Il mercato dell’intrattenimento digitale è in espansione, e lo confermano i dati delle ricerche: parliamo un settore che, nelle sue varie diramazioni, ha superato i 2,3 trilioni nel 2021, mentre le stime di Pwc Global Entertainment & Media Outlook 2022-2026 lo danno in ulteriore crescita, almeno di 9 punti percentuali nei prossimi tre anni. Gaming e Esports guidano la locomotiva, almeno se si pensa al consumo dei dati da parte degli utenti, mentre la tv tradizionale è fiaccata dalla rivoluzione-streaming, e lo stesso vale per quello musicale.
L’Italia è appena dopo il terzo gradino del podio in questa situazione di fruizione dei contenuti digitali, e nel gennaio 2022 gli utenti del digital entertainment hanno sfiorato i 40 milioni, con il 20 per cento del tempo trascorso sul web dedicato proprio a queste forme di svago. Ottimo, come anticipato, il livello di penetrazione delle tv on demand (Mediaset Infinity è a capo della classifica, con una fetta di accessi del 29 per cento sul totale), e dello streaming musicale, su cui regna Spotify. Se poi si considerano i comparti del ludico, ovvero i videogiochi – che vantano un giro d’affari di oltre 2 miliardi di euro – e il gioco legale a distanza – con il suo +18 per cento di spesa tresa il 2021 e il 2022 – si ha un’idea più chiara della portata del fenomeno.
A questi trend va però di pari passo quello legato al risparmio: il Web, tra promozioni, sconti, offerte, coupon, boom dei compara-prezzi, è ormai anche il luogo ideale dove si cerca il tutto, possibilmente senza spendere troppo. Oppure, semplicemente senza spendere. Come?
Veniamo quindi al punto: quello delle prove gratis, del free-to-play, e delle strategie freemium – queste ultime molto in voga, ovvero di tutti quei vantaggi che aziende dei comparti videoludici/di entertainment offrono agli utenti per poter usufruire in modo libero, o parzialmente libero, dei propri servizi.
Il benefit per l’utente non ha bisogno di spiegazioni: il più delle volte si tratta di poter provare liberamente una piattaforma di film e serie on demand come Paramount + o Amazon Prime Video per una settimana o per un mese, oppure di poter giocare per qualche ora con la demo di un videogame, e poi decidere se acquistarlo. Lo stesso vale per i videogiochi completi free-to-play, oppure per i giochi legali online, ovvero quando, sfruttando i bonus senza deposito oppure usando i free spin casinò, gli utenti utilizzano il credito gratuito erogato dall’operatore al solo scopo di provare il palinsesto della piattaforma. Tipi di prove “libere” sono anche quelle di servizi “freemium” che, come dice la parola stessa, sono metà free e metà premium: uno su tutti, Spotify, gratis per tutti, ma a pagamento nella sua versione senza pubblicità, ovviamente più completa e senza limiti di utilizzo.
A fronte di un’offerta sconfinata di possibilità di svagarsi online, a seconda dei propri interessi, le aziende del settore, che ben conoscono anche la propensione al risparmio dei consumatori, hanno iniziato a battere la concorrenza sul tempo, e a optare per un marketing innovativo incentrato proprio sulle prove gratuite o semi-libere. Si tratta di un investimento, in ogni caso, e il punto è: se poi un utente è libero di iscriversi, abbonarsi, acquistare un prodotto, ma anche di non farlo, cosa ci guadagnano gli operatori dei vari rami di entertainment online?
Il ritorno del marketing per le aziende
A seconda del tipo di settore, il R.O.I., o Return on Investment, della tecnica delle prove libere o freemium assume connotazioni e forme diverse.
Il modello freemium tipico di Spotify è di più facile comprensione, ovvero più immediato: il piano base gratuito è un incentivo che fa conoscere agli utenti il servizio, li incuriosisce, li abitua anche – se vogliamo, ad ascoltare tutta la musica che vogliono senza spendere. I contenuti pubblicitari però, possono rappresentare un deterrente, e avere lo stesso servizio in forma premium, senza spot, con skill illimitate e novità – come gli audiolibri, magari a un prezzo iniziale vantaggioso, rappresenta per molti una soluzione. Il servizio svedese, a fine 2022, contava infatti 273 milioni di utenti “free” – comunque supportati dalla pubblicità – ma anche 195 milioni di membri “premium”. Segno che la strategia funziona, considerata anche la sua applicazione ai rami “software” come Dropbox, o ai servizi per il trasferimento dati come Wetransfer.
Meno immediata è la comprensione del ritorno di investimento se si considerano le prove gratuite o, ancora di più, i giochi free-to-play.
Le prove gratuite delle piattaforme di tv on demand, ma anche i sopracitati bonus senza deposito in ambito gioco a distanza, hanno un po’ la funzione degli omaggi e dei tester, traslati ai servizi. Si tratta di benefici concessi agli utenti in cambio dei propri dati, perché il loro utilizzo necessita di compilare un modulo di registrazione, con consenso informato per il trattamento dei dati e la pubblicità. Le aziende attivano così un primo “contact point” con l’utente nel cosiddetto “funnel” (l’imbuto che convoglia clienti all’impresa), e possono utilizzare i suoi dati per campagne, anche personalizzate, di marketing via e-mail, oppure per proporre promo personalizzate, come pacchetti tv incentrati sui gusti e sulla composizione del nucleo familiare, ad esempio. Il database aziendale è una grande risorsa di marketing sul lungo periodo, ma è anche vero che alcune aziende operano col metodo del “rinnovo automatico”, e, se non si leggono bene termini e condizioni del servizio e si dimentica di disdire la prova, ci si ritrova, di colpo, abbonati.
Se si viene ai giochi free-to-play come Fornite, o alle tante app di gioco che prevedono acquisti in-app, si approda al concetto di microtransazioni, che di fatto rappresentano le fonti di guadagno di questo tipo di vantaggio. Si pensi a FIFA Ultimate Team, dove, per salire di livello, bisogna acquistare giocatori, oppure allo stesso Fortnite, che guadagna un miliardo di dollari ogni anno per l’acquisto di skill esclusive. Gli utenti, in queste attività, sono disposti a spendere 1 o 2 euro, ma le transazioni, nel 70 per cento dei casi (e si parla di una community di 200 milioni di giocatori) raggiungono in media anche 80 euro. Numerosi sono anche i titoli free-to-play che invitano alla visione del contenuto pubblicitario, magari connesso al rilascio di qualche benefit, meglio se esclusivo, visto che l’esperienza e il “privilegio” sono elementi importanti per la community dei gamers, inclini anche al merchandising originale e al gadget introvabile.