GetsuFumaDen: Undying Moon è uno di quei titoli che riesce a sorprendere fin dal primo trailer o addirittura con il primo screenshot. Il tripudio di colori, effetti visivi ed estetica Ukiyo-e creano infatti un risultato sorprendente, che può essere visto come il sogno recondito di molti appassionati di arte nipponica.
Se quindi dopo Okami hai sempre sognato di tornare dentro un dipinto orientale…forse dovrai aspettare ancora un po’. GetsuFumaDen: Undying Moon, infatti, ha tutte le basi per essere un ottimo titolo, ma ha anche tantissima strada davanti prima di poter essere degno del suo prezzo di vendita e, soprattutto, prima di competere con Dead Cells. Vediamo perché nella nostra recensione.
A caccia di demoni, in GetsuFumaDen: Undying Moon
La storia non è certamente il cavallo di battaglia di GetsuFumaDen: Undying Moon ma, al contrario, si mantiene sempre marginale. Questa narra dell’ultimo discendente del clan Fuma, impegnato in una dura lotta contro i demoni dell’inferno, risvegliatesi dopo molti secoli. Siamo quindi davanti a un pretesto per scendere negli inferi e affettare demoni, ma in fondo in questo genere va bene così.
Occasionalmente durante le partite troviamo delle iscrizioni sparse per i livelli, che ci permettono di approfondire una lore lasciata sempre in secondo piano e mai rilevante. Il titolo, al contrario, punta tutto sul gamepley. Purtroppo, però, non siamo davanti all’eccellenza che speravamo.
Tra un salto e un parry mal riuscito
Il gameplay di GetsuFumaDen: Undying Moon è incredibilmente simile a quello di Dead Cells. Esattamente come nel celebre roguelite, infatti, partiamo da un hub centrale, da cui accediamo al dungeon generato proceduralmente. Alla fine di ogni piano possiamo accedere a vari portali, che ci permettono di proseguire l’esplorazione verso biomi diversi tra loro.
Proprio come Dead Cells, poi, abbiamo delle fiaschette curative limitate, accompagnate da armi che hanno attributi passivi generati casualmente a ogni partita. Allo stesso modo, poi, siamo davanti a un action game con forti elementi platform a scorrimento laterale, dove lo scontro con i nemici è una parte fondamentale dell’esperienza.
Infine, le meccaniche da roguelite ci vedono gestire la sempre presente morte permanente, a cui viene affiancata una metaprogressione basata sul farming più sfrenato, run dopo run. Su quest’ultima vale la pena spendere qualche parola più avanti, dato il suo impatto sull’esperienza.
Persino il sistema di controllo e il sistema di combattimento sono estremamente simili. Troviamo quindi vari tipi di armi principali a corto raggio, affiancate da oggetti di supporto da utilizzare con i tasti dorsali. Le armi principali costituiscono il centro dell’azione e comprendono vari archetipi del genere, come il classico martello lento ma distruttivo, la katana perfetta per i parry, lance a medio raggio e così via.
Le armi di supporto variano invece dagli archi ai moschettoni a distanza, passando per granate di vario tipo e armi da lancio. A differenza di Dead Cells, non siamo davanti a strumenti in grado di vincere uno scontro da soli, ma piuttosto a qualcosa da abbinare alle nostre combo con le armi bianche.
Troviamo però alcuni difetti, che possono certamente essere risolti con aggiornamenti futuri, ma difficili da ignorare allo stato attuale delle cose. Innanzitutto il nostro arsenale pecca di una certa varietà. Molte armi avanzate sono infatti delle semplici varianti delle armi principali e, di conseguenza, non portano nulla di nuovo al gameplay.
In secondo luogo, si fa notare un leggero sbilanciamento degli strumenti a nostra disposizione. Alcuni sono decisamente più efficaci di altri, rendendo le armi più deboli meno utili e, di conseguenza, un peso da lasciare appena possibile. In entrambi i casi, siamo di fronte a difetti che pesano parecchio in un roguelite: dover ripetere interi scenari utilizzando un arsenale limitato, che viene anche ridotto da uno sbilanciamento generale, rischia di diventare subito noioso.
A questo si aggiunge una varietà di nemici non troppo esaltante, che soprattutto nelle prime ore di gioco – in cui si farma parecchio la prima zona – si fa sentire non poco. GetsuFumaDen: Undying Moon, quindi, manca di varietà, che però può arrivare con degli aggiornamenti oculati e costanti. Questo, chiaramente, dipenderà dagli sviluppatori.
Infine, andrebbero rivisti anche gli ambienti, che non presentano nessuna opportunità tattica ai giocatori. In altre parole, ogni scenario è solo un contenitore in cui sono inseriti i nemici da combattere, con l’aggiunta di poche trappole. Non vediamo, per esempio, una serie di elementi di contorno già visti in Dead Cells, come pozze d’acqua per sfruttare alcuni poteri, porte da sfondare e così via.
Ma GetsuFumaDen: Undying Moon non è solo un clone di Dead Cells e cerca anche di ritagliarsi un’identità tutta sua, proponendo un gameplay più lento e ragionato, a differenza dei combattimenti al cardiopalma propri del suo rivale. Le armi, infatti, sono generalmente più lente nei moveset e le combo non sono mai così rapide come può sembrare a un primo impatto.
Questa è un’ottima scelta degli sviluppatori che, in questo modo, si possono ritagliare una fetta di fan che magari n0n apprezzano i combattimenti rapidi e caotici del concorrente. Anche stavolta, però, nonostante le intenzioni siano buone, la realizzazione lascia a desiderare.
Avere delle armi di supporto così poco efficaci, riduce spesso gli scontri allo spamming della stessa combo. Inoltre, il titolo mostra costantemente una certa legnosità nei comandi, che a volte non rispondono con precisione alle intenzioni del giocatore. Addirittura vi è un leggero input-lag dei tasti (davvero minimo, ma comunque presente), che inevitabilmente sfocia nella frustrazione: schivate partite troppo tardi, parry non riusciti, salti finiti nel vuoto e così via.
Queste non sono caratteristiche da imputare a un gameplay “lento e ragionato”, ma a un problemi tecnici che rendono GetsuFumaDen: Undying Moon poco fluido. Un sistema di combattimento che punti tutto sulla lentezza, per esempio, può essere ottenuto bloccando il giocatore nelle animazioni dei suoi input, impedendogli di cancellare gli attacchi una volta che questi sono iniziati. Questo accade in titoli come Monster Hunter, dove bisogna sempre attaccare con cognizione di causa per evitare di restare vittime del classico animation-lock.
In questo caso, però, vediamo una sensazione di legnosità che non dipende direttamente dalla lentezza di animazioni e combattimento ma, al contrario, da controlli che devono essere assolutamente migliorati. Sia chiaro, non siamo davanti a un difetto irrisolvibile, ma un lavoro di rifinitura è necessario.
A questo si aggiungono una serie di piccoli problemi tecnici che, pur essendo poco incisivi, si sommano per creare un quadro d’insieme poco appagante: attacchi nemici che passano attraverso le strutture dello scenario per arrivare sotto i nostri piedi, nemici posti su piattaforme troppo minute per consentire un combattimento, il protagonista che non afferra i bordi quando dovrebbe, menù poco intuitivi e così via.
Un altro aspetto del titolo che viene spinto troppo è il farming. Nelle varie partite è possibile ottenere materiali di ogni tipo, necessari per sbloccare potenziamenti diversi e armi. Tutto questo, però, è decisamente pressante nelle prime ore di gioco, quando il giocatore è spinto a ripetere continuamente la prima area, in modo da accumulare risorse, che in caso di morte andrebbero perdute.
Il gioco spinge quindi a giocare la prima area, ritirarsi nell’HUB centrale per potenziarsi e ricominciare altre partite più forti di prima. L’idea in sé non è un difetto, ma la sua realizzazione la porta fin troppo per le lunghe. In pratica, siamo davanti a un’altra meccanica da bilanciare.
Dopo essersi potenziati a sufficienza, diventa possibile giocare un’intera partita, arrivando potenzialmente fino alla fine, ma nelle prime ore il farming è centrale. Questa preponderanza data alla raccolta di materiali è però fin troppo marcata e nelle prime ore va a sostituire l’abilità del giocatore.
Per capirlo, basti fare il paragone con Hades. Anche in questo caso abbiamo la possibilità di potenziare il protagonista in vari modi, ma un giocatore abile può finire (potenzialmente) una partita fin dalle prime ore di gioco. Il farming facilita le cose e dona un senso di progressione, ma non diventa mai il fulcro di una partita.
Eppure, GetsuFumaDen: Undying Moon non è un titolo da ignorare completamente. Parliamo infatti di un loop di gameplay potenzialmente solido e in qualche modo diverso da Dead Cells. Inoltre, i nemici presenti costringono il giocatore a ragionare sui loro movimenti, osservandone gli attacchi per poi muoversi di conseguenza.
Troviamo anche una generazione procedurale sufficientemente varia che, soprattutto negli scenari avanzati, regala livelli soddisfacenti; i quali andrebbero soltanto resi più “interattivi” per aggiungere profondità ai combattimenti.
A questo si aggiungono boss di fine livello davvero ben fatti, sia visivamente che a livello di meccaniche. Ancora una volta, questi nemici costringono il giocatore a osservare i loro movimenti, in modo da agire di conseguenza. Ogni boss presenta poi delle piccole meccaniche uniche, che aggiungono pepe al combattimento.
In sintesi, GetsuFumaDen: Undying Moon è un titolo che parte da premesse solidissime, in grado anche di proporre dei contenuti niente male, grazie a nemici con un ottimo moveset, affiancati da scenari sufficientemente vari e da un arsenale che parte da buone basi. Tutto questo, però, resta appunto una base da cui partire.
Il gioco necessita di un lavoro di rifinitura che possa dargli giustizia, dando all’esperienza controlli più fluidi, un arsenale più vasto, un bestiario più vario e così via. L’esperienza ha un ottimo potenziale, che però in questo momento è messo tutto nelle mani degli sviluppatori.
Artisticamente sublime
La parte puramente estetica di GetsuFumaDen: Undying Moon è invece una gioia per gli occhi. Il titolo ha un comparto grafico non troppo elaborato, che combina modelli tridimensionali con elementi apparentemente bidimensionali. Modelli, nemici e ambienti sono davvero belli da vedere e il risultato finale risulta godibile.
Meritano una menzione d’onore anche le animazioni dei nemici, le quali diventano un aspetto fondamentale del gameplay, grazie alla presenza di tell prima degli attacchi più devastanti. Un aspetto da non sottovalutare in un titolo in cui tutto può andare male per pochi errori.
Ovviamente, va elogiato l’eccellente comparto artistico, che a questo punto diventa il pregio più grande del gioco. Questo richiama infatti la tipica estetica ukiyo-e, con un risultato finale davvero spettacolare. Tutto, da questo punto di vista, è eccellente: le animazioni del protagonista richiamano alcune tipiche pose delle rappresentazioni nipponiche, lo stile di nemici e ambienti si rifà chiaramente a quello delle illustrazioni giapponesi tradizionali e i colori accesi rendono tutto unico e riconoscibile.
A questo si aggiungono effetti visivi che accompagnano i fendenti, gli attacchi e alcuni ambienti, creando un tripudio di colori che è una vera gioia per gli occhi.
Ciliegina sulla torta è il comparto sonoro, che contribuisce a richiamare l’atmosfera orientaleggiante che gli sviluppatori sono riusciti a ricreare con il già citato comparto artistico. Da questo punto di vista, il titolo è semplicemente eccellente.