conto che si tratta di un gioco in prima persona, è comunque piacevole dare un tocco personale al nostro corrispettivo giocante.
Ciò che mi preme dire riguardo alla nuova ambientazione realizzata da Ubisoft Montreal, è che ci troviamo di fronte ad un piccolo gioiello estetico: piccolo perché le dimensioni sono considerevolmente ridotte rispetto alla sua controparte prenucleare; gioiello perché dal punto di vista della direzione artistica, il team canadese questa volta ha fatto centro. Ispirandosi quasi apertamente a Horizon Zero Dawn (di cui mantiene parte del sottotitolo), propone una gestione della luce molto valida, capace di donare grande varietà e grande fascino ad un paesaggio che, in caso contrario, sarebbe quanto mai monotono. La grafica è pulita e godibile sebbene un filtro estetico restituisca un minimo di effetto “Grana” che a qualcuno può far storcere il naso. La vegetazione è rigogliosa e più variegata rispetto al capitolo precedente e anche passeggiare per le colline di Hope County, passando dalla notte al giorno e viceversa, è infinitamente più gradevole rispetto a Far Cry 5. Tutto ciò è supportato dalla dimensione ridotta della mappa di gioco, la quale permette di avere sempre qualcosa da fare a portata di mano e garantisce la possibilità di esplorare villaggi e strutture naturali, senza l’ansia di doverlo fare altre milioni di volte o quella di essere in ritardo rispetto all’avanzamento della trama. I toni dominanti sono quelli del fucsia neon già presenti sulla copertina, i quali non stonano col paesaggio bucolico ma, anzi, donano un fascino nuclearpunk di tutto rispetto. Anche il comparto sonoro appare molto curato, dai suoni delle armi e dei passi fino alla colonna sonora con brani, ad esempio, dei Die Antwoord. Dal punto di vista artistico, quindi, sono stato subito rapito dalla bontà della direzione estetica, segno che dal punto di vista produttivo si è voluto fare le cose in meglio. Passiamo quindi a vedere come questo si concretizza nella trama e nella filosofia di gioco.
Coltivare con cura e violenza
Prosperity è la nostra nuova casa e va protetta da tutte le minacce esterne, compresa quella derivata dalle due gemelle Mickey e Lou che, con la solita vena di follia targata Far Cry, dominano Hope County al comando di un esercito di Guerrieri della Strada (ogni riferimento a Mad Max è puramente voluto). In realtà noi ci troviamo lì quasi per caso: Carmina Rye, figlia di una vecchia conoscenza del brand, chiede il nostro aiuto per ricostruire Prosperity ormai sempre più sotto attacco delle truppe delle due gemelle. La situazione precipita e con lei anche noi da un burrone, Rush è tenuto prigioniero e il controllo della zona da parte delle due folli sorelle è sempre più capillare. Su questo premesse, senz’altro positive, parte un’avventura decisamente più corta della precedente, ma tagliata stilisticamente in modo molto più autoriale e sapiente. I dialoghi sono generalmente ben scritti, nonostante un appiattimento derivato dalla “solita” follia di Mickey e Lou, e le scene girate in maniera drammaticamente molto più convincente del passato. Il ritorno di un “certo personaggio”, poi, garantisce una dimensione più alta e profonda a tutta la narrazione.
Preciso che, trovandoci in un contesto post nucleare, molti paletti costituiti dalla società in cui tutti noi viviamo sono rimossi, permettendo alle scelte narrative del titolo di calarsi in un contesto molto più libero e “internamente” molto più verosimile.
La trama si svolge, quindi, con il nostro alter ego impegnato a far progredire Prosperity in un sistema di Livelli che avvolge non solo il villaggio ma tutto il sistema di gioco. Mutuando il concetto ormai caro alle produzioni di questa generazione, ad un certo colore corrisponde un’arma di un certo livello e un nemico di un certo livello, nella classica scala di bianco, blu, viola, oro. Non certo qualcosa di originale, ma comunque in grado di garantire un senso di progressione in un titolo che volendolo completare al 100% si impiegano meno di 20 ore. Le missioni sono variegate e ben congegnate riuscendo a rendere fruibile un gameplay praticamente identico al predecessore e di cui parleremo nel prossimo paragrafo. L’andamento della storia è di facile comprensione e la ridotta dimensione dell’ambientazione permette di non perdersi mai dalla retta via. Accanto a queste lodi per la sua componente narrativa, bisogna anche dire che verso la fine Far Cry New Dawn tende un po’ a ripiegarsi su se stesso, fallendo soprattutto nella sua parte ludica, mancando di profondità e di buone idee.
Sono un dio o un mortale?
Non appena imbracciamo le prime armi da fuoco e spariamo a qualche nemico pronto a farsi spedire al creatore, capiamo subito che il gioco è di gran lunga più semplice del precedente. Un sistema di punti danno permette di vedere chiaramente l’efficacia dei nostri attacchi e gli headshot sono di facile esecuzione e uccidono sul colpo il nemico. Le prime 3-4 ore passano quindi in una piacevole alternanza di esplorazione/scontro a fuoco che risulta divertente anche se, come detto prima, non molto impegnativa.
Con il crescere del livello dei nemici e delle missioni, dovrebbe crescere anche il livello del nostro arsenale da fuoco. Questo non è automatico perché passa attraverso la raccolta dell’Etanolo, vero e proprio oro nero in questo titolo, in grado di far progredire il nostro villaggio in tutte le sue componenti. Possiamo quindi sbloccare: viaggi rapidi, mappe del tesoro e degli animali, nuove armi, nuove abilità di costruzione, garage, potenziamenti per i kit medici e potenziamenti per la vita. Tutto solo grazie all’etanolo. Eppure questo pregiato liquido si trova in quantità ridotta, ottenibile solo assaltando le blindocisterne (Mad Max Fury Road docet), saccheggiando i rifornimenti aerei o conquistando gli avamposti. Una gradita novità prevede la possibilità di rigiocare l’assalto all’avamposto con un livello di difficoltà in più ottenendo, in cambio, ancora più etanolo. Oltre all’etanolo, per potenziare le nostre armi, è richiesto un quantitativo variabile di oggetti da costruzione reperibili in giro oppure scambiando le pelli degli animali. Animali che, rispetto agli essere umani, sono dotati di una resistenza e di una vitalità fuori dal normale, costringendo il giocatore a scontri all’ultimo sangue con un ghiottone o a fughe rocambolesche.
Nel complesso la difficoltà si mantiene adeguata e bilanciata per quasi tutta la durata del titolo. Verso la fine, e soprattutto nello scontro finale, qualcosa deve essere andato storto perché, anche a livelli di progressione del personaggio più alti, ci troveremo di fronte degli avversari impossibili da mandare al tappeto. Per fare un esempio, se i punti vita sono nell’ordine dei cento-duecentomila, il nostro normale attacco col fucile a pompa toglie 100 ad attacco. Vere e proprie divinità ci affronteranno, andando contro la trama stessa (non dico nulla per non fare spoiler), quasi uccidendoci ad ogni attacco. Questo porta a rompere il gameplay del titolo e a giocare cercando una formula risolutiva anche impacciata ma efficace (come prenderci a pugni e mazzate fra compenetrazioni della grafica e lisci clamorosi). Una svolta assolutamente non richiesta, frustrante e senza senso. Il fatto che avvenga, ci dimostra che gli sviluppatori non sono stati in grado di creare la Difficoltà, senza scardinare le fondamenta del proprio sistema di gioco fino a romperlo del tutto. Peccato perché l’avventura fino a quel momento era stata davvero piacevole, tuttavia vedere certe scene e ritrovarsi in certe situazioni è veramente imbarazzante e anacronistico.
Un fiore calpestato ma pur sempre un fiore
Ad aumentare la longevità del pacchetto confezionato da Ubisoft, abbiamo la possibilità di intraprendere delle spedizioni, in singolo o in coop, che ci permettono di affrontare delle vere e proprie missioni di assalto con le quali ottenere importanti risorse per Prosperity. I collezionabili questa volta si mantengono in numero ristretto e soddisfacenti da acquisire.
Nel complesso, mi sento di dire che quella di Far Cry New Dawn è la strada giusta: trama autoriale, mappa piccola ma esteticamente migliore, gameplay scalabile e appagante. Peccato per la volontà di darsi la zappa sui piedi proponendo una fase finale non solo difficile (la difficoltà è positiva se sensata) ma anche frustrante, assurda e non necessaria. Un fiore un po’ malconcio, che speriamo Ubisoft sappia coltivare fino a farlo crescere rigoglioso nel prossimo capitolo, accudendolo con tanta luce artistica al riparo da fonti di lootbox, DLC e microtransazioni, che pure in New Dawn, avvelenano la flora locale.
Far Cry da dopo il 3 ha iniziato un lento declino (forse il punto più basso è stato Primal), ma d’altra parte la formula, seppur molto bella e d’impatto (si salva anche il 4 via) è difficile che rimanga fresca capitolo dopo capitolo. Se lo schema è sempre quello perché Far Cry “è così”, prima o poi è inevitabile che stanchi, anche con la grafica più bella del mondo. Grazie per la recensione, come sempre ben curata e onesta.
Grazie Stefano, sono d’accordo con te su Primal e sul declino della formula che ormai è sempre la stessa. Eppure questo New Dawn ha mostrato segni di cura artistica importanti che spero verranno riproposti variando un po’ la formula di gioco.