Flooded è un titolo che parte da premesse particolari: un gestionale che ambientato su isole che si restringono progressivamente, portando lo spazio dello scenario verso dimensioni sempre più piccole. Nonostante il loop di gameplay sia quindi molto classico, questo piccolo twist cambia tutte le carte in tavola. Vediamo quindi se vale la pena bagnarsi i piedi in questa recensione.
La storia di Flooded
Flooded non ha una vera e propria trama, ma parte da premesse basilari: il mondo è stato improvvisamente sommerso da un cataclisma di origine sconosciuta, che ha fatto alzare il livello degli oceani al punto da far sparire interi continenti, lasciando intatte solo le cime delle montagne. I protagonisti della vicenda sono infatti dei minatori che, uscendo dalla miniera alla fine del loro turno di lavoro, si ritrovano improvvisamente su un’isola. Il mare ha infatti sommerso tutto e la vetta su cui si trovavano è ormai circondata dalle acque.
Gli uomini cercheranno quindi di trovare una soluzione con i mezzi a loro disposizione, cercando di fuggire dall’isola e arrivando poi a capire di più sul cataclisma stesso. La storia, pur essendo lineare, resta un piacevole elemento di contorno che, almeno nelle prime partite, riesce a incuriosire. Il titolo, però, si basa sul gameplay.
Acqua, minerali e inondazioni
Il loop di gameplay di Flooded parte da premesse classiche: bisogna gestire una città progressivamente più ampia, con un numero di risorse sempre maggiori. In questo caso, però, ogni partita arriva prima o poi a una conclusione. Lo scopo è infatti quello di completare tutti gli obiettivi assegnati, passando per quattro ere tecnologiche. Arrivati all’ultima e concludendone gli obiettivi, si vince la partita. Ogni era introduce peraltro nuove risorse da gestire, necessarie ad alimentare nuove strutture, a loro volta necessarie al completamento degli obiettivi.
Proseguendo nelle partite il gameplay diventa quindi progressivamente più complesso, anche per via del restringimento progressivo dello scenario. Flooded presenta infatti delle isole generate proceduralmente a ogni partita, divise in una griglia di quadrati. Dopo un certo numero di tempo, l’acqua intorno alle isole avanza, inglobando i quadrati adiacenti e distruggendo tutte le strutture presenti su di essi. Nonostante ci sia una complessità crescente, quindi, lo spazio a disposizione è sempre meno.
Il gameplay si basa quindi su un continuo equilibrio tra la costruzione di nuove strutture e la riduzione dello spazio disponibile per la costruzione. Questo rende fondamentali due meccaniche: l’espansione verso altre isole, per esempio con dei ponti, e il potenziamento delle strutture, che possono diventare più performanti occupando un solo quadrato.
Ma quindi, come funziona la gestione? Inizialmente si inizia con la raccolta di pietra e acqua, ottenibili passivamente da due strutture corrispondenti. A queste si aggiungono i rispettivi depositi, per aumentare il numero massimo di risorse ottenibili. L’acqua viene infatti ottenuta passivamente con i pozzi e successivamente viene utilizzata per ottenere passivamente i minerali.
Completando gli obiettivi (solitamente la costruzione di strutture o la raccolta di risorse) si accede alla nuova era, dove si sblocca la costruzione di altre strutture, come i pannelli solari. Questi introducono la raccolta di elettricità, a sua volta necessaria per completare la seconda era tecnologica. Il loop continua quindi in questo modo, con l’introduzione costante di strutture necessarie alla raccolta di nuove risorse, a loro volta utili per la costruzione di nuove strutture.
Il restringimento progressivo delle isole, però, rende fondamentale pianificare la costruzione delle strutture stesse e potenziare le più importanti, consapevoli che quelle presenti sui bordi verranno distrutte. Il loop, in generale, funziona molto bene, soprattutto per partite di breve durata.
Il problema più grande di questa struttura, però, è la sua ripetitività: dopo poche partite si avverte infatti la sensazione che l’early game sia sempre troppo simile, anche per via di una complessità molto inferiore al late game, che quindi rende l’inizio di ogni partita fin troppo semplice e ripetitivo. Nelle fasi finali di una partita vengono infatti introdotte meccaniche come le navi e in generale si è costretti a gestire un gran numero di strutture diverse. Di conseguenza, ricominciare da zero dopo tutto questo non è mai indolore.
Va poi segnalata una complessità inferiore a quella di altri city builder, per via di un numero ridotto di meccaniche che alla fine tendono a ripetersi. A sua volta, questo rende Flooded meno rigiocabile, rendendo evidente la ripetitività di fondo della struttura. Sia chiaro, siamo comunque davanti a un ottimo titolo, che però non eccelle.
Tecnicamente caruccio
Il comparto tecnico di Flooded non è male, ma soffre di qualche problema. Il titolo presenta infatti sprite e scenari belli da vedere, nonostante la pixel art volutamente minimalista. La scelta di colori delle strutture, unita alla prospettiva, rende però complesso gestire tutto nelle fasi finali delle partite, per via di una confusione generale che si crea nelle schermate. Nonostante il risultato sia comunque piacevole, non raggiunge la chiarezza che potrebbe avere con qualche piccolo ritocco.
Infine, il comparto sonoro è buono, grazie a effetti sempre adatti alle varie occasioni e musiche orecchiabili.