Franceschini: i videogiochi ormai fanno parte della cultura
Il ministro dei Beni e delle Attività Culturali Dario Franceschini si è espresso riguardo il valore ed il patrimonio culturale dei videogiochi in un’intervista con “Il corriere della sera”.
Ormai i videogiochi fanno parte delle case di quasi ogni italiano e sempre più giovani si interessano a questo settore. Circa 25 milioni di uomini e donne in Italia sono coinvolti da questo passatempo e molti di loro si sono anche presentati alla Milan Games Week per poter informarsi sui nuovi giochi tripla A, così come sui giochi creati da giovani sviluppatori Italiani.
Sviluppatori che però fanno difficoltà a decollare e a fare carriera a causa dei pochi investimenti, pregiudizi e leggi poco consone.
Un settore da non sottovalutare
Secondo il ministro il settore videoludico è in grande espansione e l’Italia vede sempre più giovani con grande talento sempre più interessati allo sviluppo e alla creazione di videogiochi. Un campo piuttosto prolifico se non fosse per il poco interesse che lo Stato ha mostrato a riguardo. E proprio qualche giorno fa, grazie all’estensione del tax credit audiovisivo anche alle produzioni di videogame, c’è stato finalmente un primo importante riconoscimento.
Egli continua esponendo quanto i videogames possano essere importanti per l’apprendimento. Afferma anche che sono strumenti per la mediazione, la comunicazione, la partecipazione ed il coinvolgimento delle persone.
Il ministro arriva al punto di considerare i videogames una vera e propria arte. Soprattutto pensando a quanto si nasconde dietro lo sviluppo di un lavoro. Basta ascoltarne le musiche, le storie intense o la grafica mozzafiato.
Franceschini conclude dicendo nella sua intervista:
“(Lo sviluppo di un videogioco) È un’arte che coinvolge, nelle produzioni, delle vere e proprie fabbriche di creativi: dai disegnatori ai pittori, dagli scultori 3D agli architetti fino a fisici e matematici, dimostrandosi tra l’altro un’arte con ottime prospettive occupazionali per molte di quelle professioni che, generalmente, hanno più difficoltà a collocarsi nel mercato del lavoro“.