Front Mission 2 è un titolo storico, rimasto nel cuore degli appassionati per tantissimo tempo. Parliamo infatti di un GDR tattico davvero eccezionale, che riprende a piene mani dalla classica struttura del genere, mettendoci però anche delle meccaniche legate a doppio filo con i mecha. Il gioco, però, è talmente “storico” da essere potenzialmente indigesto ai palati odierni. Vediamo se questo remake riesce a svecchiare un piccolo capolavoro.
Una storia di guerra
La storia di Front Mission 2 è totalmente immersa in una fantapolitica futuristica che, pur non essendo troppo complessa, riesce comunque a intrattenere fino alla fine. Tutto inizia da un attacco a sorpresa a una base dove sono stazionati i nostri protagonisti. Delle forze ribelli hanno infatti dichiarato la propria indipendenza dall’O.C.U. (in pratica una sorta di Europa futuristica), iniziando una vera e propria guerra. I protagonisti si trovano quindi improvvisamente in territorio nemico, senza sapere come arrivare al confine per riunirsi alle forze alleate.
Da questo incipit inizia una storia cupa, fatta di alleanze improbabili, complotti e conflitti. Come accennato, non siamo davanti a una fantapolitica degna di Metal Gear Solid, ma il titolo riesce comunque creare un world building complesso, dove fazioni e personaggi si uniscono in un intreccio di fatti interessante e ricco di colpi di scena. Le vicende, peraltro, sono a tratti molto realistiche e rendono la trama generale molto più che un semplice pretesto. Purtroppo i personaggi non riescono ad avere lo stesso spessore ma, al contrario, si dimostrano decisamente meno memorabili.
Le battaglie di Front Mission 2
Front Mission 2 propone un loop di gameplay molto stretto, che però è impreziosito da una profondità invidiabile ancora oggi. Il titolo è infatti un GDR tattico tradizionale, strutturato quindi in battaglie a turni che si svolgono su campi di battaglia divisi da una griglia dove si spostano le varie unità e che delinea la portata effettiva degli spostamenti e degli attacchi veri e propri. Ogni scontro coinvolge un piccolo esercito di dimensioni variabili, dove ogni singola unità può rivelarsi fondamentale per la vittoria.
Le unità, neanche a dirlo, sono quasi sempre costituite da mech e possono mutare considerevolmente in base alle personalizzazioni operate dal giocatore fra le partite. Tanto per cominciare, ogni personaggio comincia con 7AP, che costituiscono dei punti “di movimento”: muoversi, attaccare e persino schivare consuma AP. Senza, è impossibile agire. Non solo 1 AP viene consumato per ogni casella, ma anche l’utilizzo delle armi varia: le armi da mischia ne utilizzano 2, mentre quelle a distanza ben 6. Ne consegue la necessità di bilanciare costantemente il consumo dei punti.
Le armi, come accennato, si dividono in diverse categorie, che spaziano tra quelle a corto raggio (mischia, mitragliatrici) fino al lungo raggio (lanciarazzi e missili). Ogni bocca da fuoco ha poi caratteristiche uniche, che la rendono più o meno adatta alle varie occasioni. E non è finita qui: ogni mech può equipaggiare ben 2 armi da fuoco e 2 da spalla, da scegliere tra tutte quelle disponibili.
E questo ci porta a parlare proprio dei mech. Ogni unità è infatti divisa in diverse sotto parti, a cui sono assegnate diverse funzioni. Le braccia reggono le armi e se vengono distrutte non si possono utilizzare, le gambe permettono di muoversi per più di una casella e in caso distruzione del torso l’unità muore. I combattimenti risultano quindi molto dinamici, grazie ai colpi che vanno verso l’uno o l’altro arto, affiancati da miss e critical.
Ci sono poi abilità passive che le unità ottengono salendo di livello, le quali permettono di compiere determinate azioni in certe circostanze, come colpire sempre le gambe nella prima azione, sfruttare una buona posizione e così via.
L’insieme di queste meccaniche rende tutto ciò che ruota intorno a un mech relativamente complesso, grazie alla personalizzazione offerta dalle armi – che permette di creare piccole build – unita a quella prettamente ruolistica delle abilità passive. Si aggiungono poi gli oggetti da utilizzare per riparare gli arti, rigenerarli, o per caricare le munizioni delle armi. Tutto questo viene poi moltiplicato per ogni unità presente in campo e, ovviamente, per quasi tutte le unità nemiche.
Ci sono poi altre meccaniche secondarie che arricchiscono l’esperienza di Front Mission 2, che però non avrebbe senso esplorare in sede di recensione. Ti basti sapere che la gestione delle unità ha uno skill ceiling decisamente alto, il quale permette ai giocatori abili di sfruttare tanti piccoli accorgimenti per avere vantaggio negli scontri (un esempio è l’ordine di esecuzione delle armi, dove quelle da mischia sono sempre ultime).
In altre parole, Front Mission 2 si dimostra un ottimo GDR tattico, dove i turni sono scanditi da tante piccole meccaniche – da apprendere tramite un tutorial – e dalle scelte tattiche del giocatore, che si ritrova a dover sfruttare la posizione di alleati e nemici, lo scenario e le armi a disposizione. Il risultato è sicuramente più lento dei titoli odierni, ma comunque godibile.
La vera domanda che accompagna la recensione è però una sola: questo mix funziona ancora dopo tutti questi anni? La risposta è si e no. Si, perché le meccaniche sono ancora oggi valide, anche grazie all’assenza di punizioni troppo marcate come la morte permanente delle unità. No perché i menù, la navigazione e la gestione dei mech risulta oggi indigesta e poco leggibile. Spesso è infatti difficile anche solo capire lo status di un’unità, per esempio controllando quali armi sono associate agli arti, la tipologia di arma e così via. Molto viene quindi lasciato alla memoria del giocatore, quando basterebbe un minimo di accortezza in più per rendere tutto più intuitivo, soprattutto perché siamo di fronte a un remake.
A questo si aggiungono delle interazioni prese di peso dagli anni ’90, che sembrano ignorare completamente i progressi fatti dal genere. Non si può visualizzare in anticipo, per esempio, la portata del movimento o degli attacchi dei nemici, la portata degli attacchi dopo essere arrivati in una certa casella, e in generale i menù e l’UI si dimostrano di difficile navigazione. Sarebbe bastato inserire una modalità “classica” e una “moderna”, dove questi cambiamenti avrebbero potuto accontentare anche i giocatori più giovani e meno avvezzi al genere.
L’altro elemento importante è la durata estremamente elevata delle battaglie, che possono anche superare la mezz’ora o avvicinarsi all’ora…per poi rischiare di fallire anche all’ultimo minuto per troppi colpi mancati o per una giocata mal riuscita. Questo può rendere alcuni punti (già ostici) particolarmente frustranti, sia per il grosso quantitativo di tempo investito, ma anche per via della casualità a volte troppo marcata del risultato di alcuni colpi.
Da questo punto di vista Front Mission 2 non è invecchiato benissimo e può risultare indigesto a giocatori abituati a un maggior numero di checkpoint o a punizioni meno marcate per i fallimenti. Peggiora la situazione una strana lentezza delle scene di combattimento, che a volte vedono i mech fermarsi per qualche secondo prima di contrattaccare, rallentando di conseguenza tutta l’azione.
In sintesi, Front Mission 2: Remake ripropone in modo praticamente identico questo classico del passato, limitandosi a pochissime modifiche che lasciano sostanzialmente invariata l’esperienza. Questo può essere sicuramente un pregio per i fan di vecchia data, ma può invece rivelarsi un peso non da poco per tutti i nuovi giocatori o per coloro che sono abituati alle iterazioni più moderne del genere.
Tecnicamente avanti
Il comparto tecnico di Front Mission 2: Remake vanta un enorme passo avanti rispetto alla versione originale. I modelli dei Wanzer e dei nemici sono infatti decisamente più dettagliati e definiti, nonché animati in modo decisamente più credibile e spettacolare. Allo stesso modo, gli scenari risultano più dettagliati e gli effetti di luce più belli da vedere rispetto al passato.
Questo vero e proprio salto generazionale valorizza quindi un comparto artistico davvero certosino, che presenta dei mecha riconoscibili, inseriti in un contesto fantapolitico credibile e ricco di fascino ancora oggi.
Infine, il comparto sonoro si dimostra davvero spettacolare, con musiche orecchiabili che vantano lo stesso upgrade della parte puramente visuale, risultando quindi più belle. Gli effetti sonori si dimostrano altrettanto al passo con i tempi, soprattutto per quanto riguarda quelli delle armi.